Fino al 1977 in Italia erano feste nazionali il giorno dell’Epifania, quello di san Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini e il giorno dei santi Pietro e Paolo. Si trattava naturalmente di feste religiose, anzi erano le feste di una religione, ma siccome allora il nostro era un paese semi-laico – o semi-confessionale, fate voi – non ci facevamo troppo caso.
Quelle feste cadevano quasi tutte in primavera, dal 19 marzo al 29 giugno, erano occasioni per fare piacevoli gite e, nell’Italia del boom, grazie al sapiente uso dei “ponti”, anche delle prime vacanze di massa. E poi si trattava di feste fortemente radicate nella tradizione, dal nord al sud del paese. Per tutte queste ragioni l’abolizione di queste feste è stata vissuta con molte polemiche: il motivo di questa scelta, voluta dal terzo governo Andreotti – il cosiddetto governo “della non sfiducia” – è stata essenzialmente di natura economica. L’Italia non si poteva più permettere tutti quei giorni in cui si fermavano le attività produttive e industriali. Di queste cinque feste, come è noto, negli anni successivi è stata reintrodotta solo la Befana, non per una riscoperta di questa antichissima tradizione pagana né per ossequio alla chiesa cattolica, ma solo per “allungare” le vacanze natalizie e sostenere una nuova realtà economica, quella del turismo, che nel frattempo è cresciuta, mentre diventava più debole l’industria.
Perdonate la lunga premessa, ma il mio primo ricordo è legato proprio al giorno di san Giuseppe. Era il 19 marzo 1974 e i miei genitori decisero di andare alla Festa della raviola di Fiesso. Per i non bolognesi – e anche per i bolognesi troppo giovani – credo siano necessarie almeno un paio di note a margine.
Prima nota: la raviola è un dolce tipico bolognese, che adesso potete trovare nei forni tutto l’anno, ma che quando io ero bambino si faceva solo per la festa di san Giuseppe. Sono biscotti di frolla morbida, riempiti di mostarda – ma adesso ci mettono dentro di tutto, perfino quella crema alla nocciola mainstream della pubblicità – e abbondantemente bagnati nell’alkermes. Per me la raviola è una sorta di madeleine, ma decisamente più buona rispetto al dolcetto francese. Se Proust fosse cresciuto nella campagna bolognese, forse oggi non leggeremo la Recherce.
Seconda nota: Fiesso è una piccola frazione del comune di Castenaso, chiamata così perché in quel punto il torrente Idice, un affluente del Reno, fa una curva piuttosto decisa. Non c’è praticamente nulla a Fiesso, se non la grande chiesa dedicata a san Pietro. E non chiedetemi per quale motivo a Fiesso, proprio dietro la chiesa, si faceva – non so se si faccia ancora – la Festa della raviola il giorno di san Giuseppe. Immagino che la mia famiglia ci sia sempre andata a quella festa, perché Fiesso dista poco meno di sette chilometri da Quarto e soprattutto perché mio padre è nato e cresciuto tra Veduro e Marano, altre due piccoli frazioni di Castenaso. Mio padre a Fiesso conosceva tutti e tutti quelli di Fiesso allora conoscevano lui: era un mondo fatto così.
Quell’anno però c’era l’austerity. Credo sia necessaria la terza nota di questa mia storia. La notte del 22 novembre 1973 il governo italiano – il quarto Rumor, un esecutivo sostenuto dal cosiddetto “centro-sinistra organico” – decideva di varare il piano che fu chiamato appunto dell’austerity. A partire dal successivo primo dicembre bar e ristoranti dovevano chiudere entro la mezzanotte, mentre cinema, teatri e sale da ballo dovevano farlo alle 23.00, che era l’orario in cui finivano le trasmissioni televisive. Venivano spente le insegne luminose e pubblicitarie, mentre l’illuminazione pubblica doveva essere ridotta del 40%. La velocità sulle strade venne limitata a 100 km/h sulle strade extraurbane e a 120 km/h sulle autostrade. Ma il provvedimento che ha avuto un impatto più forte sugli italiani è stato quello di vietare la circolazione nei giorni festivi dei mezzi motorizzati, comprese barche e aerei. E c’erano pochissime eccezioni: carabinieri, medici, preti – ma questi ultimi solo nel loro Comune. Una circolare specificava che persino l’auto del Presidente della Repubblica non poteva circolare. Il motivo di questa drastica decisione è stata la crisi petrolifera.
Il 6 ottobre 1973, il giorno della festa ebraica dello Yom Kippur, Egitto e Siria attaccarono Isreale. La guerra del Kippur terminò poche settimane dopo, perché Stati Uniti e Unione Sovietica volevano evitare quella si chiamava escalation, con un sostanzialmente pareggio, anche se sul campo le forze egiziane e siriane ebbero la meglio. I paesi arabi associati all’Opec decisero allora di sostenere l’azione di Egitto e Siria aumentando il prezzo del petrolio e ponendo l’embargo nei confronti dei paesi più apertamente schierati con Israele. Inoltre la chiusura di fatto del canale di Suez costringeva le petroliere a circumnavigare l’Africa, aumentando tempi e costi dei viaggi e quindi dei carburanti. Provvedimenti simili a quelli italiani furono presi negli Stati Uniti e in tutta Europa. Il mondo occidentale, senza il petrolio, si trovò in crisi. Per questo quel pomeriggio di un giorno di marzo i miei genitori decisero di andare a Fiesso, alla Festa della raviola, in bicicletta. Io naturalmente non sapevo nulla dell’austerity, dell’Opec, di Rumor, della guerra del Kippur, ma ricordo che venni caricato nel sellino della bicicletta di mio padre – un sellino che stava davanti, attaccato alla canna, tra chi pedalava e il manubrio, una roba che immagino oggi sarebbe fuorilegge – e andammo a Fiesso. E non mi ricordo altro: solo quel viaggio in bicicletta, in un pomeriggio di primavera. Immagino che non mi diedero neppure una raviola, perché c’era l’alkermes. Ma, come direbbe Kavafis

La raviola ti ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti di più.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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