La conferenza stampa di ieri del Primo ministro Giuseppe Conte, che seguiva la terza riunione dell’Eurogruppo e le fortissime tensioni in seno alla maggioranza e alle opposizioni, segna un cambio di passo (scomposto, a dire il vero) del Governo che si sta giocando in questi giorni il suo futuro e quello del paese.
di Adriano Manna
Al netto dei proclami e contro-proclami dei vari capi di Stato, dalle riunioni dei Ministri delle finanze dei 19 Stati membri dell’Eurozona è uscito ben poco: la faglia che divide gli Stati del nord da quelli del sud, con i primi indisponibili ad istituire un fondo per una reale condivisione economica degli sforzi finanziari necessari per affrontare la crisi, è ancora drammaticamente lì.
Se gli Eurobond sembrano ad oggi ancora un miraggio, l’unico reale passo in avanti è rappresentato dall’apertura di una linea di credito tramite il famigerato Mes per le spese relative alla sanità pubblica, una linea che non sarebbe eccezionalmente condizionata a politiche di rientro dal debito.
Dalla conferenza stampa di Conte apprendiamo che si tratterebbe di un’opzione che comunque l’Italia non prenderebbe in considerazione, ma che avrebbe appoggiato unicamente perché altri paesi dell’asse del sud, probabilmente la Spagna, sarebbero invece intenzionati a farne uso.
Oltretutto, il famigerato Mes, al di là di una reale comprensione di uno strumento in campo dal 2012 (con varie modifiche succedutesi negli anni), non è potabile in Italia sia per la netta contrarietà del partner di governo M5S, che per la martellante propaganda, questa sì colpevolmente distorsiva, messa in campo dalle opposizioni di destra in una fase in cui la rimozione della questione migratoria dal dibattito pubblico rischiava di lasciarle senza efficaci argomenti di propaganda.
Il cambio di passo del Primo ministro Conte ha infatti due direttrici d’azione: le istituzioni europee, alle quali dichiara a mezzo stampa che non accetterà accordi al ribasso che non prevedano gli Eurobond, e alle opposizioni, che arriva ad attaccare frontalmente facendo nomi e cognomi dei leader (Meloni e Salvini) in una conferenza stampa a reti unificate, un atteggiamento quanto meno inusuale, anche al netto dell’effettiva irresponsabilità dei personaggi in questione.
Al netto di improbabili immissioni di liquidità fresca da parte dell’Europa, per l’Italia rimane la necessità di individuare immediatamente nuove risorse finanziare per la gestione della crisi e, soprattutto, del post-crisi, quando ci sarà da provare a far ripartire un’economia dilaniata dal lockdown.
Al riguardo il Partito Democratico ha messo sul piatto una proposta che avrebbe anche un accenno di progressività, ossia una tassa di solidarietà per i redditi sopra gli 80.000 euro annui.
Una proposta che avrebbe anche un suo senso, ma che sarebbe tuttavia più corretto, sotto il punto di vista dell’equità sociale, basare sui patrimoni milionari piuttosto che sul reddito, come giustamente suggerito da ambienti di sinistra.
Oltre a queste considerazioni, rimane da verificare quanto si rivelerà efficace (e sostenibile) la scelta di Conte di provare ad accentrare sulla sua figura la tenuta complessiva del Paese, con l’individuazione di un fronte di battaglia interno (le opposizioni) ed esterno (l’Europa) da cui a questo punto non si potrà più sottrarre.
Se sul piano esterno le sue parole fanno presagire l’ipotesi di un clamoroso strappo a livello comunitario qualora non venissero accolte le richieste italiane (ma il paese, già così stanco e indebolito, sarebbe in grado di reggerlo?), sul piano interno l’inedito attacco alle opposizioni a reti unificate lo porta al limite, se non già oltre, della dialettica costituzionale, a cui solo il Presidente Mattarella potrebbe “metterci una pezza” invocando la calma alla luce della gravità del momento.