I sindacati di base SI Cobas e ADL Cobas hanno lanciato due settimane di astensione in massa dal lavoro, invitando i lavoratori a non presentarsi sul luogo di lavoro per via dell’evidente mancanza di sicurezza sanitaria dovuta alla diffusione del coronavirus. Come avanzare per far finire la crisi e farla pagare ai capitalisti?
Gli operai della logistica rompono la pace dell’”unità nazionale”: un fatto storico
Il comparto logistico, per voce dei sindacati che storicamente hanno guidato le sue lotte più avanzate e vittoriose, Si Cobas e ADL Cobas, avvia una lunga battaglia campale su tutto il territorio nazionale. In un periodo di crisi drammatico enorme per i lavoratori e le lavoratrici di tutto il paese, i facchini e i driver che non movimentano prodotti essenziali, farmaceutici e alimentari, si fermano in massa per due settimane, rivendicando il pieno pagamento del salario. Da lunedì Questo piano di lotta è stato lanciato nel pieno di una risposta combattiva di interi stabilimenti e reparti dove, con le direzioni sindacali confederali che in ritardo provano a cavalcare l’onda, centinaia e migliaia di lavoratori stanno scioperando a oltranza per la chiusura degli stabilimenti.
Il coordinatore nazionale del SI Cobas, Aldo Milani, spiega le ragioni del lancio di due settimane di astensione dal lavoro per restare nelle proprie case con pieno pagamento di salario – quello che di fatto è uno sciopero a oltranza della logistica che dà una sponda sindacale a altri settori di lavoratori già in lotta o pronti a mobilitarsi.
Una risposta di lotta che potremmo definire storica, per svariati motivi:
1)I lavoratori prendono l’iniziativa nonostante il processo di intensificazione dei dispositivi di repressione, aperto ben prima di questa crisi sanitaria, che ora ha raggiunto un suo picco notevole potendo far passare nuove misure poliziesche dietro la scusa “tecnica” della prevenzione del contagio.
Quale prevenzione migliore, se non quella di chiudere tutti i settori non essenziali? Questo però porterebbe a un arresto “drammatico” dei profitti dei padroni e allora va bene, state a casa, ma non gli operai e le operaie, padri, madri, figli e figlie.
Le leggi sicurezza e tutti gli altri provvedimenti apertamente anti-operai e repressivi, presi dal governo Renzi in poi, sono un argomento in più – un argomento molto concreto e pericoloso – per rafforzare la retorica bipartisan per cui “prima di tutto deve girare l’economia”, cioè i padroni devono continuare a fare profitti, poi viene il resto. Per cui si cerca di stroncare sul lungo termine i picchetti, qualsiasi forma di sciopero, qualsiasi forma di mobilitazione che possa paralizzare la produzione e la circolazione delle merci.
2)Mentre lo scenario economico immediato, “spontaneo”, è stato quello di lavoratori messi forzatamente in ferie o, specie se precari o in nero, prontamente licenziati ove “necessario”, l’ondata di risposte combattive di settori via via più larghi di lavoratori non solo ha rigettato questo massacro sociale fatto sulla propria pelle, ma ha avanzato la richiesta del salario pieno durante il periodo di astensione dal lavoro per mancanza delle necessarie condizioni igieniche e di sicurezza. Questa misura da sola, abbinata alla chiusura di tutte le attività economiche inessenziali, non è assolutamente sufficiente a far rientrare la crisi sanitaria, ma approccia in una giusta prospettiva classista il problema immediato della minore diffusione possibile del virus tra la popolazione.
3) Il carattere prorompente di questa risposta combattiva alla crisi sanitaria viene, in primo luogo, dal fatto che milioni di famiglie in Italia rischiano ora – non nei prossimi anni, ma nelle prossime settimane – di non riuscire ad arrivare a fine mese per via del salario non pagato, così come di avere dei morti per via del virus o comunque della capacità compromessa del sistema sanitario nazionale di occuparsi di tutti gli altri casi medici. Gli operai lottano per il loro bene più prezioso, la vita, messa in pericolo per garantire i profitti: una situazione sempre più evidente di giorno in giorno, con l’accumularsi di casi di infezione, concentrati in particolari nelle zone industrializzate del nord Italia, ma che si espandono a macchia d’olio anche nel centro sud.
