Fabrizio Casari 

Quasi 600 mila morti e undici milioni di profughi, un Paese distrutto. Teatro di una guerra di quarta generazione, con l’aspetto mediatico in assoluto rilievo rispetto ad altri conflitti. E’ il risultato di nove anni di guerra che l’Occidente ha dichiarato alla Siria. Stati Uniti, Inghilterra e Francia, con il sostegno diretto di Israele, Arabia Saudita e Turchia, per nove lunghissimi anni hanno scatenato un inferno di proporzioni inimmaginabili per abbattere il legittimo governo siriano. Nessuno di questi è entrato per caso nel conflitto, men che mai con disinteresse. Certo, le riserve petrolifere e di gas della Siria, ma non solo.

La posta in gioco era ed è alta e diversi gli obiettivi che si volevano raggiungere: il ridisegno geopolitico del Medio Oriente, l’espulsione di ogni entità laica e socialista dalla regione, la fine della questione palestinese, il passaggio alla definitiva dominazione saudita-israeliana-statunitense ed il rientro di Francia e GB nello scenario nord africano. Damasco, il cui governo era e resta un alleato di Iran e Libano, rappresentava e rappresenta un ostacolo serissimo ai piani di ulteriore espansione israeliana, che già si è illegalmente appropriata delle alture del Golan, come di quella saudita.

Per essere culla della civiltà araba e simbolo della sua forza politica, la Siria riveste, nello scacchiere mediorientale, un ruolo politico e strategico impossibile da sottovalutare. Inoltre, l’alleanza militare con la Russia, datata ai tempi di Breznev e Hafez Al Assad, padre dell’attuale Presidente, Bashar, rende la Siria luogo delle due uniche basi militari russe fuori dai confini della Federazione; espugnare la Siria avrebbe comportato la chiusura delle basi russe e la riduzione a livello di potenza regionale di Mosca.

La Siria fa gola a molti. L’aggressione armata viene perpetrata per assecondare i piani strategici di Arabia Saudita e Israele, entrambe intenzionate a ridisegnare il Medio Oriente e il Golfo a loro immagine e somiglianza, con Ryadh che vuole l’assoluto predominio sull’Islam e il controllo del Nord Africa, e Israele che sogna di poter allargare definitivamente i suoi confini mobili fino a rapinare le risorse di suolo e sottosuolo di cui non dispone ma delle quali ha bisogno. Israele spera di potersi allargare fino al Libano: l’Arabia Saudita con la caduta di Damasco vedrebbe venir meno un importante tassello delle alleanze di Teheran. Poi c’è Ankara, dove il satrapo Erdogan pensa di occupare il nord della Siria per allocarvi i curdi e poterli definitivamente cacciare dalla Turchia.

Gli USA giureranno sempre di non avere nulla a che fare con i terroristi tagliagole di Daesh. Falso. Li finanziano, li addestrano nella base militare di Incirlik, in Turchia, e li dirigono politicamente per tutta la prima e la seconda fase della guerra, fino a circa due anni fa.

Il piano per l’assalto alla Siria venne elaborato in maniera decisamente diversa da quelli messi in piedi per le cosiddette “primavere arabe”, che altro non sono state se non l’applicazione su scala mediorientale del Golpe blando, la teoria elaborata dall’ex agente della CIA Gene Sharp, che dai Balcani al Medio Oriente, all’America Latina, ha rappresentato la modalità operativa della destabilizzazione globale statunitense. E’ una finta strategia nonviolenta (in realtà violentissima), che si fonda sulla necessità di mediatizzare manipolandolo il cambio di regime dipingendo i golpisti come vittime e i legittimi governi come carnefici.

Ma i piani degli Stranamore di lingua inglese e francese sono complessi. La Siria non è un boccone facile da mandiare giù. Le condizioni generali socio-politiche del paese sono più che soddisfacenti nel contesto mediorientale e anche in quello internazionale più ampio. Basti dire che Damasco è uno dei pochi paesi al mondo privo di debiti nei confronti degli organismi finanziari internazionali, ha un reddito procapite tra i più alti della regione e la struttura di tipo socialista dell’economia, con un ottimo livello di welfare, offre risultati negli indici di sviluppo migliori di molti paesi occidentali. Sebbene la classe dirigente sia alawita (dunque sciita), è un paese laico, si richiama al panarabismo nasseriano ed al baathismo e la dimensione religiosa non interferisce con quella politica. Damasco è un punto di riferimento strategico per la cultura del mondo arabo, un paese da tutti rispettato, e il consenso della popolazione verso il governo è alto.

