Ernesto Che Guevara propose un umanesimo marxista. Ma è coniugabile lo scopo conoscitivo del marxismo con dei principi etici?
Intendo rileggere questo breve e noto scritto di Ernesto Che Guevara, focalizzandomi su un aspetto della sua riflessione, che mi pare oggi trascurato, dal momento che, sulla scia della concezione neutralista delle scienze, abbiamo affidato la dimensione dell’etica alle autorità religiose e “spirituali”. Il tema che cercherò di trattare, consapevole che è irto di difficoltà, può essere così riassunto: C’è una relazione tra etica e marxismo? E in questo caso di quale relazione si tratta?
Si tratta di un argomento problematico e controverso, che ovviamente non riguarda esclusivamente il marxismo ma tutto il pensiero scientifico in generale, soprattutto quello storico-sociologico per il suo stretto legame con la vita politica.
Molti sostengono che, nella misura in cui l’analisi di Marx del capitalismo presenta un carattere scientifico, non dovrebbe contenere tematiche di carattere etico e morale, legate al socialismo utopistico superato da quello scientifico, che invece a parere di molti comprende. Chi ha ragione tra i due gruppi di contendenti?
I primi si richiamano ad una concezione della scienza [1], intesa come doverosamente priva di valutazioni morali, che nasce dall’idea della necessaria avalutatività delle scienze sociali, sostenuta da Max Weber in un noto saggio (Il senso della «avalutatività» delle scienze sociologiche ed economiche, 1917); concezione che nasce in contraddizione con il clima culturale, in cui sorge la riflessione scientifica radicata nell’epoca umanistica, quando l’accento è posto sulla necessità di potenziare le capacità umane, di spezzare i limiti imposti dalla ideologia religiosa medioevale, di conoscere la natura e la vita sociale per migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Si tratta, come si vede, di tutti temi etici e morali orientati da una concezione emancipatoria e progressiva. Avalutatività significa, invece, non esprimersi sul funzionamento di un sistema sociale, sulla sua adeguatezza a rispondere alle esigenze umane in una certa fase storica. Essa risulta di fatto essere, pertanto, funzionale al mantenimento del sistema esistente, ossia il capitalismo, il quale si affiderebbe per il suo funzionamento a supposti tecnici del tutto neutrali (i tecnocrati). Così si riduce la scienza sociale ad una sorta di ingegneria che elimina gli elementi anomali e contraddittori, favorendo così la coesione tra i diversi gruppi.
Tuttavia, Weber sapeva bene che le scienze della società umana hanno alla loro base presupposti soggettivi (esperienza, collocazione sociale), condizionati dalla nostra esperienza storica, ma a suo parere, nonostante ciò, esse debbono giungere a risultati oggettivamente validi e quindi liberarsi dai giudizi di valore. Pertanto, con le sue considerazioni volte a superare, da un lato, il conflitto tra il naturalismo positivistico e la diltheyana [2] comprensione dell’ “esperienza vissuta”, dall’altro, la tensione interna nelle scienze umane tra presupposti soggettivi e oggettività da raggiungere, ritiene opportuno far ricorso all’avalutatività espressa nei risultati. Da ciò ricava che le scienze sociali non possono essere equiparate tout court alle scienze naturali, e che lo studioso possa apprendere a controllare il suo coinvolgimento etico con l’aiuto del ricorso al rigore logico e metodologico.
Ritroviamo una posizione analoga a quella di Weber nelle parole del matematico francese Jules-Henri Poincaré (1854-1912), per il quale è impossibile fondare i giudizi morali sulle leggi della scienza, anche per ragioni “linguistiche”: gli asserti della scienza sono espressi al modo indicativo, mentre quelli morali al modo imperativo (essere / dover essere) ed è analogamente impossibile dedurre conclusioni imperative da premesse espresse nella modalità indicativa.
Probabilmente questo discorso vale per le scienze naturali, ma non per le scienze sociali, le cui implicazioni politiche non possono mai essere accantonate e, pertanto, implicano sempre valutazioni sulla natura dei fenomeni storico-sociali e sulle loro finalità.
