di Eric Blanc
Non è mai facile essere socialisti. Ma la sinistra ha recentemente perso alcune battaglie laceranti. Anche se Jeremy Corbyn e Bernie Sanders sono riusciti a suscitare aspettative politiche e a ravvivare una sinistra socialista, nei loro rispettivi paesi e oltre, le loro sconfitte hanno lasciato gli attivisti traumatizzati e in cerca di risposte.
Per quelli che cercano di capire come siamo arrivati qui, e dove dobbiamo dirigerci, ‘The Socialist Challenge Today’ [La sfida socialista oggi] (Haymarket 2020) è un punto di partenza essenziale. Rifiutando il facile ottimismo di qualsiasi genere, il libro è utile precisamente perché spiega perché sia così difficile essere socialisti. Identificando razionalmente gli ostacoli alla trasformazione anticapitalista, offre ai socialisti un percorso verso la vittoria.
Ascesa, declino e rinascita della sinistra
Il libro inizia con una storia vorticosa del movimento socialista. La nostra crisi attuale, sostengono gli autori, riflette i limiti delle due principali strategie di sinistra del ventesimo secolo: socialdemocrazia e leninismo.
Il leninismo ha molte qualità lodevoli, tra cui (al suo meglio) una concentrazione sulla lotta organizzata contro la classe capitalista, un impegno alla costruzione dell’unità della classe lavoratrice oltre i confini nazionali e “un riconoscimento che la pianificazione economica socialista richiede di togliere il capitale al capitale”. Gran parte di ciò è stato tuttavia sopraffatto dagli orrori dello stalinismo e da una tendenza a generalizzare eccessivamente la strategia socialista dalle specificità dell’esperienza russa. Il socialismo democratico oggi dovrebbe perciò “abbracciare tutto ciò che è stato positivo nella visione comunista”, rigettando al contempo le sue pratiche antidemocratiche e la convinzione ingiustificata che un’insurrezione per “abbattere lo stato” sia realizzabile in democrazie capitaliste avanzate.
Ma con l’eredità del 1919 agli sgoccioli, la “sfida centrale” dei socialisti oggi è come evitare una trappola diversa in cui pure i socialisti sono caduti nell’ultimo secolo: la “social-democratizzazione”.
Dagli inizi del ventesimo secolo in poi, la riuscita lotta del movimento del lavoro per il voto e altri diritti democratici ha prodotto una tendenza paradossale delle organizzazioni di massa dei lavoratori – e particolarmente della loro dirigenza – a finire incorporate nello status quo capitalista. Questo è divenuto chiaro nel 1914, quando leader socialisti di tutta Europa si allinearono dietro i governanti dei loro paesi quando fu dichiarata la guerra mondiale.
Nei decenni successivi la collaborazione con il potere costituito continuò ad allontanare la lotta di classe. In senso ai sindacati e ai partiti socialisti di tutto il mondo, sforzi per costruire il potenziale dei lavoratori della base e organizzare la classe lavoratrice più in generale furono accantonati.
Di fronte al vicolo cieco della socialdemocrazia e del comunismo, emersero negli anni Settanta correnti che cercarono di scoprire una nuova via che evitasse le debolezze di entrambi. Per questa sinistra interna ai partiti socialdemocratici e per pensatori come André Gorz, Tony Benn, Ralph Miliband e Nicolas Poulantzas era necessario e possibile combattere contro i capitalisti non solo nelle strade e nei luoghi di lavoro, ma anche all’interno dello stato.
Purtroppo questi sfidanti socialdemocratici non sconfissero sufficientemente i leader e le tradizioni prevalenti in tempo per affrontare efficacemente l’offensiva internazionale neoliberista iniziata negli anni Ottanta. Le conseguenze sono ben note: sindacati schiacciati, lo stato sociale respinto indietro, il lavoro divenuto più precario e le comunità della classe lavoratrice divenute più atomizzate e demoralizzate.
Negli ultimi quattro decenni di ritirata movimenti sociali sono periodicamente insorti contro la guerra, l’oppressione razziale e di genere, la globalizzazione e il degrado ambientale. Tuttavia senza il potere di sindacati forti o la forza coesiva di partiti socialisti, la maggior parte di tale proteste si è susseguita senza conquistare la proprie rivendicazioni o cambiare significativamente l’equilibrio di forze tra noi e i miliardari.
Adattandosi a questo ciclo, gran parte della sinistra emarginata e dalle tendenze anarchiche ha abbandonato del tutto la politica elettorale. Il nuovo mantra è stato “cambiare il mondo senza prendere il potere”. Ignorare lo stato capitalista, purtroppo, si è dimostrato un modo inefficace per vincerlo. Con questo genere di “movimentismo” in un stallo, è stato preparato il terreno per un approccio nuovo.
