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Claudia Cipriani e Rossella Schillaci

Claudia Cipriani e Rossella Schillaci sono tra le promotrici della lettera I bambini dimenticati, pubblicata su Comune, che ha raccolto in un paio di giorni migliaia di adesioni e ha trasformato un punto di vista di molte persone in un’azione politica (anche per la risonanza con un altro paio di appelli analoghi rimbalzati in rete). Il governo ha confermato: i bambini possono uscire, se accompagnati da un genitore e in “sicurezza”, anche se il 1 aprile sembra in parte tornare in dietro*. In questo articolo spiegano perché al di là del risultato, questa vicenda alimenta speranza: ha messo al centro per una volta i bambini e le bambine; ha svelato indirettamente altre contraddizioni, come le fabbriche aperte; ha ricordato che questo può essere, malgrado tutto, un tempo di riflessione, azione e pensiero critico. E ha suggerito la strada dell’empatia per creare già ora un mondo diverso. Empatia per i molti invisibili: i senza dimora, i migranti, gli operai e soprattutto i detenuti e i figli delle detenute, che vivono in carcere

L’ora d’aria. Parte 1 (Claudia Cipriani)

Il governo ha accettato la proposta di permettere che i bambini possano uscire, accompagnati da un genitore, in sicurezza (mantenimento delle distanze, no assembramenti, no parchi-gioco ecc.). Era una proposta che insieme a molti altri firmatari, da tutta Italia, avevamo pubblicato attraverso una lettera aperta proprio su Comune-info e che era stata riportata da altre testate (e che contemporaneamente era stata inoltrata anche da un gruppo di genitori di Firenze al loro sindaco).

Sicuramente è stato un risultato significativo per una proposta che è partita da un piccolo gruppo e poi si è allargata a macchia d’olio. Significa che ha intercettato riflessioni e sentimenti condivisi. In realtà, a ben vedere, la circolare emessa dal Viminale non apporta grandi cambiamenti, ossia non modifica alcuna norma in vigore, ma chiarisce l’interpretazione di quelle norme che spesso erano di difficile comprensione pure per le stesse forze dell’ordine. Eppure, nonostante questo, in molti si sono scagliati contro questa circolare, compreso l’assessore lombardo Giulio Gallera, che però il giorno prima ha tenuto una conferenza stampa con cinquanta giornalisti, ossia un grande assembramento. A chi glielo ha fatto notare ha risposto che con la mascherina non si corre pericolo e “non è per forza necessario essere a un metro e mezzo”. Quindi un genitore che passeggia col figlioletto, lontano da tutti, è una minaccia, invece un assembramento di cinquanta persone che indossano la mascherina può essere accettato senza problema.

Torniamo un attimo indietro. Io e Rossella Schillaci, che con me ha scritto la lettera aperta, abbiamo avuto diversi dubbi durante la stesura del testo, ascoltando le opinioni di chi ci diceva che ancora non era il momento per parlare di uscite, vista la gravità costante dei bollettini medici. Abbiamo deciso di andare avanti, insieme a molti firmatari, perché ci sembrava importante che si cominciasse a parlare dei diritti dei bambini, fino a quel momento dimenticati. Quella lettera la riscriveremmo uguale ma, forse, non useremmo più l’espressione “l’ora d’aria”, che per noi aveva un intento critico, e anche un po’ ironico, ma che ha creato diversi malintesi. C’è chi ci ha detto che con quell’espressione abbiamo legittimato la regolamentazione rigida delle nostre vite. Di primo acchito ci viene da controbattere: ma adesso come viviamo? La nostra vita non è già tutta regolamentata? Non siamo regolamentati al supermercato? E non abbiamo bisogno di autocertificazioni per oltrepassare i duecento metri da casa nostra?

