Gli investimenti in gas e carbone contraddicono gli impegni alla transizione ecologica della principale energy utility italiana. Le critiche degli azionisti attivi in assemblea soci
Di Luca Manes
Siamo sicuri che l’immagine di “azienda verde” che l’Enel si è costruita negli ultimi anni, anche grazie al suo amministratore delegato Francesco Starace, collezionista seriale di premi per la sostenibilità ambientale, sia del tutto meritata?
Non è stato possibile capirne di più in occasione dell’assemblea degli azionisti, che ha certificato il terzo mandato triennale consecutivo per Starace, il cambio della presidenza – Patrizia Grieco ha lasciato il testimone a Michele Crisostomo – ma che, essendo a porte chiuse, non ha previsto una vera e propria interlocuzione tra azionisti, grandi investitori e il board.
La controversa conversione delle centrali a carbone italiane
Per quest’anno, quindi, niente azionariato critico. Unica eccezione, le domande scritte da presentare una settimana prima delle assise, a cui l’Enel ha l’obbligo di rispondere sul proprio sito.
Quello che si desume proprio da queste risposte e da una serie di dichiarazioni più o meno ufficiali è che la più grande energy utility italiana, partecipata ancora per il 30 per cento dallo Stato, non sembra aver intenzione ad abbandonare per sempre i combustibili fossili, dal momento che ha in programma di convertire a gas quattro delle cinque centrali a carbone ancora attive sul territorio nazionale, ovvero Brindisi-Cerano, Civitavecchia, La Spezia e Fusina. Si tratta di ben 3mila megawatt di nuova potenza da installare entro il 2025, in barba all’impegno del gruppo Enel di non investire più un euro in nuova generazione elettrica da fonti che esacerbano la crisi climatica.
Per essere veramente “green”, l’azienda dovrebbe chiudere per sempre gli impianti – così si cambierà solo la “destinazione d’uso”, di fatto non smantellandoli – e procedere appena possibile con un serio e integrato piano di bonifiche dei territori pesantemente inquinati a causa delle centrali a carbone. La messa a regime di nuovi impianti a gas mitigherebbe ben poco la perdita di posti di lavoro, motivo in più per cui Enel dovrebbe dichiarare da subito il suo impegno per una giusta transizione incentrata sulla difesa dell’ambiente e la creazione di posti di lavoro, si spera finalmente più “puliti” e sicuri.
Il doppiopesismo che inquinerà il Cile fino al 2040
E poi c’è da sanare una “ingiustizia” dall’altra parte del mondo, precisamente in Cile. Lì l’Enel, tramite la sua controllata locale guidata dal cugino del presidente della Repubblica Sebastián Piñera, intende tenere aperta fino al 2040 l’unità 2 della centrale di Bocamina a Coronel, città industriale di quasi 120mila abitanti situata 500 chilometri a sud di Santiago del Cile.
Le due unità della centrale a carbone – la prima è datata addirittura 1970 e dovrebbe cessare l’attività nel 2023 – sorgono nel centro abitato, a poche centinaia di metri da una scuola. Gli impatti, come per qualsiasi impianto a carbone, sono tutt’altro che trascurabili. Nonostante varie compensazioni accordate dalla società dopo numerose proteste (la prima nel 2013), la popolazione locale continua a patire fortemente la presenza della centrale. Soprattutto perché, come hanno scritto alcuni attivisti di Chao Carbón a Starace lo scorso anno, si chiedono il perché di questo doppio standard: niente più carbone in Italia entro il 2025 (in Spagna addirittura entro il 2021) e uno stop definitivo in Cile solo nel 2040.
I pensionati norvegesi mettono Enel sotto osservazione
Non sembra che solo le ONG e i piccoli azionisti critici siano poco convinti della linea “green” tenuta da Starace&Co. Proprio alla vigilia dell’assemblea degli azionisti, il fondo pensione del governo norvegese, l’investitore pubblico più grande al mondo e tra i principali azionisti della società, ha messo Enel sotto stato di osservazione all’interno della sua lista di compagnie “carbonifere” da escludere o portare sulla retta via. D’altronde la stessa Enel ha ammesso, nero su bianco, agli azionisti che nel 2019 ha comprato ancora 21 milioni di tonnellate di polvere nera e ne ha bruciati 19. Una macchia non da poco per il presunto campione della sostenibilità.