La tragedia greca
Dopo la Grande Recessione e il successivo scoppio di proteste di strada contro l’austerità, occupazioni e rivolte nel 2011, i radicali hanno finalmente cominciato a passare “dalla protesta alla politica”. The Socialist Challenge Today sostiene che la politica di sinistra dal 2014 è stata definita dalla svolta dell’”opposizione alla globalizzazione capitalista” dalle “strade allo stato”. In questo periodo considerevolmente breve la sinistra è evasa dall’emarginazione sociale e dalla politica unicamente nelle strade, per diventare una seria contendente al potere governativo.
La politica di classe è tornata alla politica tradizionale, un grande sviluppo storico che probabilmente ricompenserà negli anni e decenni a venire. Ma, come osserva il leader sindacale britannico Andrew Murray, “questa nuova politica è più generalmente focalizzata sulla classe che radicata nella classe”, poiché non è emersa “dalle istituzioni organiche della classe stessa”. In altri termini, anche se la sinistra odierna cerca di polarizzare i lavoratori contro i capitalisti, manca tuttora di collegamenti profondi con le organizzazioni e le reti comunitarie della classe lavoratrice.
Costruire tali radici è stato particolarmente difficile a causa della ritirata del lavoro organizzato negli ultimi decenni. Con la base sindacale e i tassi di sciopero a minimi storici nel mondo anglofono, l’insurrezione socialdemocratica è stata costretta a combattere i miliardari con una mano legata dietro la schiena.
Di fronte a tale contesto contraddittorio The Socialista Challenge Today si concentra sulle forze e sui limiti di tre casi di studio: Syriza in Grecia, Corbyn nel Regno Unito e Sanders negli Stati Uniti. La tesi centrale degli autori è semplice: invertire il neoliberismo e muoversi verso il socialismo richiede l’espansione e la trasformazione delle organizzazioni della classe lavoratrice nonché la democratizzazione dello stato incoraggiando un coinvolgimento popolare significativo. Senza questi cambiamenti non possiamo vincere.
L’esperienza della Grecia è un caso esemplare. Un’ondata di scioperi, occupazioni e manifestazioni esplosive dal 2010 in poi ha preparato il terreno per la vittoria di Syriza alle urne. Eletto nel gennaio del 2015 con un mandato popolare di bloccare la devastante austerità imposta dalla Troika (la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea e il Fondo Monetario Internazionale) il partito ha elevato spettacolarmente le aspettative dei lavoratori greci e della sinistra internazionale. Tuttavia a luglio di quell’anno i massimi leader di Syriza hanno firmato un “terzo memorandum” che ha radicato le stesse politiche che erano stati eletti per rovesciare.
Panitch, Gindin e Maher sostengono che inquadrare ciò semplicemente come una capitolazione e un tradimento della dirigenza di Alexis Tsipras non coglie le radici più profonde della sconfitta. Né il problema è stato solo che i leader di Syriza avevano mancato di valutare seriamente un “Piano B” in cui avrebbero rigettato tutte le misure di austerità, lasciato l’eurozona e adottato una moneta alternativa. Ben prima di salire al potere la dirigenza aveva in pratica abbandonato il suo impegno formale a costruire le forze della classe lavoratrice:
Scarsa attenzione è stata riservata a chi sarebbe stato lasciato nel partito ad agire quale quadro organizzatore nella società. L’aumento dell’adesione al partito non è stato per nulla proporzionata alla misura della svolta elettorale. Persino quando nuovi attivisti si sono in effetti iscritti, la dirigenza ha generalmente fatto pochissimo per sostenere quelli nell’apparato del partito che volevano sviluppare le capacità di tali attivisti per trasformare le sezioni del partito in centri di vita della classe lavoratrice e coinvolgersi strategicamente con loro, preferibilmente congiuntamente alle reti di solidarietà, nel pianificare forme alternative di produzione e consumo. Questo attesta quanto ancora lontana fosse Syriza dall’aver scoperto come sottrarsi ai limiti della socialdemocrazia.
Occasioni mancate di stimolare e affidarsi all’organizzazione della classe lavoratrice sono divenute particolarmente acute quando Syriza ha assunto il potere. Gli autori citano il militante di Syriza Andreas Karitzis che ha sostenuto che né la dirigenza del partito né, cosa altrettanto importante, i suoi critici radicali hanno formulato piani concreti per mobilitare energie popolari nell’attuazione di politiche progressiste.
Superare gli ostacoli antidemocratici istituzionali richiedeva la trasformazione dello stato collegandolo con iniziative popolari e sostenendole: “le dozzine di comitati che erano stati creati riproducevano vaghi confronti politici invece di delineare piani specifici di realizzazione per settore per superare gli ostacoli e ristrutturare le funzioni dello stato e delle istituzioni con un orientamento democratico”. Tra molte di tali possibilità, il ministero dell’istruzione, ad esempio, avrebbe potuto trasformare le scuole in “snodi comunitari” per rafforzare gli sforzi degli attivisti locali e offrire istruzione o addestramento tecnico a vicini e genitori.
