Mentre la Cina ha oramai sconfitto l’epidemia, gli Stati Uniti campeggiano al comando dell’infausta classifica dei casi positivi e delle vittime da nuovo coronavirus (Covid-19). L’amministrazione capeggiata dal presidente Donald Trump, anziché concentrarsi sul contenimento del virus in patria, si sta invece lanciando in una pericolosa campagna di accuse contro il governo cinese e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “colpevole”, secondo Washington, di avere un’impostazione troppo filocinese. Trump è arrivato addirittura a proclamare l’interruzione dei finanziamenti all’OMS, fatto che colpirà maggiormente i Paesi più poveri del mondo, dove l’organizzazione che fa capo alle Nazioni Unite è particolarmente attiva.
Come spesso accade sulle questioni conflittuali tra Cina e Stati Uniti, è interessante leggere il parere di Curtis Stone, esperto di relazioni sino-americane: “Chiaramente, è un tentativo disperato da parte dell’amministrazione Trump di nascondere il suo colossale fallimento nella gestione della pandemia”, ha scritto Stone sulle pagine del Quotidiano del Popolo (Rénmín Rìbào), la più importante testata giornalistica cinese. “Di fronte a feroci critiche per la sua scarsa risposta al coronavirus, l’amministrazione Trump sta usando fumo e specchi per distogliere l’attenzione dal vero problema. Con oltre un milione di casi confermati di coronavirus e più americani morti per coronavirus in tre mesi rispetto al numero di soldati americani uccisi nella guerra del Vietnam, c’è un’enorme pressione per spostare la colpa del disastro negli Stati Uniti su altri”, ha argomentato.
Anche The Lancet, la famosa rivista scientifica britannica, ha preso le difese della Cina del presidente Xi Jinping in seguito agli ingiustificati attacchi provenienti dal governo statunitense. Richard Horton, caporedattore della testata, ha affermato che mentre i ricercatori cinesi fornivano informazioni cruciali sulla minaccia, i governi occidentali non sono riusciti a prepararsi per il coronavirus, causando migliaia di morti evitabili: “Sapevamo tutto questo già nell’ultima settimana di gennaio, ma la maggior parte dei Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti d’America, hanno sprecato tutto il mese di febbraio e l’inizio di marzo prima di agire”.
Anne Schuchat, vicepresidente del CDC degli Stati Uniti (US Centers for Disease Control and Prevention), ha riesaminato la risposta del governo degli Stati Uniti al coronavirus e ha suggerito che le principali agenzie di sanità pubblica del Paese hanno perso le possibilità di contenere la diffusione della malattia. Secondo l’esperta, intervenire prima avrebbe potuto ritardare l’ulteriore amplificazione del nuovo focolaio di coronavirus negli Stati Uniti o rallentarne la velocità di diffusione.
Al fine di far ricadere la responsabilità del proprio disastro sanitario e politico sulla Cina, Donald Trump è arrivato addirittura a dichiarare di avere “prove evidenti” sul fatto che il virus avrebbe avuto origine nel laboratorio di Wuhan. Mike Ryan, a nome dell’OMS, ha invece smentito perentoriamente le parole dell’inquilino della Casa Bianca: “Abbiamo ascoltato più e più volte numerosi scienziati che hanno esaminato le sequenze e hanno esaminato questo virus. E ci viene assicurato che questo virus è di origine naturale”.
Jonna Mazet, epidemiologa all’Università della California, che ha lavorato proprio nel laboratorio cinese di Wuhan, ha a sua volta qualificato come “altamente improbabile un incidente di laboratorio” come causa dell’epidemia. Secondo Mazet, il codice genetico dei campioni del laboratorio di Wuhan non corrispondono al nuovo coronavirus, inoltre il laboratorio implementa rigorosi protocolli di sicurezza per evitare la fuga dei virus. Come noto, poi, il coronavirus è solo l’ultimo di una lunga serie di focolai di malattie zoonotiche, le cui origini vanno piuttosto ricercate nello sfruttamento intensivo della natura e nella conseguente distruzione degli ambienti naturali da parte dell’uomo.
Le misure prese dalla Cina per arginare l’epidemia sono del resto state elogiate da tutto il mondo, ed anche i cittadini della Repubblica Popolare sembrano avallare questa versione. Una ricerca condotta dalla principale agenzia di ricerca sociale di Singapore, Blackbox, ha assegnato un punteggio di 85 su 100 alla risposta data dalla Cina all’emergenza, alla luce di una serie di interviste basate su quattro indicatori (leadership politica nazionale, leadership aziendale, comunità e media). In seconda posizione troviamo il Vietnam (77), seguito da Emirati Arabi Uniti (59), India (59) e Nuova Zelanda (56). Negativi, invece, i riscontri di tutti i Paesi Europei, degli Stati Uniti e del Giappone.
In ultima analisi, la campagna anticinese lanciata dall’amministrazione statunitense si inserisce in un contesto di guerra fredda tra le due principali potenze economiche dell’inizio del terzo millennio. Gli Stati Uniti, sentendosi minacciati dall’emergere di un rivale su scala globale, stanno cercando in ogni modo di arrestare l’ascesa cinese, prima con la guerra commerciale ed ora addossando a Pechino la responsabilità della pandemia. Washington si trova chiaramente con le spalle al muro, mentre osserva la propria egemonia internazionale sgretolarsi lentamente ma inesorabilmente, e tali reazioni aggressive non sono altro che la dimostrazione della debolezza non solo dell’amministrazione Trump, ma di tutta la politica statunitense degli ultimi due decenni. Il più grande timore degli Stati Uniti è quello che la Cina ed il suo modello escano vincitori dall’emergenza, relegando la potenza nordamericana ad un ruolo subalterno negli equilibri globali.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog