Riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
E’ inutile appendere il tricolore dai balconi, suonare il “Silenzio” oppure cantare “Bella Ciao” se non si è capaci di riconoscere che l’articolo 1 della nostra Costituzione è ogni giorno costantemente violato dalla precarietà, dallo sfruttamento, dal lavoro nero, dal tenere in ombra dignità e diritti.
Mi auguro non sarà sfuggito a nessun il taglio reciprocamente propagandistico che le forze politiche stanno mantenendo sul delicatissimo tema della regolarizzazione dei migranti da sempre impegnati in lavori strettamente necessari per la nostra vita quotidiana: la raccolta in agricoltura e la cura dei soggetti più deboli come gli anziani.
Categoria quella degli anziani, non è mai superfluo ricordarlo, principale vittima come soggetto collettivo dell’emergenza sanitaria: questione esplosa a proposito delle RSA.
Dramma che ha reso ancora più evidente la preziosità dell’opera di assistenza svolta fra le mura domestiche con grande sacrificio e impegno da persone in gran parte considerate dalla solita borghesia perbenista come “fantasmi”.
Deve anche essere ricordato che nell’eventuale operazione di emersione verso la legalità in questi settori del lavoro i cui addetti sono stati fin qui costretti nella clandestinità del super sfruttamento, sono coinvolti non soltanto migranti ma anche altri soggetti sospinti dentro la povertà da difficoltà di carattere generale che non derivano soltanto da ciò che è accaduto in questi giorni.
E’ retorica scoprire oggi, dopo tanti anni di denunce inascoltate e anzi ridicolizzate, temi come quelli del caporalato, delle infiltrazioni mafiose, dello sfruttamento intensivo.
Nella politica e nella società italiana questo tema è stato trattato, generalmente, attraverso una sorta di “riflesso colonialista” dando per scontata l’esistenza di una “seconda società” gestita in parallelo da ben precisate organizzazioni con le quali tutti facevano i conti tranquillamente, spartendosi il bottino (se si pensa alle multinazionali dell’alimentazione e agli altri grandi soggetti operanti nel campo della distribuzione).
Non è questo però il punto sul quale soffermarsi adesso.
Se non vogliamo, infatti, rimanere al livello della pura propaganda è necessario sviluppare un concetto essenziale: le persone delle quali, in maniera del tutto astratta ,si sta discutendo di far uscire dall’oblio sociale, svolgono lavoro vero, lavoro vivo, lavoro indispensabile, necessario.
Il tema non deve essere, ancora una volta, quello della semplice concessione dall’alto dell’affrancamento dello sfruttato.
Il tema non è quello della “regolarizzazione” e dei permessi di soggiorno ma è quello del lavoro.
Se l’operazione “emersione” dovesse riuscire non dovrà essere considerata un gesto di “pietas”, una benigna concessione.
Il punto è quello del riconoscimento della dignità del lavoro inteso quale fattore decisivo della convivenza civile.
In questo caso si sarebbe , infatti, trattato semplicemente di un ripristino (parziale) della legalità nel rispetto dell’articolo 1 della nostra Costituzione:” L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.