Devo confessare che fino a oggi non ero ancora del tutto certa che questa richiesta di permesso di uscire per i bambini fosse davvero utile, a fronte di tutte le incertezze e polemiche. Mi chiedevo: “Cosa mai cambierà nelle vite dei bambini uscire mezz’ora senza nemmeno poter giocare?” Poi però mentre ieri pomeriggio tornavo a casa dopo il giro col mio cane ho assistito a una scena comune di questi tempi. Una madre e la figlia erano appena state multate dalla polizia per essere entrate nel parco e aver fatto esercizi di ginnastica al sole. Le due gridavano arrabbiate contro delle persone affacciate ai balconi del condominio di fronte a loro. Chi le aveva denunciate era su quei balconi, dove in diversi urlavano a madre e figlia cose come “criminali!”. Gli dicevano che se volevano prendere il sole potevano benissimo farlo sul balcone di casa loro. La ragazza ha gridato che lei il balcone non ce l’ha. Ecco, sta qui uno dei nodi centrali della questione: l’empatia, l’immedesimazione negli altri, che magari non vivono esattamente come noi. E con l’empatia, la capacità di allargare lo sguardo per andare oltre il singolo, per un’analisi sociale e politica più ampia. Ci sono molte categorie che non vengono ascoltate, per cui viene provata poca empatia, come i detenuti, i migranti e i senza tetto. Poi ci sono quelle categorie che hanno scioperato e gridato i loro diritti, come gli operai delle fabbriche, ma anche loro sono stati poco ascoltati. Infine c’è il personale ospedaliero a cui spesso non è nemmeno permesso rilasciare interviste, che da quasi due mesi lavora a ritmi assurdi e in condizioni rischiose.

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È pieno di contraddizioni questo periodo. Quanto mi piacerebbe vedere le dita puntate ai singoli, togliersi per un attimo da quel punto immobile per mettersi a disegnare, come si disegna un cerchio ampio nell’aria, un discorso politico più ampio, sulla dimensione collettiva, sul perché siamo arrivati a questo punto. Viviamo in un momento pieno di condanne, contro i runner, contro i bambini che fanno passeggiate solitarie, e via dicendo, mentre ci sono ancora tante fabbriche aperte, che producono beni non essenziali, mentre a ritmi sempre forsennati sono costretti i lavoratori di amazon (che continua a fare guadagni record). E mentre la Spagna ha requisito la sanità privata, da noi il nostro personale medico, pubblico, continua a lavorare senza che spesso gli vengano fatti i tamponi. Senza affrontare il più grande dei tabù, ossia quando usciremo da questo limbo per ricominciare a pensare al lavoro senza gran parte del lavoro. Forse sarebbe il caso di gridare anche altre cose dai balconi e di andare alle radici dell’erosione dei basilari diritti alla salute, alla casa, al lavoro. E se c’è una colpa individuale, di ciascuno, vecchi e giovani, per me è quella di essere stati poco collettivi, e politici.

Credo che su queste contraddizioni, entro cui s’inseriscono alcune perplessità circa le privazioni dei diritti più basilari, ci stiano ragionando molti. Da qui la condivisione di diverse proposte, come quella della nostra lettera aperta.

In molti stanno riflettendo sul fatto che la responsabilità non possa ricadere solo su di noi mentre da parte di chi rappresenta le istituzioni non si leggono appelli a un necessario cambio di rotta, a un modello alternativo rispetto a quello che ha massacrato la sanità pubblica e lo stato sociale.

Anch’io non voglio tornare alla “normalità” (quella che ha generato molte storture), come è stato scritto spesso in questo periodo, anzi vorrei che molte cose considerate eccezionali, inconsuete, diventassero la normalità. Vorrei proprio il mondo capovolto, “il sogno all’incontrario” del noto monologo di Paolo Rossi, che ormai ha quasi trent’anni. Perché sarebbe arrivato il momento di capovolgere tutto, di costruire un mondo dove al posto di medici chiamati “eroi di guerra” ci sono medici che possono svolgere il proprio lavoro dignitosamente, un mondo dove la percentuale dei soldi destinati alle spese militari e quella destinata a sanità e istruzione è ribaltata, dove invece di continuare a creare capri espiatori si indagano le cause vere.