La cosiddetta Intelligence occidentale ritiene invece che gli esponenti più filo-occidentali, che pure in Siria vi sono, possano rappresentare una leva importante per la sollevazione popolare che, come sempre, nei racconti che gli americani fanno a loro stessi e al resto del mondo, si attiva non appena si profila all’orizzonte la bandiera USA per insorgere contro il socialismo. Procedono dunque con lo schema da primavere arabe e, dall’11 Marzo del 2011, scatenano manifestazioni di oppositori, sunniti e infiltrati israeliani. La polizia va in strada disarmata per evitare scontri; le manifestazioni non diventano mai di massa, ma i “pacifici dimostranti” tali non si rivelano: sette agenti morti nelle prime due giornate di manifestazioni al grido di “siamo tutti jahidisti”. I conseguenti, inevitabili scontri con le forze di sicurezza, gli arresti e le vittime, diventano il veicolo per passare alla fase due del piano: quella dell’auspicata insurrezione militare.

Si tenta di fare leva su settori delle forze armate, convinti che lì si annida la debolezza di Assad (mentre invece risiede la sua forza). Il piano non funziona ma i mercenari fatti arrivare da ogni dove del Medio Oriente e Caucaso si mettono agli ordini delle strutture politiche nate per l’occasione: Al Nusra (la scissione siriana di Al Queda che nasce ufficialmente nel dicembre 2011) e soprattutto l’ISIS (che nasce ufficialmente nell’aprile 2013), struttura fondamentalista a base mercenaria ideata da Israele e Stati Uniti (come avvenne in Afghanistan con i mujaheddin e la stessa Al Queda) ed interamente finanziata dall’Arabia Saudita, dagli Emirati e dal Qatar.

Al loro fianco, destinati ad offrire una immagine meno raccapricciante all’opinione pubblica internazionale, si creano strutture finte come l’Esercito Libero Siriano e l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Il primo è gestito direttamente dagli USA, il secondo ha base a Londra in un ufficio appartenente al M-I6. Il primo ha il compito di dimostrare come l’opposizione armata contro Assad sia “moderata e democratica”, ovvero che non sia composta solo dai tagliagole del Califfo, mentre l’Osservatorio ha il compito di spargere menzogne e propaganda di guerra per dimostrare presunti orrori dell’esercito regolare siriano. Denunceranno stragi, uso dei gas, fosse comuni e quant’altro, tutto rigorosamente inventato grazie all’aiuto dei Caschi Bianchi, organizzazione mercenaria vicinissima ad Al Nusra, finanziata dalla USAID, e le cui operazioni sul campo vengono realizzate con l’aiuto del Mossad. L’organizzazione é gestita dall’ex ranger britannico, James Le Mesurier, trovato poi morto in un hotel a Istanbul.

Laureato presso la Elite Royal Military Academy della Gran Bretagna, a Sandhurst, Le Mesurier era un ufficiale britannico che faceva parte dell’intelligence, ed era stato coinvolto in una lunga serie di interventi militarti della Nato in molti teatri di guerra, tra cui Bosnia, Kosovo e Iraq. Prima di fondare i Caschi bianchi,  ricoprì ruoli di prim’ordine nell’Olive Groupun’organizzazione privata di mercenari poi fusasi con la Blackwater-Academi in quello che oggi è il Constellis Holdings. Poi, nel 2008, Le Mesurier lasciò l’Olive Group dopo essere stato nominato direttore della Good Harbor Consulting, presieduta da Richard A. Clarke, un veterano della sicurezza nazionale statunitense sotto le amministrazioni Bush e Clinton.

