Bandiera bianca
Nel pieno dell’emergenza COVID-19, prima della pubblicazione dei risultati delle primarie – farsa tenutesi in Wisconsin martedì scorso e dunque, della conferma o smentita del fatto che Joe Biden gli stesse lasciando soltanto le briciole, Bernie Sanders ha deciso: si è ritirato dalla corsa alla nomination democratica per le presidenziali. Il Senatore del Vermont, dunque , non avrà più la possibilità (almeno per quest’anno) di correre alla carica di POTUS, il Presidente degli Stati Uniti. Tale ambizione, ora, resta ai soli Donald Trump e Joe Biden.
Che cosa accadrà ora?
Innanzitutto, non è più scontato che il prossimo novembre si tengano le elezioni presidenziali come da programma. Anthony Fauci, super virologo che collabora con la Casa Bianca, ha pubblicamente reso noto che tutto dipenderà da come evolverà il virus. Gli Stati Uniti, ricordiamo, sono nell’occhio del ciclone e le previsioni dicono che l’ormai celeberrimo picco debba ancora raggiungerli.
Quando mercoledì 8, tramite annuncio ufficiale e discorso di commiato sui suoi social, Sanders ha ufficializzato la sospensione della campagna, ha sottolineato come il momento di crisi sia terribile e, dunque, non abbia senso favorire la competizione, bensì sia meglio unificare il partito. Ovviamente sono scuse. Virus o non virus, la competizione cui Sanders si riferisce era praticamente già chiusa. Il vantaggio di Biden nei suoi confronti è palpabile, 1217 delegati contro 914, con una forbice che si allargava dopo ogni votazione; oramai neanche il più ottimista dei sostenitori del governatore del Vermont poteva più sperare in una rimonta. Anche arrivando sempre buon secondo, negli Stati rimanenti, Biden avrebbe potuto veleggiare verso la nomination. Naturalmente poi, lo stop effettivo della campagna democratica, dunque di dibattiti e comizi in giro per gli States, ha de facto azzerato quelle esigue possibilità di recupero che Sanders poteva sperare di avere.
Joe Biden ha dunque il vantaggio, ora, di potersi concentrare esclusivamente sulla sfida con Donald Trump. Il Presidente appare ben più forte del suo sfidante democratico, ma la tardiva reazione al contagio con tutto quello che ne sta conseguendo – gli USA sono diventati epicentro della pandemia – e la sua innegabile incompetenza a gestire questa emergenza, potrebbero fargli perdere punti. Ovviamente, non è possibile incolpare Trump del contagio, si tratta di una situazione che non ha nulla a che vedere con la quantomeno discutibile politica del miliardario; è però possibile ritenerlo responsabile del ritardo nella risposta al virus. Lo stesso Fauci ha ammesso che”si sarebbero potute salvare delle vite” qualora si fosse intervenuti per tempo. Oramai comunque ha poco senso guardare indietro. Bisogna pensare a domani, a come (e se) sarà possibile organizzare una campagna elettorale incisiva ed efficace, a sostegno di Biden.
L’eredità di Sanders
Come ricorderà chi ha seguito gli articoli sulle primarie che abbiamo pubblicato su AFV, o chi si è tenuto informato in altro modo e legge questo articolo, ricorderà che Sanders era partito molto bene, all’inizio di febbraio. Dopo una tripletta di Stati (Iowa, Vermont e Nevada), il Senatore del Vermont era considerato da tutti il frontrunner della gara. Contemporaneamente, Biden pareva affondare e i moderati erano pronti a saltare sul cavallo di Mike Bloomberg. Sic transit gloria mundi. In principio fu la primaria del South Carolina, poi il Super Tuesday e poi via via tutte le altre (poche) tornate di marzo, Joe Biden aveva rimbalzato ed era ora il più alto di tutti; con il passare dei giorni, a Sanders non è rimasto altro da fare che constatare l’ovvio e prenderne atto. Dopo averlo fatto, comunque, lo sconfitto ha voluto precisare: “Se questa campagna volge al termine, lo stesso non vale per il nostro movimento.” Sembrerebbe infatti che, sottobanco, lo staff di Sanders sia riuscito ad accordarsi con Biden per far entrare alcune soluzioni proposte dal Senatore del Vermont in tema di debito universitario e abbassamento dell’assicurazione sanitaria nel programma dell’ex vice di Obama. Non ci sarebbe da stupirsi, queste pratiche sono all’ordine del giorno qualora si voglia ottenere un endorsement dal proprio avversario.
Sanders ha molte più possibilità di ottenere qualcosa ritirandosi in questa maniera, deponendo l’ascia di guerra e collaborando con Biden, piuttosto che continuare a lottare per nulla, inimicandosi un partito che già lo considera una oddball, uno un pò strano, un finto dem di estrazione comunista che può far più male che bene all‘establishment, a quei politici di professione che stanno all’ombra nelle stanze dei bottoni, molto più felici che a sfidare Trump ci sia un repubblicano travestito da democratico rispetto ad un uomo di sinistra. Sanders ha deciso di mantenere il proprio nome sulle schede elettorali delle primarie, in modo da continuare a conteggiare il suo supporto. In questa maniera, potrà avere una leva a Milwaukee, quando si svolgerà la convention per ufficializzare la nomination di Biden.
