Forze politiche di opposizione stanno cercando, in tutto il mondo, di strumentalizzare il nuovo coronavirus e utilizzarlo come arma politica. In Italia lo sappiamo bene. Abbiamo una opposizione che abitualmente si comporta da sciacallo, attaccando tanto per farlo, senza un briciolo di buon senso data la difficoltà della situazione attuale.
Come accade abitualmente, con ogni singola vicenda, il teatrino della politica si schiera: il partito dei pro e quello dei contro; il partito di abbiamo fatto il meglio e quello degli hanno sbagliato tutto; il partito del pollice alto e quello del pollice verso. Aldilà della crisi sanitaria, aldilà dell’emergenza pressoché globale, il COVID può davvero essere un’arma in politica? Dal momento che, come sappiamo, tutto è politica, è inevitabile che sia così. Spesso e volentieri non si tratta neppure di una cosa voluta ma sarà impossibile non giudicare i leader attuali e le opposizioni anche in virtù di quali risultati otterranno nella lotta al patogeno.
Il curioso caso di Donald Trump
Gli Stati Uniti potrebbero essere il caso – emblema di come il coronavirus sarà impiegato nel dibattito politico, apertamente o inconsciamente che sia.
Come ben evidenziato da Cas Mudde, opinionista politico del Guardian, molti liberali e sostenitori di una politica centrista possa rappresentare, qualora non proprio l’alba di una nuova era progressista, almeno la fine dell’ondata di populismo che ha bagnato l’intera pianeta, inondandone alcune parti. In effetti, Donald Trump ed il suo governo sono una tangibile rappresentazione di come il populismo possa essere abietto ed inadatto a gestire gravi situazioni come quella con cui abbiamo avuto e stiamo ancora avendo a che fare. In fin dei conti, il commento di Trump sul Lysol (il disinfettante che, a detta dell’inquilino della Casa Bianca, può essere usato come trattamento contro il COVID – 19 se iniettato all’interno del corpo) dovrebbe avere aperto occhi e orecchie anche ai peggiori sordi e ciechi, quelli che volontariamente non volevano vedere e sentire ragioni sull’incapacità del Presidente. Dopotutto, neppure il più talentuoso tra i leader populisti – e Trump è sicuramente in lizza per tale titolo – è in grado di mentire, guadagnandosi una via d’uscita a parole dalla pessima gestione di una pandemia, non è vero?
Possibile rimbalzo
Di questo, è meglio non esserne troppo sicuri. E’ indubbio che the Donald abbia risposto in maniera insufficiente alla diffusione del contagio. Inizialmente, se n’è completamente disinteressato, continuando a parlare di poco più di un’influenza, cinese naturalmente; dopodiché ha dovuto cambiare versione, quando la pandemia aveva stretto la morsa attorno agli States, rendendoli il Paese più colpito al mondo e facendo della loro capitale morale, New York, il peggior focolaio planetario. Una mano gliel’ha tesa Anthony Fauci, il supervirologo che, ultimamente, lavora quotidianamente come correttore del Presidente il quale, com’era ampiamente prevedibile, non ne azzecca una riguardo al virus. Ciononostante, l’inettitudine del miliardario è sotto gli occhi di chiunque.
Ahinoi, però, questa catastrofe non significherà automaticamente una debacle dell’attuale primo americano alle prossime – salvo rinvii ovviamente – elezioni presidenziali di novembre. Con il suo carisma infatti, Donald Trump potrebbe aver già trovato il modo di rimbalzare. La chiave potrebbe essere il suo nuovo focus politico, la concentrazione su uno slogan che sembra essere efficacissimo: riapriamo l’America. Mettendo in primo piano il costo economico, a dispetto del (ben più importante) costo umano, Trump vuole mettersi in luce come il salvatore dell’economia statunitense. Nonostante i numeri della disoccupazione in America siano a dir poco preoccupanti, la strategia potrebbe funzionare.
