Ad oggi, nel mondo esistono 196 Paesi riconosciuti sovrani dalla totalità o dalla grande maggioranza delle comunità internazionale, il più giovane dei quali è il Sudan del Sud, sorto nel 2011. A questi si aggiungono dieci stati che invece vantano un limitato riconoscimento internazionale: si tratta di stati che hanno dichiarato la propria indipendenza e che esitono de facto, potendo vantare una qualche forma di sovranità territoriale, ma che vengono ufficialmente riconosciuti come tali solamente da un ristretto gruppo di Paesi.
Non parleremo qui degli stati non riconosciuti, dei quali tratteremo in un prossimo articolo, ma ci concentreremo specificatamente su stati che ancora non esistono, ma che potrebbero vedere la luce nei prossimi anni a seconda degli sviluppi delle questioni politiche internazionali. Sebbene molte aree del mondo siano attraversate da spinte indipendentiste o unioniste, abbiamo scelto dieci casi fra i più importanti che potrebbero ridisegnare la geografia mondiale.
In teoria, lo stato nascituro più vicino a raggiungere l’indipendenza è quello di Bougainville. Si tratta di una regione autonoma della Papua Nuova Guinea costituita dall’omonima isola principale e da altre isole minori, ed abitata da circa 250.000 persone. Il movimento indipendentista ebbe inizio negli anni ’60, e, subito dopo l’indipendenza della Papua Nuova Guinea dall’Australia, nel 1975, venne dichiarata la nascita della Repubblica delle Salomone settentrionali. Nel 1976, tuttavia, le isole tornarono a far parte della Papua Nuova Guinea. Tra il 1988 ed il 1998, le spinte indipendentiste portarono ad una vera e propria guerra, che causò almeno ventimila vittime. Nel 2019, un referendum per l’indipendenza ha visto il 98.31% dei votanti esprimersi in favore di questa soluzione. Il referendum, tuttavia, non era vincolante, e saranno le autorità di Port Moresby a decidere sull’avvenire di Bougainville.
Restando in Oceania, un’altra isola che potrebbe raggiungere l’indipendenza è quella della Nuova Caledonia. Questo territorio, attualmente collettività d’oltremare della Francia, ha visto lo svolgimento di cinque referendum dal 1958, che fino ad ora hanno sempre respinto le proposte indipendentiste. Nel 2018, tuttavia, la quota degli indipendentisti ha raggiunto il 43.33% dei votanti, continuando la propria salita costante dall’1.88% del 1958. Secondo gli accordi di Nouméa, stipulati con la Francia nel 1998, la Nuova Caledonia organizzerà due nuovi referendum quest’anno e nel 2022, e raggiungerà l’indipdendenza nel caso in cui uno solo di questi dovesse terminare con quest’esito.
Sebbene l’Europa venga generalmente considerata come l’area politicamente più stabile del pianeta, proprio dal cosiddetto “vecchio continente” potrebbero nascere diversi nuovi stati nei prossimi anni. La Brexit ha infatti rinvigorito le spinte indipendentiste della Scozia, che al referendum del 2014 avevano ricevuto il sostegno del 44.70% degli elettori. Nel dicembre 2019, Nicola Sturgeon, leader del governo scozzese, ha formulato una richiesta ufficiale per lo svolgimento di un secondo referendum, respinta da Londra nel gennaio 2020. Tuttavia, lo stesso governo centrale britannico ha ammesso che un secondo referendum potrà avere luogo in futuro, sebbene “non in questa generazione”. Il Regno Unito, poi, potrebbe perdere anche l’Irlanda del Nord, se le spinte unioniste, a loro volta rafforzate dalla recente Brexit, dovessero cultimanare nella nascita di un’Irlanda Unita.
Il 27 ottobre 2017, la comunità della Catalogna ha dichiarato la propria indipendenza dalla Spagna e la fondazione della Repubblica Catalana, in seguito allo svolgimento del referendum del 1° ottobre. Né il referendum né la dichiarazione d’indipendenza hanno ottenuto il riconoscimento della Spagna e della comunità internazionale, tuttavia la questione catalana può considerarsi tutt’altro che chiusa. Un’eventuale indipendenza delal Catalogna, poi, porterebbe quasi certamente all’indipendenza anche dei Paesi Baschi, l’altra regione più ostile nei confronti del governo di Madrid, che può vantare una tradizione indipendentista ancora più lunga e storicamente radicata.
La Danimarca è molto probabilmente destinata a perdere, in un futuro non troppo lontano, la propria sovranità sulla Groenlandia e sulle isole Fær Øer. Nel 2008, la Groenlandia ha lanciato una campagna per l’indipendenza, puntando al raggiungimento di quest’obiettivo nel 2021, in occasione della ricorrenza dei 300 anni dall’inizio della dominazione danese. L’ultimo referendum sull’argomento si è tenuto nel 1979, mentre quelli successivi hanno rafforzato l’autonomia dell’isola, seppur sotto la sovranità danese. Le elezioni del 2018, poi, hanno confermato la volontà di indipdendenza dei groenlandesi, con la vittoria dei partiti favorevoli a questa soluzione. Nelle Fær Øer, invece, l’ultimo referendum sull’indipendenza risale addirittura al 1946, fatto che giustificherebbe l’organizzazione di una nuova consultazione popolare in un futuro prossimo. Anche nell’arcipelago, i risultati delle elezioni tenutesi nel settembre del 2019 hanno visto la vittoria dei partiti separatisti.
Spostandoci in Asia, la Repubblica Federale Democratica di Koryo è un progetto lanciato nel 1980 dal presidente nordcoreano Kim Il-Sung. Si tratta della proposta per la nascita di uno stato federale unitario tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Il nuovo stato proposto da Kim Il-Sung dovrebbe avere un governo centrale con un’Assemblea federale composta per metà da delegati della Corea del Nord e per metà da delegati della Corea del Sud, ma allo stesso tempo dovrebbe garantire ampia autonomia alle due entità, permettendo la conservazione di due sistemi economici differenti. Tale linea rappresenta ad oggi la posizione ufficiale di Pyongyang Sebbene con una denominazione differente, non è detto che l’unificazione tra le due parti della penisola coreana non avvenga in futuro. La Corea del Sud ha infatti attualmente un presidente favorevole a questa soluzione, Moon Jae-In, eletto nel 2017.
Infine, nel continente americano resta da dirimere la questione riguardante Porto Rico. Da anni, le autorità dell’isola caraibica si battono per la modifica del proprio status di territorio non incorporato degli Stati Uniti, che attualmente pone Porto Rico in una posizione intermedia che non garantisce i diritti dei propri cittadini: i portoricani, ad esempio, hanno diritto al passaporto statunitense, ma allo stesso tempo non possono votare per le elezioni statunitensi. Mentre l’opzione dell’indipendenza sta perdendo sempre più peso, la maggioranza dei portoricani ha votato nei referendum del 2012 e del 2017 a favore dell’entrata a tutti gli effetti all’interno della federazione statunitense. In entrambi i casi, Puerto Rico sarebbe destinato a diventare un nuovo stato, indipendente o federato all’interno degli USA.
Giulio Chinappi – World Politics Blog
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Manca il Sahara occidentale e la Nazione Mapuche