Al caos sanitario causato dai tagli alla sanità pubblica si aggiungono beffarde gestioni degli ammortizzatori sociali, che per favorire la previdenza e la sanità integrativa tagliano i diritti. Non lo scorderemo.
Cresce la rabbia e l’impotenza. Sono questi gli stati di animo sempre più diffusi a fine Marzo 2020.
La rabbia dinanzi alle migliaia di morti che finiranno negli annuari statistici. Defunti in attesa di sepoltura in qualche camera mortuaria cimiteriale. Rabbia perché la crisi sanitaria provocata dai contagi ha solo palesato quanto in pochi denunciavano da anni: sanità al collasso tra tagli, privatizzazioni e spending review.
I medici cinesi arrivati in nostro soccorso hanno riconosciuto grande professionalità ai sanitari in trincea ma allo stesso tempo ci hanno ricordato che ci sono troppi ospedali vecchi e fatiscenti, di vecchia concezione e inadatti ad affrontare le emergenze. Hanno giudicato insufficienti i Dpi (dispositivi di protezione individuale) in dotazione e insostenibili i carichi di lavoro, acuiti dalla carenza di personale. Per anni abbiamo contestato la costruzione degli ospedali in project financing o la chiusura di tanti presidi, gli accorpamenti compulsivi delle Asl senza mai verificare quanti servizi erano stati ridotti o perfino cancellati.
La rabbia scaturisce anche dalla impotenza che ha accompagnato la nostra azione sindacale, sociale e politica da 10 anni a questa parte. Sono stati cancellati 70 mila posti letto, chiuse 175 unità ospedaliere e in un solo biennio, tra il 2010 e il 2012, tagliati 25 miliardi di euro favorendo la spesa delle famiglie per la sanità privata, dopo aver nel frattempo impoverito quella pubblica.
Erano gli anni, siamo nel 2011, del pareggio di bilancio con tanto di modifica dell’art 81 della Costituzione, l’Europa chiedeva a noi tutti\e senso di responsabilità e la contrazione delle spese pubbliche. Peccato che nel frattempo continuavano a crescere le spese militari, gli interessi del debito, si speculava, tra scandali e ruberie, sulla sanità pubblica.
La rabbia scaturisce dalla semplice rimembranza dei fatti di cronaca o dalla lettura di vecchi articoli e volantini: solo pochi anni fa scrivevamo che con i tagli imposti al sociale e alla sanità non saremmo stati in grado di fronteggiare situazioni di emergenza. E le previsioni si sono presto dimostrate fondate.
La rabbia aumenta come anche l’odio sociale degli esclusi da ogni ammortizzatore sociale. È cosa risaputa che l’Italia sia il paese dell’economia sommersa, di quanti in assenza di un regolare contratto non potranno usufruire del Fis o della cassa o del bonus da 600 euro.
Gli ammortizzatori sociali nell’attuale emergenza sono poi quelli di sempre; a nessuno è venuto in mente che andavano rivisti nell’ottica di estenderne i benefici. Capita per esempio che le aziende dei settori in cui vigono contratti di lavoro che non prevedono l’attivazione dei fondi di solidarietà e che ricorrono a un diffuso ammortizzatore, il Fondo di Integrazione Salariale (Fis), non potranno pagare gli assegni familiari (Anf) perché una circolare dell’Inps lo esclude categoricamente. La vera ragione di questa esclusione è che il Fis opera solo nei confronti dei lavoratori dei settori dove non sono attivi i fondi di solidarietà degli enti bilaterali. Questi ultimi sono, al pari delle leggi sulla rappresentanza sindacale, l’asse portante delle perverse relazioni sindacali, costruite con la complicità dei sindacati confederali, che hanno comportato sempre più disparità e hanno alimentato la previdenza integrativa. In pratica è stato operato una sorta di ricatto: o si versano i soldi agli enti bilaterali o, in alternativa, si può applicare il Fis. Ma in questo secondo caso si penalizzano i dipendenti a cui sarà inibito l’accesso agli assegni familiari.
Quando leggiamo dichiarazioni secondo cui gli Enti bilaterali sono parte integrante di una democrazia pluralista che affianca lo Stato, la maledetta sussidiarietà, dobbiamo amaramente constatare che neppure l’emergenza Coronavirus e la strage di migliaia di innocenti ha imposto una inversione di rotta, si continua a ragionare nella logica dei patti di stabilità, del non accrescimento della spesa pubblica. Si persevera nella costruzione di un sistema di relazioni sindacali attraverso strumenti coercitivi, consociativi e corporativi.
A contagio terminato, se avessimo la forza di farlo, dovremmo istituire dei tribunali del popolo e sul banco degli imputati mettere non solo i fautori dei tagli e delle politiche di austerità ma anche i loro complici sindacali.
Invece di assicurare ammortizzatori sociali uguali a tutti, si mira a speculare sull’emergenza sancendo di fatto l’obbligo di aderire ad enti bilaterali all’interno dei contratti nazionali, solo per favorire l’assistenza sanitaria integrativa – in netto contrasto con il principio costituzionale dell’universalità del diritto alla salute – e della previdenza complementare, rendendo obbligatoria la presenza di questi enti a livello aziendale e locale.
Ecco cosa sta accadendo nei giorni del contagio, persistono con i tetti di spesa, lesinando perfino sull’acquisto di Dpi, dilatano aziende e servizi per i quali corre l’obbligo di apertura e provano a costruire nuove relazioni sindacali nell’alveo della legge sulla rappresentanza. Vogliono costringerci a tornare vittime della normalità, di quella normalità che avevamo più volte riscontrato come stato di eccezione tra privatizzazioni dei beni comuni e impoverimento sociale e salariale.
Non arrendiamoci allora alla banalità del normale, niente sarà come prima e quanti pensano di cancellare dalla nostra mente la strage degli innocenti e la distruzione della sanità pubblica sappiano che non dimenticheremo e alla occorrenza presenteremo il conto.
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