Non che il governatore del Vermont avesse più molte alternative. Tutti i suoi più influenti alleati, a partire dalla stellina della politica statunitense, Alexandria Ocasio-Cortez, gli chiedevano il ritiro. La delusione del 78enne deve essere forte ma la sua sconfitta era ormai palese, alla fine della fiera, Sanders è stato più minaccioso 4 anni fa, nella sfida con Hillary Clinton che in questa contro Biden. Sono settimane che Bernie, come lo chiamano indiscriminatamente i suoi sostenitori, non fa davvero più paura a nessuno, politicamente parlando.
La sfida di Biden
Non è affatto scontato che il popolo di Sanders si schieri con Biden. Unire il partito e raccogliere tutti i sostenitori dem sotto la sua candidatura potrebbe dimostrarsi un compito gramo, addirittura troppo complicato per uno come Biden, che ha il magnetismo di una giornata nebbiosa di novembre. Ciò andrebbe naturalmente a tutto vantaggio di Trump. Certo la condivisione e l’incorporazione nel proprio programma di alcune idee di Sanders è un primo passo ma la destinazione resta ancora molto lontana. Torniamo a quattro anni fa, a quando Hillary Clinton, fresca di nomina a candidata presidenziale, cominciando forse a fiutare la forza di Trump, decise di far proprie alcune idee di Sanders. Nonostante questa scelta, probabilmente un pò troppo tardiva, quasi un sostenitore del Senatore del Vermont su dieci, dichiarò ad alcuni sondaggisti che avrebbe sostenuto il candidato repubblicano. Certo l’odio per i Clinton, per i loro privilegi, per le loro amicizie nelle sfere alte della finanza, contribuì in larga parte all’allontanamento dei socialisti dal Partito Democratico, che finì per esser visto come più conservatore di Trump. Il miliardario, infatti, è un outsider nel vero senso della parola. Visto di cattivo occhio da gran parte del suo partito, non è mai stato un politico di professione, un privilegiato che ha vissuto protetto dalle mura del Congresso di Washington (come hanno fatto tanto Biden quanto Sanders) e, dunque, per strano che possa apparire all’elettore italiano, molti membri del cosiddetto Bernie’s people, il popolo di Bernie, hanno sostenuto un radicale destrorso come Trump piuttosto che una conservatrice democratica come Clinton. Biden non è troppo distante politicamente dalla ex first lady.
Naturalmente le condizioni, dopo 4 anni, sono molto variate. Ora abbiamo avuto un assaggio della politica di Trump e sappiamo cosa potrebbero significare altri 4 anni; non abbiamo più una candidata caratterialmente fredda come Hillary Clinton, una che negli ultimi 16 anni si è candidata alle primarie ben 3 volte, mettendo a seria prova la pazienza di molti. Inoltre, poi, Biden potrebbe giocarsi la carta della sua vicepresidenza, gli 8 anni a stretto contatto con Barack Obama, il cui carisma è indubbio e il cui fascino riuscì a conquistare molti di quei giovani democratici che oggi rappresentano la porzione di elettori meno convinta da sleepy Joe, come ama ripetere Trump, un uomo che ha sempre avuto la minestra bella e pronta, un rappresentante dell’establishment che più volte nei dibattiti ha affermato di non essere socialista, non essere rivoluzionario ma essere semplicemente democratico. Praticamente una confessione di come non cambierà assolutamente nulla qualora fosse lui ad occupare lo Studio Ovale, a partire dall’anno prossimo.
La mossa di Trump
Trump, che non è certo uno stupido, conosce bene queste difficoltà e si è già mosso. A poche ore dal ritiro di Sanders, the Donald ha subito fatto correre il suo pollice su Twitter, accusando i piani alti dem di aver nuovamente sabotato la campagna di Sanders. Il Presidente ha dato la colpa a Elizabeth Warren, il punto di mediazione tra Bernie e l’establishment dem, la quale non ha mai appoggiato Sanders, pur avendo posizioni molto più vicine alle sue che a quelle di qualunque altro candidato a queste primarie, dopo essersi ritirata dalla corsa delle primarie. Probabilmente, sono numerosi i sostenitori del governatore del Vermont che la pensano esattamente come Trump. Il tweet del tycoon si conclude astutamente con la parola TRADE! tutta in maiuscolo. Tale sostantivo, in inglese, significa sia scambio sia commercio. Con queste 5 lettere il Presidente non solo invita il popolo di Bernie a spostarsi sulle sue frequenze d’onda, scambiando il proprio schieramento politico, ma enfatizza anche la vicinanza tra le proprie posizioni e quelle di Sanders in questo delicato settore.
Non sappiamo se la mossa di Trump pagherà. Non sappiamo se gli indecisi democratici, che magari non hanno neppure preso parte alle primarie, finiranno per appoggiare Biden. Ad oggi, non sappiamo neppure se la campagna elettorale potrà partire nel prossimo futuro o meno. C’è ancora tempo prima delle presidenziali, ammesso si svolgano come stabilito, ed è presto per fare previsioni attendibili. Non ci resta che attendere e vedere come si svilupperà la sfida.