L’opportunismo di Trump
Il Presidente si è sempre dimostrato abile a creare opportunità dalle difficoltà e, questa volta, le circostanze potrebbero favorirlo ancor di più. Consideriamo ad esempio i suoi avversari politici. I democratici, ad oggi, appaiono debolissimi. Joe Biden, il prossimo candidato alle presidenziali, è un fantasma. La sua invisibilità in questo momento appare allucinante. Naturalmente, il fatto che non abbia cariche politiche al momento lo tiene fuori dai dibattiti televisivi e radiofonici, eppure, in quanto candidato dem in pectore, dovrebbe trovare il modo di far sentire la propria voce e quella del Partito, ben più di come stia tentando di fare tramite annacquati comunicati radiofonici in cui attacca Trump senza dire nulla di che.
Altro fattore che giocherà in favore del Presidente è quello della riapertura. L’opinione pubblica americana è in gran parte schierata a favore del lockdown, dato l’alto tributo che gli USA stanno versando in termini di vite umane. Ciononostante, prima o poi bisognerà pur riaprire e allora Trump non dovrà far altro che prendersi tutti i meriti. Su questo versante la vaghezza del tycoon, che non è mai stato preciso su come e quando la riapertura partirà, gli consentirà anche di avere uno scudo in caso di una seconda ondata. Cosa che altri, come ad esempio il governatore della Georgia, il repubblicano Brian Kemp, il quale ha già riaperto, probabilmente tentando di compiacere the Donald. Trump gli ha però risposto picche, affermando pubblicamente quanto avventata sia stata la mossa.
La contromossa di Biden
I democratici metteranno indubbiamente al centro della prossima campagna elettorale la gestione della crisi. A proposito di COVID in politica, come dicevamo in apertura, difficilmente il partito sfidante troverà altre argomentazioni che possa no far presa. Biden ha realizzato un video, non appena il contagio è cominciato ad apparire fuori controllo negli USA, nel quale ha pesantemente attaccato il Presidente per la sua ignoranza, incompetenza e morbidezza nei confronti della Cina, rendendo la crisi ben più grave di quanto sarebbe stata sotto la presidenza Biden. Il video è stato fortemente criticato, in quanto strumentalizza la crisi per attaccare una persona. Seppure qualcuno abbia applaudito l’iniziativa democratica, essa in realtà non è proprio una grande mossa; equipara Biden a quei nostri leader di cui Giuseppe Conte ha fatto nomi e cognomi in quel celebre intervento.
Oltre ad essere eticamente discutibile, la mossa di Biden corre il rischio di affascinare pochi, al di fuori della più forte base democratica. Numerosi studi infatti prevedevano un’apocalisse dell’ordine di milioni di morti negli USA; così però non è stato e, verosimilmente, non sarà. Dunque Trump potrebbe utilizzare questi numeri a suo vantaggio. Poche cose hanno la capacità di smuovere le persone come i numeri. A questo poi si aggiunge la retorica del virus straniero, cavalcato dal partito del Presidente fin dai primi di marzo, quando il contagio in America era agli albori. Negli USA la politica del diverso, del nemico del Paese è da sempre la più efficace. A ciò Trump può aggiungere il suo asso nella Manica.
The Trump Card
Il celeberrimo modo di dire ho un asso nella manica in inglese si traduce con showing the Trump Card. E’ dunque molto facile associare l’espressione al cognome del Presidente (in origine Drumpf, poi modificato all’anagrafe dal padre di Donald, Fred), soprattutto perché egli dispone davvero di un asso da potersi giocare. Tale trump card è la localizzazione dei casi. La maggior parte di essi, negli USA, è circoscritta allo Stato della California e a quello di New York. Una potente retorica dell’estrema destra di cui Trump rappresenta la quintessenza, dunque, potrebbe essere quella che sottolinea come il nuovo coronavirus sia una prerogativa della fascia costiera e iperurbanizzata, così distante, socialmente e geograficamente, dalla cosiddetta Heartland America: il Midwest, la Rust Belt, la provincia conservatrice, tutti templi repubblicani e sacrari del trumpismo. Questa dialettica è ideale alla narrazione di New York e della California come distopie multiculturali, come un’America svenduta allo straniero, dunque debole e cagionevole, proprio come il coronavirus sta dimostrando.
Naturalmente, in realtà, è una questione di densità di popolazione più che di componente etnica ma quanti lo realizzeranno? Il populista, in fin dei conti, non deve certo essere corretto, basta che sia convincente.