La nostra lettera aperta, con quella richiesta, forse è solo poco più di un messaggio nella bottiglia ma quel messaggio è fondamentale: un messaggio a considerare importanti i bambini, e un messaggio, per quando usciremo, a considerare importante, essenziale e non accessorio, il tempo fuori dal proprio appartamento e dal proprio ufficio, anche solo per respirare, per camminare tra gli alberi. Soprattutto per ricordarci, quando saremo di nuovo fuori, che lo smartworking è diventato essenziale, ma lo è anche l’incontro, cercato, voluto, con gli altri, per promuovere discussioni e pratiche per una società diversa, dove non ci siano contraddizioni come quella del 31 marzo, per cui a degli assessori è permesso assembrarsi in una conferenza stampa e a dei bambini non è permesso passeggiare. Per fortuna i bambini nel loro isolamento mandano “briciole di saggezza” come scrive Rossella Schillaci. Raccogliamole.


L’ora d’aria. Parte 2 (Rossella Schillaci)

Ibambini mandano le loro briciole di saggezza. Martino ha ormai capito come andrà a finire e fa il collage (qui sotto) con un testo piuttosto chiaro: “Dopo la quarantena sarò cresciuto un sacco”. Leonardo manda una bella lunga filastrocca con un inizio eloquente: “Aiuto, aiuto: un’emergenza! / Qui ci serve preveggenza!”.

Preveggenza, che bella parola. La cerco sul dizionario, così, tanto per riassaporarne i significati: “capacità di prevedere eventi futuri, o i possibili sviluppi di quelli presenti, e di trarre da questa previsione consiglio per dirigere il comportamento proprio altrui. Ad esempio: un uomo di governo dotato di grande preveggenza”.

Leggo una frase di un articolo che mi fa molto riflettere: “Come uscire dall’eterno presente che ci ha imposto il Coronavirus” di Nadia Terranova.

Possiamo continuare a pensare il tempo del coronavirus come un tempo di mezzo, ma rischiamo di non capire nulla né del passato né del futuro. 

Questo non è un tempo di mezzo, questo è il nostro nuovo tempo. E non si sa ancora quanto durerà. Tante cose gravi stanno accadendo, a cominciare dal bilancio di morti e contagiati che in molte città rimane alto, alla militarizzazione delle strade con effetti così ben descritti da tutti i post in numerosi siti. Si è tuttavia acceso un bel momento di riflessione: non lasciamocelo sfuggire, diamogli respiro.

Una collega, Claudia Cipriani, dopo aver letto l’articolo sui bambini scomparsi per decreto pubblicato su Giap il 24 marzo, alle 10 della sera di due giorni fa, mi manda un messaggio: “Scriviamo una lettera aperta”. La questioni dei bambini a casa, nel bilancio giornaliero dei morti, sicuramente è secondaria, come negarlo. Ma è una delle questioni in ballo, e su questa si può lavorare. Soprattutto se quei minori vivono in situazioni di fragilità e disagio. Così in pochi giorni ci scambiamo un testo, che man mano condividiamo con molte altre persone (pedagogisti, psicologi, antropologi, insegnanti). Con il passare delle ore si trasforma, prende corpo e forma. Con esso avvengono scambi di riflessioni, suggerimenti, critiche.

Il pensiero – finalmente – si risveglia. Ci siamo sentite di nuovo attive, con la voglia di agire e di iniziare a “prevedere” un tempo diverso. Dobbiamo stare chiusi in casa, è vero, ma abbiamo ancora il diritto di avanzare riflessioni e proposte, con una comunità di cittadini ed esperti che discute e condivide. Riporto un brano scritto da Marco Bersani, che trovo illuminante:

Una delle strategie più efficaci messe in campo dai poteri forti durante ogni emergenza consiste nella colpevolizzazione delle persone, per ottenere dalle stesse l’interiorizzazione della narrazione dominante su ciò che accade, al fine di evitare qualsiasi ribellione verso l’ordine costituito. (…) Non è il sistema sanitario, de-finanziato e privatizzato, a non funzionare; non sono i folli decreti che, da una parte, tengono aperte le fabbriche (e addirittura incentivano con un bonus la presenza sul lavoro), e dall’altra riducono i trasporti, facendo diventare le une e gli altri luoghi di propagazione del virus.

No, la colpa è solo dei cittadini irresponsabili, che vanno a correre o fare sport in solitaria. Ora, in questo tentativo di trovare altri nemici, sui social si sono aggiunte anche le mamme (non si capisce perché non anche i papà) che chiedono di far prendere un po’ d’aria ai figli (sempre in solitaria e a distanza di sicurezza).

