Riceviamo e pubblichiamo

di Franco Astengo

Al tempo del distanziamento sociale.

Buon Primo maggio nell’isolamento.

Un isolamento che ci impedirà di fare il corteo: dopo il 25 aprile sui balconi un’altra data fondamentale del nostro calendario che scivola via senza possibilità di mantenere la tradizione della piazza.

Nonostante l’ausilio degli strumenti tecnologici ci si sente comunque lontani.

Un condizione di lontananza fisica ma non ideale che deve farci riflettere sulla situazione materiale delle lavoratrici e dei lavoratori stretti in un’inedita circostanza ma immersi in tutte le altre difficoltà di una fase economica e sociale quanto mai complessa.

Sfruttamento, precariato, incertezza per il futuro sono lì a far la guardia d’onore per l’arroganza padronale che adesso intende esercitarsi anche sul tema delicato del diritto alla salute.

Non a caso il Manifesto di questa mattina titola “Tempesta sul lavoro”.

Un tempo scendere in piazza il Primo Maggio serviva per rivendicare diritti e far sentire la forza del mondo del lavoro.

Nel tempo sono cambiate tante cose e abbiamo via via smarrito parte del senso originario di questa giornata che non deve mai essere definita di festa ma di lotta.

Soprattutto è necessario ricordare come nell’idea del Primo Maggio stia il punto di raccordo tra la solidarietà, l’uguaglianza, il sindacato come organizzazione di classe.

Per recuperare quell’identità è necessario tornare alle origini, rifarsi alle fonti.

Per questo motivo mi permetto di seguito di sottoporvi un testo, pubblicato dalla rivista anarchica “La Rivendicazione” nel 1890. Vi scrivevano Germanico Piselli ed Errico Malatesta.

Erano i tempi delle 8 ore.

La rivista condusse una grande campagna perché la celebrazione del Primo maggio si svolgesse regolarmente in tutto il mondo in tempi nei quali erano ancora ben vive le “polizie di Metternich e Guizot”.

Quelle polizie che ricordiamo ancora bene in opera, finito il fascismo, nelle piazze italiane quando gli operai e i contadini scendevano in sciopero oppure occupavano le terre.

Ma ecco il testo della “La Rivendicazione”

Pel primo Maggio

Il primo maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti s’interessano al proprio miglioramento.

Nei Congressi di Parigi, ai quali pure noi prendemmo parte, fu deliberato che in tutto il mondo dovesse nascere un’agitazione seria, ponderatissima, per la giornata legale di 8 ore di lavoro: e che questa avesse principio col 1° Maggio prossimo venturo.

La deliberazione fu accolta ovunque, in Francia come in Italia, in Austria come in Germania, nella Svizzera come in Portogallo, ecc. ecc.…

· Infatti regolare con un metodo generale la durata del lavoro in tutte le industrie, per tutti i popoli e per tutti i climi, è cosa equa, giusta, è cosa santa, la quale i governi, i privati, gli studiosi di cose economiche, gli uomini di cuore infine devono appoggiare, devono applaudire.

· Tutti gli operai, schiavi della proprietà individuale e del privilegio, cessino di lasciarsi dominare dai padroni, dagli sfruttatori e inizino una buona volta l’Era nuova del lavoro umanamente praticato e sostenuto. Cessino gli operai delle varie nazioni del mondo di classificarsi stranieri gli uni agli altri, e affratellati nella sventura, nell’officina come nel campo, imparino ad amarsi e a rivendicare quei diritti che sono di tutti, come di tutti è la terra che si abita e l’aria che si respira.

· Il primo Maggio affermerà un principio e gli italiani non devono essere secondi in quest’affermazione, siccome quella che può dare il primo crollo all’attuale edificio sociale, basato appunto sullo sfruttamento continuo, perenne del padrone sul salariato, del capitale sul lavoro.

· I bisogni del Quarto Stato si fanno sempre più sentiti e i doveri s’impongono in guisa tale che non ponno stare all’unisono con ciò che l’ambiente e le esigenze dell’oggi richiedono.

· Si mettano dunque d’accordo tutti gli operai del mondo per rendere solenne questa festa, unendo cioè gli sforzi dell’uno e quegli dell’altro e ottenere così ciò che è reclamato da una legge di giustizia resa forte dalle affermazioni anche di un autocrate.

· La questione delle 8 ore di lavoro vuol significare diminuzione di produzione, quindi maggior bisogno di braccia e conseguentemente minor numero di disoccupati, di spostati.

Reclamiamo in oggi questa riduzione e domani subito ne sentiremo i benefici risultati: non facciamoci per ciò imporre e camminiamo innanzi a bandiera spiegata. Nessun ostacolo ci vinca: quando si vuole tutto si puote… è codesta natura di forti! … i forti siamo noi e lo saremo maggiormente se mostreremo di conoscere i nostri diritti e di non disconoscere i nostri doveri!

Viva il primo Maggio.

Di AFV

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