Homs è una delle città chiave per i terroristi. Il sito israeliano Debkafile vi riporta la presenza di ufficiali inglesi e qatarioti nel 2012 e nel marzo 2013 vengono arrestati 13 ufficiali francesi. Gli statunitensi agiscono dalla Turchia. Il Califfato è la più grande concentrazione di mercenari mai vista. Il nucleo originario è fatto di libici, ceceni, afgani e bosniaci. Le città siriane, da Aleppo a Homs a Douma, a Idblid, vengono occupate dalle truppe mercenarie del Califfato, che una volta insediatesi e sostenute dalla Turchia, ritengono di non dover più rispondere agli ordini di Washington (come del resto fece Al Queda in Afghanistan). Minaccia l’intero mondo (tranne Israele) e preoccupa l’intero Islam per le conseguenze di una loro eventuale vittoria, che stravolgerebbe gli equilibri interni del mondo musulmano e aprirebbe una guerra senza quartiere tra le confessioni sciite e sunnite.

Dallo Yemen al Mali al Sudan, l’Africa stessa rischia, sotto l’influenza di Daesh, di essere risucchiata in una guerra su scala continentale. I terroristi si presentano con una modalità di comunicazione moderna, realizzando video, canzoni, manifestazioni nei quali si propone il Califfato come meta finale dell’Islam e documentano a scopo di terrore le atrocità che commettono. Inondano la Siria di sangue ed orrore, espongono autentico odio messianico e ferocia mercenaria ed obbligano l’Occidente a prendere le distanze, almeno in apparenza. Il governo di Assad, del resto, riceve ulteriore sostegno popolare che si esprime anche attraverso manifestazioni oceaniche regolarmente ignorate dai media occidentali e che, nel 2014, porterà alla debordante vittoria elettorale di Assad con l’89% dei voti ed una affluenza al 73%.

Con l’aiuto russo, iraniano e libanese, la resistenza dell’esercito siriano è diventata controffensiva. I calcoli dell’intelligence militare anglo-statunitense si sono rivelati fallaci: l’esercito siriano sa combattere, non retrocede e ha voglia di riprendersi il proprio paese; consapevoli di ciò che li attende nel caso di vittoria del Califfato, le truppe regolari passano alla controffensiva. Ottengono il sostegno dell’Iran, che vede gli Al Quds del Generale Soulemaini sgominare le retrovie del califfo, l’aiuto degli Hezbollah libanesi che s’incaricano di snidarli dalle città dove si difendono utilizzando la popolazione come scudi umani e quello della Russia, che diventa protagonista assoluta del conflitto con la sua aviazione che ribalta i rapporti di forza sul campo.

USA e Israele capiscono l’aria che tira: un conto è attaccare Damasco, ben altro è vedersela con Mosca. La dimostrazione arriva in due momenti distinti: il primo è quando Trump pensa di ordinare una no-fly zone alla quale Mosca avverte subito che non ubbidirà e le cui conseguenze saranno durissime, quindi quando Israele decide di bombardare Damasco lanciando 37 missili. Nessuno di essi toccherà la città, protetta dal sistema di difesa antimissilistica S-400 che la Russia ha consegnato ai siriani.

L’ingresso della Russia e dell’Iran nel conflitto ha completamente cambiato i termini della guerra. L’esercito siriano ha riconquistato quasi completamente il suo Paese ed appaiono ridicoli quanto inutili le proteste occidentali circa gli attacchi aerei sulle città occupate dai terroristi dell’ISIS, in buona parte già rifugiatosi in Libia.

In Siria la strategia occidentale di sovversione permanente destinata a rovesciare i governi progressisti, o comunque quelli che non rispondono più agli interessi statunitensi, ha trovato una sconfitta impensata. Restano sul tappeto problemi non semplici da risolvere, primo fra tutti l’espansionismo criminale turco e la questione curda, per molti aspetti legata. Ma qualunque discussione sui futuri assetti dell’area non potrà che partire da una premessa fondamentale, ovvero l’integrità territoriale e politica della Siria. Proprio quello che per 9 anni hanno tentato di distruggere senza mai riuscirvi.

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/8827-siria-il-boccone-di-traverso.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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