4) Con la diffusione delle rivendicazioni della chiusura delle attività inessenziali e del reddito di quarantena a tutti i precari e i disoccupati che ora rischiano di morire di stenti o comunque di uscire dalla crisi sanitaria al limite della sopportazione, l’astensione dal lavoro di operai e operaie è diventata una lotta per tutelare la salute di tutta la società, a partire dai più deboli e vulnerabili, anche perché andare a lavoro tra centinaia o migliaia di colleghi – e infettarsi – significa che si diffonderà ulteriormente l’infezione ovunque: in famiglia, tra i propri vicini di casa e nella propria città.
La contromossa dei padroni e la necessità di dotarci di un programma di emergenza
Intanto, decine di aziende in tutta Italia stanno chiamando in massa crumiri, sfruttando l’impossibilità dei lavoratori di presidiare gli impianti, per tappare frettolosamente (e, va da sé, illegalmente) il buco e continuare a spremere qualcuno per ottenere il proprio profitto.
In particolare, Amazon ha annunciato 100.000 assunzioni a livello internazionale, volendo sfruttare la crisi dei suoi concorrenti per uscire rafforzata nella crisi nella sua posizione semi-monopolistica: l’incentivo per fare i crumiri di Jeff Bezos e rischiare di contagiarsi saranno ben un paio di euro l’ora in più in busta paga – per il colosso dell’e-commerce, la vita di un operaio non vale più di così.
Nelle aziende che lavorano alimentari e negli ospedali i lavoratori subiscono turni massacranti e condizioni di lavoro inaccettabili. Tutto ciò non si può ancora prevedere quale aggravamento della crisi sanitaria porterà, ma probabilmente avrà un effetto devastante sulla sicurezza di tutti – quella reale, non quella di cui blaterano Salvini e la Meloni.
La chiusura degli stabilimenti, lo abbiamo detto, non basterà alla classe lavoratrice e a tutti i soggetti vulnerabili per superare la crisi: se non possiamo e non dobbiamo pagarla noi, sono i capitalisti che possono e devono pagarla, a tutti i livelli.
Trent’anni di politiche di tagli e liberalizzazioni hanno lasciato ovunque sistemi sanitari compromessi e incapaci di gestire queste situazioni di crisi: ciò significa migliaia di morti evitabili, significa milioni e milioni di persone nel nostro paese a cui è stato tolto il diritto alla salute.
La formazione di un oligopolio di poche enormi aziende farmaceutiche internazionali, e di una galassia di aziende private che dipendono da queste, lascia nelle mani dei capitalisti e dei loro manager la scelta delle priorità sulla ricerca e la produzione di farmaci in generale, e in particolare dei vaccini che possono salvare la popolazione mondiale dalle pandemia.
Leggi di repressione del movimento operaio e dell’opposizione sociale, leggi di precarizzazione del lavoro e di tagli allo stato sociale, leggi che favoriscono sul piano economico i ricchi in ogni modo possibile: questi sono i presupposti politici del massacro sociale che si sta accompagnando alla crisi sanitaria; i governi di qualsiasi colore, fiduciari della classe dominante, hanno creato le condizioni perché questa crisi potesse avere effetti devastanti sulla grande maggioranza della popolazione.
Allora, imporre con la lotta un limite all’approccio liberista del governo sulla questione della chiusura delle fabbriche e dei magazzini non è sufficiente: non basta a fermare il contagio, non basta a limitare il più possibile il numero dei morti, ancora in rapido aumento. Devono essere create le condizioni economiche e sanitarie per garantire un’uscita dalla crisi il più rapida possibile. È nel nostro interesse, non è in quello dei padroni: gli approcci estremi di Regno Unito e Svezia sono lì a ricordarcelo, qualora non ci bastassero Confindustria, la Milano “aperte” del criminale sindaco Sala, e il gioco sporco del governo Conte.
Ci serve un programma generale, complessivo, per far pagare la crisi ai capitalisti, per trovare i famosi “soldi che non si trovano” – e che loro hanno, altroché! – e per imporre le priorità e il controllo della classe lavoratrice sulle attività economiche che sono fondamentali per garantire la nostra salute e la nostra vita in questa fase di crisi mondiale.
Ci serve un programma d’emergenza per non tornare più alla “pace” che c’era prima: è quella pace che ha generato il disastro che viviamo oggi.
Discuterlo e metterlo in pratica sta alla classe lavoratrice italiana e internazionale, a partire da coloro che hanno già iniziato la lotta per salvare le proprie vite e quella di tutti coloro che stanno pagando la crisi.
CM, Giacomo Turci