Nella giornata di sabato 9 maggio la Guardia Nacional Bolivariana ha annunciato di aver sequestrato tre lance da combattimento con emblemi della marina colombiana in stato di abbandono nel settore Chorro El Mono, sul corso del fiume Orinoco, nel comune di Cedeño, nello stato di Bolivar. Si tratta solamente dell’ultimo episodio verificatosi da quando le forze armate venezuelane hanno fermato gli attacchi paramilitari sferrati con l’Operazione Gedeón, alla quale il governo di Caracas ha risposto rafforzato le difese denominate Bolivarian Shield.
Il quartiere generale dellaFuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) ha fatto sapere che le imbarcazioni ritrovate sono “lance da combattimento, modello Boston Wheeler, ciascuna con due motori Evinrude da 175 CV, senza equipaggio, armate di mitragliatrici calibro 50 mm e M60 con le rispettive munizioni”. Difficile non collegare il ritrovamento con la fallimentare Operazione Gedeón, per la quale il governo venezuelano accusa di complicità anche i governi di Colombia e Stati Uniti. Il fatto che le imbarcazioni avessero gli emblemi della marina colombiana non depone certo in favore di Bogotà.
Alla luce degli ultimi avvenimenti, il presidente Nicolás Maduro ha affermato che l’anno 2020 rappresenterà una cartina di tornasole per le sorti della Rivoluzione Bolivariana, iniziata oltre vent’anni fa sotto la guida di Hugo Chávez. Il Paese sudamericano si trova infatti a dover affrontar la pandemia da nuovo coronavirus e contemporaneamente a dover far fronte agli attacchi che vengono sferrati dalle forze imperialiste e reazionarie dal punto di vista economico, politico ed ora anche militare.
“Quest’anno 2020, con la terribile pandemia di cui soffriamo, come la stragrande maggioranza dei popoli, sta costituendo la prova del fuoco per dimostrare la grande forza che abbiamo acquisito negli oltre venti anni della Rivoluzione Bolivariana”, si legge in un articolo, a firma del capo di stato, pubblicato nella 200a edizione del Bollettino informativo del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV). Il presidente venezuelano ha sottolineato che “in questo momento di grandi difficoltà, stiamo mostrando a noi stessi e al mondo intero chi siamo veramente”. “Abbiamo sconfitto questo tentativo di colpo di stato perverso e criminale”, ha poi detto circa il fallimento dell’attacco paramilitare al Paese, invitando però a mantenere lo stato d’allerta per far fronte a nuovi plausibili tentativi di sovvertire il governo legittimo del Venezuela.
Al 9 maggio, il Venezuela ha registrato solamente 402 casi positivi al nuovo coronavirus, con dieci decessi. Numeri decisamente bassi rispetto ad altri Paesi della regione sudamericana, la cui infausta classifica dei contagi è guidata dal Brasile, con 156.000 casi ed oltre 10.000 decessi, seguito dal Perù (65.000 contagi ed oltre 1.800 morti) e dall’Ecuador (29.000 e 1.700 rispettivamente). I numeri, come sottolineato dallo stesso Maduro, danno ragione alle misure prese dal governo di Caracas, che è riuscito ad attuare una forma di distanziamento sociale senza fermare del tutto l’economia del Paese: “Tra quarantena e produzione, non c’è contraddizione! Insieme allo sforzo titanico che stiamo facendo per combattere il COVID-19, è altrettanto importante mantenere attivi tutti i motori della nostra economia, con particolare attenzione a cibo e medicine, portandoli alla loro massima capacità produttiva”.
Maduro ha anche sottolineato la necessità di modificare il modello economico e sociale che domina il pianeta, al fine di creare una realtà migliore al termine della pandemia, evitando di tornare a vivere nello stesso modo che ci ha portato al disastro sanitario. Il presidente venezuelano ha proposto l’instaurazione di un nuovo modello sociale ed economico “meno egoista, più solidale, più umano”.
Nella giornata di sabato, Maduro è intervenuto per parlare ancora una volta dell’Operazione Gedeón, accusando senza mezzi termini il suo omologo colombiano, Iván Duque: “Se in Colombia ci fossero delle organizzazioni che indagano in modo indipendente, avrebbero tutte le prove della partecipazione di Iván Duque all’incursione armata contro il Venezuela”, ha dichiarato. Il presidente ha aggiunto anche di avere prove circa il coinvolgimento di Juan Guaidó, il golpista che lo scorso anno si era autoproclamato presidente del Paese, con l’appoggio degli Stati Uniti.
Il ministro degli esteri Jorge Arreaza ha fatto eco al presidente: “Nuovi dettagli dell’aggressione contro il Venezuela emergono ogni giorno e stiamo mettendo insieme tutti gli elementi per presentarli lunedì ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Arreaza ha a sua volta accusato in maniera diretta il governo della Colombia per aver sostenuto l’operazione armata, affermando che il Paese limitrofo si è reso colpevole di gravi violazioni del diritto internazionale.
E gli Stati Uniti? Come oramai noto, alcuni cittadini statunitensi hanno preso parte all’attacco paramilitare contro il Venezuela, e sono emersi collegamenti con la DEA, l’agenzia federale antidroga. Il 29 aprile, Mike Pompeo, segretario di stato ed ex direttore della CIA, ha chiesto all’ambasciata statunitense di Caracas di “tenersi pronta per quando Maduro lascerà il potere”. Forse Washington era al corrente dello svolgersi dell’Operazione Gedeón? Quello che è certo, è che gli Stati Uniti hanno fatto di tutto al fine di preparare il terreno per un colpo di stato contro il governo venezuelano, come quando Donald Trump ha annunciato il lancio della “più grande operazione antidroga effettuata nei Caraibi”, naturalmente diretta contro il Venezuela ed il suo presidente, non contro l’alleata Colombia, massimo produttore mondiale di cocaina.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog