Le straordinarie condizioni economiche e di isolamento sociale legate alla pandemia del Coronavirus portano le grande aziende agricole a confessare che l’economia italiana, specie nel loro settore, si basa sul supersfruttamento di grandi contingenti di lavoratori stranieri: per superare la loro crisi, gli agrari richiedono misure urgenti per avere lavoratori poco pagati nei loro campi.
In questi giorni di pandemia e incertezza Confagricoltura, la Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana, praticamente la Confindustria delle aziende agricole, sta lanciando appelli riguardo la grave situazione che potrebbero vivere le aziende del settore alimentare per la mancanza di manodopera che andrà a impattare sul comparto, oggi più che mai essenziale.
A rispondere a questa chiamata alle armi ovviamente ci sono figure istituzionali e governative di ogni ordine e grado tanto che nel decreto Cura Italia si stanziano cifre considerevoli per le aziende del settore anche per questioni non proprio immediatamente ricollegabili alle questioni emergenziali come i milioni stanziati per pubblicizzare il mercato delle fragole (di cui le aziende italiane sono tra i primi produttori al mondo). A queste grida d’aiuto ha risposto anche Giorgio Gori, sindaco di Bergamo di sponda Partito Democratico, di cui pubblichiamo lo screenshot di un post su Twitter che recita:
Insomma il sindaco della città epicentro del contagio del coronavirus in Lombardia scopre l’acqua calda nel momento in cui le cose si mettono male (per le aziende, certo, ma anche e soprattutto per la popolazione tutta): gli immigrati, quelli respinti dai governi di tutte le risme fino a qualche tempo fa, guarda un po’, servono ai capitalisti, servono alle economie, servono ai mercati. Strano che questa consapevolezza non sia stata messa in campo quando il PD varava le misure più ferocemente anti-immigrati e classiste degli ultimi anni, come il decreto Minniti o quando apriva i lager in Libia per “regolare i flussi”.
Fa poi amaramente sorridere che si parli del lavoro nei campi come fosse una prerogativa di lavoratori di alcune nazionalità, forse qualcuno nel Partito Democratico arriverà a spiegare come mai i lavoratori rumeni (o magari africani o indiani) servano per coltivare la terra, mentre quelli italiani o comunitari no. Già ci immaginiamo risposte seccate che parlano della pigrizia dei giovani italiani, del loro essere troppo “choosy”, per riesumare un termine utilizzato non troppo tempo fa da alti esponenti da uno dei tanti governi che ha guidato il paese in questi anni.
Ovviamente non crediamo che nessuno si azzarderà a dire che forse i campi coltivati, in Emilia Romagna come nella pianura pontina, con i suoi migliaia di sfruttati indiani Sikh, o ancora nel sud Italia con il suo caporalato feroce ai danni specialmente degli immigrati, non sono proprio un luogo di lavoro salubre e soprattutto bisogna fare di tutto per tenerlo separato dalla vista dei lavoratori e delle lavoratrici autoctone, sia mai che ci si accorga finalmente che una delle filiere più essenziali sia retta dalle spalle di centinaia di migliaia di lavoratori che, oltre ad essere immigrati (cosa di assai poco interesse per quanto ci riguarda) sono anche super sfruttati e sottopagati al limite dello schiavismo.
L’emergenza sanitaria continua, insomma, a far venire a galla le contraddizioni di un sistema che fa davvero fatica a tenersi in piedi sulle sue gambe d’argilla. In una situazione simile, non possiamo semplicemente adattarci alle leggi ereditate dal periodo di “pace” precedente: rivendichiamo la cancellazione immediata dei dispositivi e delle leggi repressive e anti-immigrati di Minniti e Salvini!
Rivendichiamo l’estensione dei diritti politici e civili a tutta la popolazione immigrata, che va riconosciuta ufficialmente come una parte fondamentale della società tutta di cui non si può fare a meno, nemmeno volendo, con buona pace di Salvini e sovranisti.