Con i movimenti di massa e le organizzazioni dei lavoratori della Grecia relativamente smobilitati – e con il governo isolato internazionalmente a causa del rapporto di forze considerevolmente debole all’estero – non sorprende che Tsipras alla fine si sia piegato alla Troika. Segnalare tale contesto non scusa le decisioni della dirigenza di Syriza. Ma ci indica una rilevante lezione strategica. Vincere le elezioni non basta: per attuare il suo programma un governo di sinistra deve appoggiarsi ai movimenti di massa dei lavoratori e sostenerli. E deve battersi per democratizzare lo stato.
I movimenti di Corbyn e di Sanders
E solo fino a quel punto che i socialisti possono spingersi se organizzazioni militanti del lavoro capaci di ispirare milioni di lavoratori e costruire sul campo un nuovo senso comune politico. Come illustra The Socialist Challenge Today i socialisti del Regno Unito lo sostenevano ben prima che la sconfitta di Corbyn nel 2019 lo rendesse abbondantemente chiaro.
Anche se i radicali avevano conquistato la dirigenza del Partito Laburista nel 2015, gran parte dell’ala parlamentare del partito, dei dirigenti locali e della base sindacale restava non trasformata. In effetti un rapporto di 850 pagine recentemente trapelato documenta come leader di destra del Partito Laburista abbiano trascorso gran parte degli ultimi cinque anni a cercare attivamente di indebolire Corbyn dall’interno.
Un afflusso di membri giovani, organizzati principalmente attorno a Momentum, ha ammirevolmente spinto in nuove direzioni. Ma il compito era formidabile per attivisti relativamente privi di esperienza e di radici. Come il membro di Salford del partito, Tom Blackburn, ha sostenuto nel 2017, la sfida consisteva nel “coltivare attivamente il sostegno popolare a un’alternativa politica radicale, anziché presupporre che un sostegno sufficiente fosse già latente, solo in attesa di essere attinto”. Poiché l’impegno a favore del corbynismo era così disuguale per generazione e regione, ci sarebbe voluto un sacco di paziente lavoro di organizzazione per conquistare la maggioranza della classe lavoratrice.
Iniziative dal basso e dalla dirigenza di Corbyn dall’alto erano necessarie per far progredire questo intimorente progetto, probabilmente sfociando in uno scontro con dirigenti radicati del partito e parlamentari laburisti moderati. Evidenziando la necessità di “chiarezza e onestà riguardo alla dimensione del compito che ha davanti la nuova sinistra laburista, e anche la natura di tale compito”, Blackburn ha sollecitato il ripristino del “Partito Laburista come una forza di campagne nelle comunità della classe lavoratrice, per democratizzare le sue strutture decisionali e per far emergere la prossima generazione di quadri, candidati e attivisti di sinistra del laburismo”.
Dei vari motivi accavallati per cui Corbyn ha perso alla fine del 2019, l’assenza di un robusto movimento dei lavoratori incombe probabilmente come il maggiore. Particolarmente nelle regioni post-industriali decenni di sconfitte e la scomparsa di un robusto Partito Laburista o di strutture sindacali ha lasciato i lavoratori troppo rassegnati e atomizzati perché l’ambizioso messaggio di Corbyn incontrasse sufficiente favore. Bussando alle porte degli elettori, i volontari erano accolti con un comprensibile scetticismo che il Partito Laburista potesse mantenere le proprie promesse. Pochi brevi anni di campagne interne ed esterne si erano dimostrati insufficienti a convincere di un’alternativa realizzabile:
La sconfitta del Partito Laburista nel 2019 ha sottolineato i limiti di ciò che poteva essere fatto senza cambiamenti fondamentali nel partito stesso, pochissimi dei quali erano stati realizzati durante gli anni di Corbyn, specialmente in termini di coinvolgimento diretto nelle lotte e attività a livello della comunità e del luogo di lavoro, e di rafforzamento delle reti sociali e politiche per creare collegamenti attraverso comunità e luoghi di lavoro diversi della classe lavoratrice. La maggior parte dei vasti aumenti di membri durante gli anni di Corbyn si è verificata mediante affiliazioni a livello nazionale piuttosto che attraverso un partito dall’elettorato locale. E pochissimi di essi, tra cui gli attivisti di Momentum, hanno partecipato a regolari incontri locali del partito.
Anche se Corbyn avesse vinto le elezioni, la debolezza del movimento sindacale e l’opposizione interna di parlamentari laburisti moderati sarebbero rimasti ostacoli scoraggianti da superare combattendo contemporaneamente una classe capitalista immensamente potente. Come ha dimostrato l’esperienza greca, una cosa peggiore che perdere un’elezione è vincerla ed essere costretti ad attuare le politiche dei propri avversari.
