No, non è 1984 di Orwell. E nemmeno l’inizio di Blade Runner, quando cioè il replicante riesce a scappare. E non siamo nemmeno dinanzi a uno dei tanti prodotti di Netflix che ascriviamo alla categoria Sci Fi (science ficition). È la Londra del dopo Brexit.
La città britannica, con quasi mezzo milione di telecamere tradizionali, è già la seconda città del mondo più sorvegliata, ripresa, mappata.
Come se tutto questo non bastasse, da più di un mese la polizia si avvale di un sistema di riconoscimento facciale in tempo reale che consente di confrontare migliaia di immagini tra quelle conservate nei data-base delle persone ricercate. Qualora le immagini dovessero dare esito positivo, le forze dell’ordine potrebbero ricorrere all’arresto.
La Metropolitan Police (MET) sostiene che il data-base è formato soltanto da individui particolarmente pericolosi, ricercati per crimini efferati e o per terrorismo. Attualmente pare che queste telecamere siano attive soltanto nella zona di Oxford Circus, ma come ha dichiarato Scotland Yard a un’emittente televisiva americana (Voice of America), l’idea è quella di installarle all’interno di tutti quei quartieri considerati più a rischio e a più alta densità criminale.
La tecnologia impiegata è fornita dalla NEC, la multinazionale giapponese che ha messo a punto le telecamere dotate di LFR (Live Facial Recognition). Questo fuga ogni dubbio: si tratta inequivocabilmente di un algoritmo in grado di eseguire un’analisi del volto in tempo reale, consentendo alle forze dell’ordine di intervenire immediatamente e arrestare l’individuo ritenuto colpevole.
Amnesty International è intervenuta molto duramente:
“Questa tecnologia di sorveglianza di massa manca di trasparenza e supervisione giudiziaria. A rischio sono i diritti alla riservatezza, alla libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica e anche quello a non essere discriminati”
Ma al di là delle preoccupazioni per le violazioni dei diritti individuali, per l’uso dei dati, le libertà, quello che preoccupa è il margine di errore.
A detta delle forze dell’ordine della MET il riconoscimento facciale va a buon segno il 70% delle volte, mentre le ricerche indipendenti condotte da ricercatori collocano il margine di errore in un range meno ottimista di quella della polizia.
Quattro persone su cinque identificate dalla tecnologia di riconoscimento facciale della polizia metropolitana come possibili sospetti sono innocenti, secondo gli studi dell’Università di Essex. I ricercatori dell’Ateneo britannico hanno scoperto infatti che il sistema controverso è impreciso all’81%, questo significa che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha segnalato i volti alla polizia senza che questi fossero davvero nel data-base.
Purtroppo il Regno Unito non ha una legislazione specifica che possa tutelare i cittadini. Anzi, di recente una sentenza dell’Alta Corte ha giudicato del tutto lecito l’uso del riconoscimento facciale da parte della Polizia.
Le cose invece sembrano diverse all’interno dell’UE. Il nostro europarlamento a gennaio aveva preso in considerazione la messa al bando del riconoscimento facciale per cinque anni, finché cioè non si sarebbero trovate nuove regole per tenere sotto controllo diritti e privacy.
La Commissione europea stava dunque valutando una possibile moratoria sulla tecnologia come parte del suo Libro bianco sull’intelligenza artificiale. Tuttavia, nella versione finale del Libro uscito a metà febbraio non c’era più traccia della moratoria.
L’identificazione facciale parrebbe per ora consentita solo per motivi di “sostanziale interesse pubblico” e comunque in ogni caso sottoposta alle regole UE e alle restrizioni dei singoli stati membri. Tutto fa pensare che l’UE voglia avvalersi di tale tecnologia solo in stati d’eccezione o d’emergenza.
In meno di un mese dunque siamo passati da una possibile moratoria ad una sostanziale apertura verso questo genere di tecnologia, seppur regolata e dentro alcuni limiti.
Bisognerà stare bene attenti e seguire i prossimi passi della Commissione, ma soprattutto non sottovalutare l’importanza dell’uso dei nostri dati, delle nostre libertà digitali, perché ne vale del futuro democratico di un intero continente che ha già perso la guerra dei dati personali, consegnando tutto nelle mani di Stati Uniti e Cina.