Il 30 aprile del 1982 veniva barbaramente assassinato Pio La Torre, politico e sindacalista comunista.

Lo ricordiamo con un estratto di uno scritto di Andrea Camilleri, che faceva da prefazione al libro “Chi ha ucciso Pio La Torre?” di Paolo Mondani e Armando Sorrentino, edito da Castelvecchi Editore.

Siccome la verità, come diceva la buonanima, è rivoluzionaria, evidentemente in Italia ci credono sul serio e quindi cercano di evitare la rivoluzione. Guardiamo a Portella della Ginestra, a quei tempi c’era un ispettore generale di Pubblica Sicurezza che si chiamava Messana che andava a trovare regolarmente il bandito Giuliano e per Natale ci purtava ‘u panettuni. Da chi era manovrato questo bandito quando sparava a Portella? Solo dagli agrari? Non mi persuade.

E l’occultamento della verità non è prerogativa solo italiana. Nel caso Kennedy rimangono senza risposta interrogativi grossi come una casa. Noi la verità la intuiamo, se su Portella ci fosse stato un processo serio avremmo almeno una verità relativa. Invece ci resta solo una verità che sentiamo a pelle e capiamo che c’è qualcosa che non torna perchè tra segreto di Stato, silenzi e complicità avvertiamo una molteplicità di moventi, ma lì ci fermiamo. E così è capitato per il caso La Torre, dove dietro l’omicidio non c’è una sola causale ma almeno tre. La primaria ti viene sbattuta in faccia e le altre sono coperte. Arrivi ad intuirle ma non a dimostrarle.

Quell’articolo di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera dove diceva: “Io so i nomi dei responsabili delle stragi”; questa è l’unica cosa che si può dire. Non è l’ Io so di non sapere, è l’ Io so di sapere.

Ciò nonostante la società ha spesso più anticorpi delle istituzioni, le più facili ad ammalarsi. Perché subiamo oggi il fascino di certe società o di modi di ragionare che sono più del nord Europa che non del nostro paese? Perché c’è una maggiore chiarezza nei rapporti umani. Noi non siamo così. Ha ragione Pirandello quando un suo personaggio dice: io di fronte a lei mi costruisco, cerco di dare l’immagine che lei vuole di me. Questa idea pirandelliana è assai meno cervellotica di quel che si pensi, è un modo di fare delle società meridionali, non solo italiane. E in Sicilia tutto questo acquista persino una sua grandeur.

Nella vicenda La Torre ci sono i servizi segreti che lo pedinano per decenni, spariscono i suoi documenti e sparisce la sua borsa. Le borse, chissà perché, spariscono sempre. E c’è la storia di alcuni professori a cui La Torre porta dei documenti riservati da studiare. Pio quelle carte le aveva evidentemente lette, le aveva interpretate e voleva la conferma di quel che aveva capito. E cioè che fra Stato e mafia c’era una relazione continua.C’è un filo che collega Portella e le stragi fino a via D’Amelio? Perché non ipotizzare un continuum? Fino ad un certo periodo la mafia ha agito per interposta persona. Con lo sbarco degli americani, nel 1943, c’è il salto, un fatto clamoroso non mai abbastanza segnalato. Charles Poletti, capo dell’AMGOT ma in realtà agente Cia inviato in Sicilia, nomina sindaci una quantità di mafiosi, da Calò Vizzini a Genco Russo. E la mafia fa il suo ingresso in politica dopo che era andata in sonno durante il fascismo. Sarà pure politica amministrativa, ma sempre politica è. Ed è qui che si pongono le basi per scegliere quegli uomini collusi che faranno poi carriera politica.

Una volta un deputato siciliano disse pubblicamente che si sarebbe rifiutato di far parte di una commissione perché vi era entrato un collega, anche lui siciliano, che lui pensava fosse un mafioso, non venne querelato e non venne sparato, ma la cosa venne detta. Sto parlando degli anni ’50. Se io sono stato eletto con i voti della mafia sono il rappresentante della mafia in Parlamento e questa non è trattativa, è qualcosa in più. Una volta tuttu u paese u canusciva u mafiusu, stava assettatu a u cafè e quella era la persona di riferimento. Quando quello non è più seduto lì ma sta seduto in Municipio e poi in Parlamento cosa accade nella mentalità siciliana? Quando si dice che il povero siciliano era combattuto fra la mafia e lo Stato, in alcuni momenti è in verità combattuto tra mafia e mafia e tra Stato e Stato.

Evidentemente le ultime carte nelle mani di Pio La Torre erano materia esplosiva eppure gli esperti a cui lui intendeva far analizzare quei documenti non sono mai stati interrogati né cercati da un magistrato. Di Pio non ho capito la sua intelligenza. Forse se ne vergognava, forse per prudenza, forse per pudore. Qualcuno della Direzione del partito un giorno mi disse: è un uomo rozzo. E io mi incazzai. E dovendo discutere dell’ammissione in sezione di uno che era operaio dissi: “ammettiamolo benchè operaio”. Venni rimproverato di fare dello spirito inutile.

La Torre è stato per me una rivelazione, io non l’avevo capito quell’uomo. L’ho stimato, l’ho apprezzato ma non l’avevo capito. E’ stata un’occasione persa. Da mangiarsi le dita.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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