Prima di andare avanti su questa strada è necessario premettere la distinzione tra etica e morale, la quale sostanzialmente si richiama ancora oggi a quanto aveva stabilito Aristotele. Un eminente studioso messicano Adolfo Sánchez Vázquez (1915-2011) di origine spagnola , che si è occupato di questi temi e ha pubblicato nel 1969 un libro Etica in decine di edizioni (non disponibile in italiano), propone questa distinzione: la morale sarebbe rintracciabile nel comportamento concreto degli uomini in un certo contesto storico, e avrebbe un contenuto ideologico, in quanto occultatrice dei loro reali interessi; l’etica consisterebbe, invece, nella riflessione sulla prima con l’intento di ricavare una visione ideale del comportamento umano e dei principi che ci si propone di realizzare in un certo contesto storico; essa avrebbe, pertanto, un carattere normativo ed esplicativo.
Un altro tipo di distinzione è presente nella riflessione di un autore francese, filosofo e antropologo (Lucien Lévy-Bruhl, 1857-1939), il quale contrappone la scienza dei costumi, che studia i sistemi morali esistenti nelle loro connessioni con i sistemi sociali, esprimendo solo giudizi di valore relativi, e l’arte morale consistente nell’applicazione delle scoperte della prima. Il pensatore francese sostiene anche che non dobbiamo pensare del fatto che, mostrando la relatività delle varie morali e la mancanza di un loro fondamento assoluto, la scienza morale finisca per distruggerle, facendo precipitare la società nell’anomia e nell’anarchia. Si badi bene egli aspira a costruire l’arte morale e non un’etica fondata su basi oggettive.
Tornando a Sánchez Vásquez, egli aggiunge che nelle opere di Marx ed Engels non è presente un’etica sistematica, la cui elaborazione, del resto, non costituiva il loro scopo. Ciò nonostante troviamo nelle loro riflessioni significative valutazioni etiche, su cui assai spesso si incontrano affermazioni contraddittorie nelle loro pagine.
La presenza di questi contenuti etici, che successivamente illustrerò, ha spinto alcuni a denunciare il marxismo come una teoria priva di scientificità. Per esempio, è nota la critica di Karl Popper, nominato baronetto dalla regina di Inghilterra, secondo cui le profezie di vittoria del socialismo sul capitalismo (in realtà mai fatte in questi termini) contengono solo un auspicio etico presentato sotto forma di un’analisi scientifica (falsa) dell’evolversi del capitalismo.
Menziono poi brevemente Louis Althusser (1918-1990) che distingueva, avvalendosi del concetto di “rottura epistemologica”, tra il Marx giovane, intriso di umanesimo e di morale, e il Marx in maturazione e poi maturo autore del Capitale, fondatore della scienza della storia, dando come è noto la preferenza agli ultimi due. Da un punto di vista epistemologico (e cioè teorico), Althusser, influenzato dallo strutturalismo, ha ragione a dire che il marxismo non è un umanesimo, in quanto la categoria teorica fondamentale per comprendere la struttura e la dinamica del modo di produzione non è certamente un inesistente Uomo (nella Storia), ma è il complesso dei rapporti sociali classisti di produzione. Il problema consiste nell’andare a vedere se è possibile un umanesimo marxista senza richiamare in vita un’essenza umana universale e astorica di matrice illuministica, come pensa il Che e il guevarismo latinoamericano quale corrente di pensiero tuttora viva e operante.
Secondo il sociologo argentino Nestor Kohan, animatore della cattedra Che Guevara e di quella K. Marx a Buenos Aires, il guevarismo costituirebbe una terza corrente del marxismo (oltre allo stalinismo e al trotskismo), detta anche terzomondismo, risalente a Mao e al tartaro Mirsaid Sultan-Galiev (1892-1940); questi partecipò alla guerra civile contro i bianchi e fu incaricato nel Commissariato delle nazionalità di dirigere la sezione riguardante le popolazioni musulmane. Accusato di nazionalismo e attività anti-sovietiche fu fucilato nel 1940.
Concordi nell’assenza di un’etica sistematica nel pensiero di Marx ed Engels, molti marxisti di diverse nazionalità e tendenze hanno cercato di ricostruire l’insieme delle loro idee etiche, lasciando da parte la secca opposizione tra etica e scienza, che invece per alcuni sminuirebbe del tutto la portata delle analisi scientifiche. In questa prospettiva, riflettere sulla presenza di principi etici nel marxismo significa necessariamente porsi anche il problema della relazione tra scienza ed etica, tra teoria e valore (criterio orientativo che individui o collettività considerano superiore o preferibile, che per alcuni non sarebbe adottato sulla base di una riflessione razionale).
