Previste inizialmente nel 2018, le elezioni legislative in Mali si sarebbero dovute svolgere su due turni, nelle giornate del 29 marzo e del 19 aprile. Ed effettivamente si sono svolte proprio nelle date prestabilite, nonostante vi fossero diversi motivi per optare in favore di un nuovo rinvio. La giornata del 25 marzo, in particolare, ha visto due avvenimenti assai rilevanti: il Mali ha registrato i primi casi di positività al nuovo coronavirus mentre, nelle stesse ore, veniva rapito Soumaïla Cissé, leader dell’Union pour la république et la démocratie (URD), principale partito dell’opposizione.
Il Mali, per la precisione, è attraversato da ondate di violenze ad opera di gruppi jihadisti dal 2012. Tombouctou, la città più importante del Paese dopo la capitale Bamako, è stata la sede degli episodi più incresciosi, compreso il rapimento di Cissé. Nella stessa città, i gruppi jihadisti hanno minacciato la popolazione, impedendo il regolare svolgimento delle operazioni di voto. Nel frattempo, i casi di positività al nuovo coronavirus sono aumentati fino ai 424 di oggi, compresi 24 decessi.
Tale situazione ha decisamente danneggiato il dato sull’affluenza alle urne: se, al primo turno, il 35.58% degli aventi diritto ha espresso la propria preferenza, facendo registrare un calo di tre punti percentuali rispetto al 2013, al secondo turno la partecipazione è crollata al 16%, ponendo non pochi dubbi sulla legittimità delle elezioni.
In carica dal 2013 e poi rieletto nel 2018, il presidente Ibrahim Boubacar Keïta esce indebolito da queste elezioni sia da un punto di vista strettamente politico che d’immagine. Il suo partito di matrice socialdemocratica, il Rassemblement pour le Mali, resta la prima forza all’interno dell’Assemblée Nationale, ma passa da 66 a 43 seggi sui 147 che compongono l’emiciclo di Bamako. A fare notizia è stata soprattutto la perdita del seggio nel collegio elettorale Bamako IV, considerato come la roccaforte del presidente. Come se non bastasse, il presidente Ibrahim Boubacar Keïta è anche al centro di un’inchiesta per corruzione riguardante l’uso per fini non istituzionali dell’aereo presidenziale.
In seconda posizione troviamo l’Alliance pour la démocratie au Mali-Parti africain pour la solidarité et la justice (Adéma-PASJ) di Tiémoko Sangaré, che vanta una carriera politica con diverse cariche ministeriali. Il partito di Sangaré, alleato con la formazione presidenziale, ha guadagnanto sei scranni, eleggendo ventidue deputati, tre in più dell’URD di Soumaïla Cissé, che si rafforza nel ruolo di prima forza d’opposizione. Lo stesso Cissé, che al momento non è ancora stato liberato, fa parte degli eletti dell’URD. Buona prestazione per il Mouvement pour le Mali di Hadi Niangadou, un nuovo partito che alla sua prima competizione elettorale ha conquistato undici seggi. In tutto, saranno venti i partiti rappresentanti nel parlamento unicamerale del Paese africano, ai quali vanno aggiunti due deputati eletti come indipendenti.
Nonostante l’indebolimento del suo partito, dunque, Ibrahim Boubacar Keïta vede comunque la coalizione che lo sostiene conservare la maggioranza assoluta in parlamento, con oltre cento seggi, situazione che dovrebbe permettere al governo di modificare la costituzione del 1992, al fine di operare una riforma di decentralizzazione, nel tentativo di placare la spinta indipendentista del nord del Paese, secondo la linea del “dialogo nazionale inclusivo” lanciata nel mese di dicembre. Gli equilibri favorevoli dovrebbero anche permettere la conferma di Boubou Cissé nel ruolo di primo ministro, carica che occupa dall’aprile dello scorso anno, nominato in seguito alle dimissioni di Soumeylou Boubèye Maïga.
Il Mali è oggi considerato come uno dei Paesi più poveri del mondo. Salito alla ribalta delle cronache internazionali nel 2012, a causa dell’acuirsi del conflitto interno e dell’intervento militare francese nel territorio dell’ex colonia, il Mali vide in quell’occasione la deposizione del presidente Amadou Toumani Touré, sostituito prima da una giunta militare guidata dal generale Amadou Sanogo e poi da una sorta di governo di transizione condotto da Dioncounda Traoré. L’elezione di Ibrahim Boubacar Keïta nel 2013 è stata salutata come il simbolo della democratizzazione del Paese, ma in realtà il Mali resta uno degli stati più instabili del continente africano, e l’attività dei gruppi jihadisti maliani si è presto allargata ai Paesi limitrofi, come il Burkina Faso e il Niger.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog