Intervista a Jeronim Capaldo, economista Unctad esperto di globalizzazione e sviluppo: l’iperglobalizzazione trainata da multinazionali e finanza – che trascura disuguaglianze, ambiente e diritti umani – ha generato una condizione di profonda instabilità mondiale che la crisi di Covid-19 sta facendo deflagrare.
A dieci anni circa dalla Grande crisi finanziaria del 2009 arriva una grande crisi multidimensionale, scatenata dalla pandemia di Covid-19, che fa emergere tutti i problemi lasciati irrisolti, nel frattempo, ai diversi livelli di responsabilità politica e economica a livello mondiale, regionale, nazionale e locale. “Fragilità” legate all’esplosione del debito delle grandi imprese, “accumulato nell’ultimo decennio di denaro facile e in un contesto di ‘economie high-tech-gig-giganti’ fortemente sottoregolate, e di disuguaglianze di reddito profondamente radicate”. Parola di Unctad, l’agenzia delle Nazioni Unite che lavora su commercio e sviluppo, mettendo in guardia Stati e organizzazioni coinvolte, e non da oggi, che c’è bisogno di un “nuovo inizio” per la governance globale, e che ci si deve muovere in fretta mettendo in campo soluzioni efficaci e controcorrente per affrontare questa recente emergenza “del tutto prevedibile”.
Si deve rispondere, infatti, non soltanto alla recessione globale alle porte, che potrebbe costarci oltre 2 trilioni di dollari (più o meno l’intero Pil italiano), ma anche “alle disuguaglianze crescenti e la distruzione ambientale in rapido aumento con l’incremento delle temperature globali (sia terrestri che marittime)”. Indicatori che in questi dieci anni hanno rappresentato “quel campanello d’allarme che avrebbe dovuto spingere tutti i Governi e le istituzioni internazionali a mobilitarsi contro gli stress e le fratture che hanno prodotto un mondo sempre più fragile e ansioso”[1].
Jeronim Capaldo è un economista italiano che, dopo aver lavorato in Fao, Undesa, ILO e insegnato all’Università negli Stati Uniti, oggi è tra gli esperti del Dipartimento “Globalizzazione e strategie di sviluppo” di Unctad, e che da molti anni analizza le politiche economiche, finanziarie e commerciali promosse dagli Stati e dalle istituzioni competenti, segnalandone la debolezza a fronte di possibili shock. “Più gli Stati sono organizzati per investire in attività di importanza strategica e regolare le attività economiche, più sono capaci e tempestivi nel reagire alle crisi”, spiega l’economista. “Uno Stato che ha rinunciato, magari attraverso dei trattati, al potere di stimolare l’economia con deficit di bilancio, a guidare i cambiamenti economici con politiche di investimento e a imporre standard di equità o ambientali alle attività economiche può fare ben poco in caso di crisi. E questo è la situazione che si trova a vivere l’Italia, ma non da sola”.
L’economia italiana, come quella europea e internazionale, di fronte agli impatti e ai costi della pandemia, non ha soltanto una crisi di risorse da affrontare. Ha, in primo luogo, una battaglia culturale da vincere, che si riassume con la necessità di riabituarsi, dopo quarant’anni illusioni neoliberiste, a “pensare lo Stato” nei sui ruoli economici indispensabili di stimolo, guida e garanzia. Recuperare la visione di questi ruoli è indispensabile per scegliere e attuare le politiche più efficaci: “a questo proposito è importante sgombrare il campo da due comuni fraintendimenti – sottolinea Capaldo – uno sul debito pubblico, l’altro sui costi del lavoro. Il debito pubblico può certamente creare seri problemi, anche se questi vengono spesso esagerati quando si discute delle economie cosiddette avanzate, ma si dimentica quasi sempre che questo debito è spesso uno strumento essenziale di sviluppo economico”.
E in effetti, al momento, gli Stati a economia avanzata, Cina compresa, stando ai calcoli di Unctad si sono già impegnati a mettere in campo 1,4 trilioni di dollari nel solo 2020 in pacchetti di stimolo che sicuramente avranno l’effetto di alleviare gli impatti immediati, ma che rischiano in gran parte di soccorrere le insolvenze delle grandi imprese, più che sostenere l’economia reale, la risposta sanitaria, i redditi. Eppure questa verità è scarsamente percepita, soprattutto nel nostro Paese.
“In Italia – spiega Capaldo – si sente spesso dire, ad esempio, che il debito pubblico è uno svantaggio provocato alle generazioni di oggi dalle generazioni passate, per miopia, disonestà o incompetenza. Anche se questo potrebbe essere vero in qualche misura, si dimentica completamente che quel debito è anche ciò che ha permesso agli Italiani degli anni Settanta e Ottanta di vivere e lavorare in una potenza industriale a differenza dei loro genitori. Il costo del lavoro è ugualmente demonizzato, ma anche in questo caso in modo ingiusto e a volte disonesto”.
“Una protezione efficace del lavoro”, aggiunge l’economista, “permette un livello alto e stabile di spese delle famiglie ed è un formidabile stimolo a innovare per le imprese. Problemi più seri sono le complessità procedurali e l’incertezza normativa, che però non hanno niente a che fare con gli stipendi dei lavoratori. Le economie più innovative del mondo hanno tutte alti costi del lavoro. Negli Stati Uniti i salari sono generalmente bassi, ma sono molto alti nelle imprese a tecnologia avanzata della Silicon Valley. Questi due fraintendimenti hanno permesso che si adottasse un approccio inefficace alla politica economica nella maggior parte dei Paesi. È l’approccio dell’iperglobalizzazione, ma lo potremmo anche chiamare l’approccio della superstizione”.