Portando avanti questa riflessione, appare opportuno distinguere anche tra valore e giudizio di valore contrapposti al giudizio di fatto. Infatti, tornando a Weber, come si è visto, consapevole della rilevanza dei valori prescelti nello sviluppo di una ricerca, egli era convinto che tali valori non dovrebbero mai condurre uno studioso a formulare giudizi di valore sui fenomeni storici, come nel caso in cui si afferma che il fascismo fu un male per la storia dell’Italia. In suo soccorso contro i marxisti, che scoprono sempre interessi di classe alla base delle ricerche scientifiche, giungono i neopositivisti [3], i quali distinguono tra il contesto della scoperta, non immune da valutazioni etiche, e quello della giustificazione, fondato solo sui fatti e sulla logica.
Utilizzando tale discrepanza Popper ammette che le idee scientifiche hanno varie fonti, ma il vero problema sta la loro giustificazione fattuale, che si fonda a suo parere sulla falsificabilità (una teoria non è scientifica se non è falsificabile, ossia se non è possibile dimostrarne l’infondatezza) [4]. Se si accetta il principio della falsificabilità, non potrà mai esistere una teoria definitivamente certa, nonostante milioni di fatti la corroborino (posso sempre trovare un cigno nero che smentisca l’idea che tutti i cigni sono bianchi).
Secondo Sánchez Vásquez morale ed etica non si escludono, dato che all’etica interessa spiegare sia il funzionamento di una morale esistente sia proporre e giustificare una morale non esistente, ma che si vorrebbe instaurare nel presente o nel futuro. Pertanto, a suo avviso la morale costituisce un oggetto di studio e di riflessione, mentre l’etica deve essere intesa in senso prescrittivo, come insieme di principi da affermare che dovrebbero ispirare il comportamento umano in un contesto diverso da quello attuale. Questo carattere normativo dell’etica le consente di criticare comportamenti non intrinsecamente morali incrostati nella sfera politica, economica, religiosa, ludica, estetica etc. È questo il caso, su cui tornerò, delle pagine di Marx ed Engels, in cui si criticano i comportamenti politici ripugnanti e aberranti del capitalista, che ledono la dignità e i diritti dei lavoratori, trasformandoli in appendici delle macchine o in merce.
Tuttavia, secondo Sánchez Vásquez, nello sviluppare la critica del comportamento economico o politico, non si deve cadere nella dissoluzione di queste due dimensioni sociali nella morale, giacché questo sarebbe il deprecato moralismo, condannato da Marx ed Engels, che consiste nell’applicazione astratta di certi principi, come fa la Chiesa cattolica o i “democratici”; non si deve neppure cadere nell’estremo opposto: ridurre la morale ad un epifenomeno dell’economia e del sistema sociale, o dissolverla nel pragmatismo identificato con il realismo politico.
Un esempio tra tanti: nei Manoscritti del 1844, descrivendo la trasformazione della rendita fondiaria di carattere feudale in merce, quella del signore feudale che diventa puro detentore della proprietà privata senza più nessun supporto politico, Marx afferma che in questo processo appare la vera radice della proprietà fondiaria, ossia lo sporco egoismo. Tuttavia, come sostengono i commentatori (Ferruccio Andolfi e Giovanni Sgrò, 2018: 122, nota 11) di questa serie di appunti di Marx, le categorie dell’egoismo, del cinismo etc., “perdono il loro originario valore di determinazioni morali astratte e indicano concreti processi storici ed economici”. Credo, tuttavia, sulla scorta di Sánchez Vásquez, che pur accettando l’importanza preminente della dimensione economica del processo, il giudizio morale non viene annullato.
Nella seconda parte di questo scritto mi soffermerò su alcune prese di posizione del Che Guevara che ci aiuteranno a comprendere la sua lettera sul Socialismo e l’uomo a Cuba.
Note:
[1] È necessario osservare che sono disponibili diverse concezioni della scienza e che è ampio ed accesso il dibattito tra i sostenitori delle une e delle altre. Mi limito a citare l’ormai classico libro di Paolo Rossi, Immagini della scienza (1977).
[2] Da Wilhem Dilthey (1833-1911), filosofo tedesco, che sostenne la necessità di distinguere tra le scienze dello spirito e quelle della natura.
[3] Corrente sviluppatasi nella prima metà del ‘900 a Vienna per la quale la filosofia doveva raggiungere nelle sue elaborazioni il rigore logico tipico delle scienze dure.
[4] Per esempio, la teoria della rivelazione originaria della religione, ossia del cristianesimo, non possiede un carattere scientifico, perché non disponiamo degli elementi che ci consentono di dimostrarne l’infondatezza