Chi sarà il prossimo nemico da criminalizzare? Sempre Marco Bersani scrive:

Questa moderna, ma antichissima, caccia all’untore è particolarmente potente, perché si intreccia con il bisogno individuale di dare nome e cognome all’angoscia di dover combattere con un nemico invisibile: ecco perché indicare un colpevole (“gli irresponsabili”), costruendogli intorno una campagna mediatica che non risponde ad alcuna realtà evidente, permette di dirottare una rabbia destinata a crescere con il prolungamento delle misure di restrizione, evitando che si trasformi in rivolta politica contro un modello che ci ha costretto a competere fino allo sfinimento senza garantire protezione ad alcuno di noi.

Nella nostra lettera aperta abbiamo richiesto erroneamente un’”ora d’aria” per i bambini. Era per noi quasi una metafora, ma non abbiamo sufficientemente pensato a chi davvero ha a disposizione solo un’ora d’aria al giorno, e adesso neanche più quella.

Sono circa 60.000 i detenuti che vivono nelle carceri italiane in una condizione di forte sovraffollamento, come denuncia l’associazione Antigone, e che in tempi di coronavirus aumenta drammaticamente il rischio di contagio. Pare che al 28 marzo fossero già diciotto i detenuti risultati positivi al virus, oltre a due poliziotti, come citato da Eleonora Martini sul manifesto. Quali misure sono state prese per fronteggiare questa pericolosa situazione?

In questi giorni abbiamo potuto sperimentare cosa voglia dire essere “segregati”. Tuttavia siamo “reclusi” a casa nostra, con la possibilità di videochiamare chi vogliamo quante volte vogliamo, e di stare accanto ai nostri cari. Proviamo a pensare a cosa voglia dire per quei detenuti essere “esclusi” dalla società, non poter più incontrare i propri cari, nemmeno un’ora a settimana, come nei colloqui ordinari. Essere costantemente preoccupati per i propri familiari, che si possono solo sentire raramente.

Tra questi detenuti ci sono anche circa sessanta bambini, che vivono con le loro mamme in Sezioni nido negli istituti penitenziari o in appositi Istituti di Custodia Attenuata per Madri, ma sono solo cinque in tutt’Italia. Queste madri nella maggior parte dei casi non hanno a chi affidare i loro figli mentre scontano la loro pena. In questo momento questi bambini sono tra quelli che rischiano di più, reclusi nella quarantena generale, senza poter da più di un mese vedere educatori, volontari, maestre, parenti. Ritorna prepotentemente la necessità di prevedere, anche per loro: ogni giorno che passa la situazione è più a rischio.

Ora che, pare, siamo arrivati a una fase tendenzialmente stabile della diffusione del contagio, credo sia importante ragionare sul da farsi e chiedere: qual è il piano? Per questi e tutti i bambini, ma non solo. Non siamo adulti “irresponsabili2 ma cittadini che vogliono contribuire allo sviluppo della loro società. Quali sono – in dettaglio – le strategie che il governo ha in mente di attuare, a cominciare dalla gestione della scuola e delle carceri, può illustrarcele?

Spesso si è parlato di alcune analogie dell’esperimento della rana, che messa in un pentolone con dell’acqua tiepida, pian piano si adatta. Quando l’acqua diventa bollente non ha più le forze per saltar fuori e reagire. Non siamo rane da bollire, siamo cittadini. Cerchiamo di riacquistare lucidità e pensiero critico.


* Al di là delle confusionarie e tristi dichiarazioni del presidente del consiglio, qui è possibile leggere la nota scritta del ministero dell’interno che conferma come sia consentito uscire con i figli minori “a un solo genitore per camminare purché questo avvenga in prossimità della propria abitazione e in occasione spostamenti motivati da situazioni di necessità o di salute”. Nella Circolare ufficiale del 31 marzo in vigore si legge: “… è da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto, purché in prossimità della propria abitazione…”.


Uno spazio per riempire di idee, pensiero critico e libertà questi giorni dominati da isolamento dei corpi, scuola a distanza e pauraRompere le distanze

https://comune-info.net/lora-daria/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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