Facendo qualche conto a spanne, continuando a utilizzare il nostro Paese come spazio d’osservazione ravvicinata sulle dimensioni più ampie, Capaldo spiega, ad esempio, “che i lavoratori prevedibilmente più colpiti e meno protetti da ammortizzatori sociali saranno i lavoratori del settore del commercio (ingrosso e dettaglio), quelli impiegati nei servizi dell’accoglienza turistica, ristorazione e trasporto. Parliamo di 6 milioni di persone, il 25% degli occupati. Se guadagnano 30mila euro lordi l’anno, volendo essere generosi, il monte salari annuale per questa categoria è stimabile intorno ai 180 miliardi di euro. Supponendo che perdano tre mesi di lavoro e il 25% dei loro guadagni per via dell’epidemia, per permettere loro di assorbire completamente la botta ci vorrebbero 45 miliardi da destinare in trasferimenti straordinari”.
Praticamente 13 miliardi di euro in più delle risorse generate dalla manovra di bilancio 2020, e solo per un settore. L’Italia, però, è anche il Paese in cui, secondo recenti dati di Mediobanca, le sole imprese Software e web hanno fatturato nel 2018 oltre 2,4 miliardi di euro versando al fisco appena un centinaio di milioni: 64 di tasse e 39 di multe[2].
La crisi economica che si prospetta per l’Europa e per il resto del mondo “richiede interventi su quattro fronti”, sostiene Capaldo: nell’immediato, credito straordinario alle imprese perché riescano a far fronte ai costi fissi, soprattutto a pagare i salari. Allo stesso tempo è necessario fornire immediato sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo, oggi più importanti che mai nelle filiere produttive globali, i quali si trovano a dover rifinanziare un forte debito estero proprio quando i capitali fuggono qualsiasi impiego non in dollari. In un momento successivo, ma sempre nel breve termine, c’è bisogno di un forte aumento della spesa pubblica che sostenga la spesa privata durante il crollo di consumi e investimenti. Per funzionare questa spesa pubblica deve concentrarsi in settori strategicamente importanti in questa fase come le strutture sanitarie, i macchinari e i presidi come gel disinfettanti e mascherine”.
Nel medio periodo, secondo l’economista, “è necessario intervenire per ristabilire le forze di cui le economie hanno bisogno per crescere in modo sostenibile: innanzitutto un’assicurazione sociale universale in tutte le sue forme come disoccupazione, malattia, congedo parentale, infortuni, pensionamento, e seri programmi di investimento pubblico che sviluppino direttamente i settori produttivi più importanti, a partire dalle infrastrutture sanitarie, e invoglino i privati a investire a loro volta”.
La scommessa di stimolare con cospicui investimenti pubblici la mobilizzazione di capitali privati secondo Unctad è stata largamente persa dagli Stati negli scorsi anni: “dagli anni Ottanta – spiega l’agenzia nel suo Rapporto 2019 – quando la finanza liberalizzata ha afferrato le redini dell’iperglobalizzazione, il debito globale è aumentato di oltre 13 volte (da 16 trilioni di dollari registrati nel 1980 ai 213 trilioni di dollari del 2017), dominato dal debito privato, che è passato da 12 trilioni di dollari a 145 trilioni di dollari. Piuttosto che promuovere una crescita produttiva e inclusiva – segnala Unctad – la creazione di credito privato è stata fortemente concentrata in attività speculative, incanalate attraverso pratiche di sistema bancario ombra e portando a disuguaglianze di reddito più profonde”.
Rispetto a questa ennesima crisi scatenata dal Covid-19, sul fronte degli interventi di immediata necessità “i primi provvedimenti finanziari dei Governi europei e dell’Unione sembrano appropriati”, valuta Capaldo. “Da un rapido conto sono stati mobilitati più di 3 triliardi di euro in credito di emergenza alle imprese, presumibilmente a costo molto basso o zero”.
Tuttavia, avverte l’economista, “se questi prestiti possono stabilizzare le economie non serviranno però a farle ripartire. Per quello servirà la spesa pubblica e, su quel fronte, per ora è stato offerto poco e con vaghezza: circa 200 miliardi da parte dell’Eurogruppo mentre si discute se creare un altro fondo di 100 miliardi ed eventualmente emettere degli appositi titoli pubblici. Le misure fiscali richiedono necessariamente più tempo per essere pianificate, specialmente in Paesi ormai completamente disabituati a ricorrervi”.
“Nei prossimi giorni”, conclude Capaldo, “potrebbero arrivare altre buone notizie, ma nel frattempo esitazioni, resistenze e meschinità non hanno tardato a manifestarsi. Forse la pandemia precipiterà un cambiamento costruttivo nella leadership politico-economica e nelle richieste degli elettorati, ma è ancora presto per saperlo”.
Note
[1] https://unctad.org/en/Pages/coronavirus.aspx
[2] https://valori.it/e-commerce-e-tasse-per-amazon-e-soci-e-sempre-natale/
da http://sbilanciamoci.info/con-il-coronavirus-deraglia-liperglobalizzazione/