Il risorgente movimento socialdemocratico negli Stati Uniti ha riflesso le stesse forze e gli stessi limiti fondamentali degli omologhi all’estero. Le candidature di Bernie Sanders nel 2016 e nel 2020 sono state elementi rivoluzionari per la cultura politica del paese, segnando una spettacolare presa di distanza dal liberalismo centrista, filo-industriale di figure come Hillary Clinton e Joe Biden. Panitch, Gindin e Maher segnalano che facendo della “disuguaglianza di classe il tema centrale di una campagna politica in un modo mirato ad attraversare e penetrare le divisioni di razza e di genere al fine di costruire una forza di classe più coerente”, Bernie ha reso un servizio inestimabile a una sinistra statunitense assediata.
Un anziano senatore del Vermont ha rilegittimato il socialismo e reintrodotto la politica di classe su basta scala: “Sander ha aperto la via alla creazione di un’apertura per il nuovo discorso socialista, anche lavorando nel corso della sua campagna presidenziale non solo vincere l’elezione, ma anche per costruire un duraturo movimento della classe lavoratrice”. Un notevole risultato è stato la crescita esplosiva dei Democratic Socialists of America (DSA). Nuovi membri del DSA hanno assunto il compito di battersi per trasformare il lavoro organizzato, in particolare svolgendo ruoli chiave di guida e sostegno in molti degli scioperi degli insegnanti dal 2018.
Di certo, le campagne di Sanders hanno avuto considerevoli limiti. Gli autori, ad esempio, indicano il donchisciottesco tentativo di Bernie di “riconquistare” il Partito Democratico, che ha assorbito energie e risorse meglio impiegate per costruire un duraturo apparato politico indipendente. Conservare la nostra indipendenza dalla dirigenza Democratica e mantenere i volontari organizzati oltre il ciclo elettorale richiede forti organizzazioni democratiche di membri, e alla fine un partito nostro.
Andato in stampa nel gennaio del 2020, The Socialist Challenge Today non analizza direttamente i motivi della recente sconfitta di Bernie. Ma la sua analisi indica chiaramente che si tratti delle grandi lezioni: in assenza di un movimento rivitalizzato dei lavoratori era eccessivamente difficile per Bernie vincere un’elezione nazionale, per non parlare di attuare il suo programma se eletto. Come in Gran Bretagna, troppe regioni e troppi strati della classe lavoratrice restano rassegnati alla politica di sempre.
Affermazioni che Bernie avrebbe vinto se avesse evitato questo o quell’errore tattico sottovalutano di molto la forza dei nostri avversari e la necessità del nostro schieramento di organizzarsi molto meglio per sconfiggerli. Gli autori concludono che non c’è una soluzione rapida per superare l’irregolarità sociologica della nostra attuale radicalizzazione o per ricostruire un forte movimento dei lavoratori:
Sottrarsi a questa crisi della classe lavoratrice non è principalmente una questione di politiche migliori o tattiche migliori. Si tratta principalmente di una sfida organizzativa per agevolare nuovi processi di costruzione di classe radicati nelle molteplici dimensioni delle vite dei lavoratori che comprendono tante identità e comunità.
Come sarà andando avanti? Si immagini di trasformare i nostri sindacati in modo che possano condurre scioperi in tutto il paese, organizzare con successo milioni di lavoratori di Amazon, Walmart e Whole Foods e condurre battaglie sulla giustizia razziale, il cambiamento climatico e il diritto alla casa. Un movimento rivitalizzato dei lavoratori sarebbe in grado di sostenere attivamente, e appoggiarsi a, centinaia di socialdemocratici di nuova elezione a cariche locali, statali e nazionali impegnati a realizzare miglioramenti tangibili della vita della classe lavoratrice. Non solo eleveremmo le nostre aspettative collettive; alla fine avremmo la capacità organizzativa per cominciare a trasformare in realtà i nostri sogni.
Conclusione
La sinistra è oggi colta in un infelice Comma 22. Anche se siamo di nuovo nella normalità politica, non siamo ancora abbastanza forti da vincere elezioni nazionali negli Stati Uniti o nel Regno Unito. E, come dimostra l’esperienza greca, anche quando sufficientemente forti per essere eletti, non abbiamo avuto la capacità di rovesciare il neoliberismo.
Queste sconfitte strutturali e speranze svanite, a loro volta, ci rimbalzano addosso demoralizzando volontari, riducendo la nostra spinta e ostacolando il progetto di costruire una forte sinistra radicata in un movimento rivitalizzato dei lavoratori. Esiste il pericolo reale che i limiti della svolta dalla “protesta alla politica” indurranno gli attivisti a rinunciare alla speranza o a cercare scorciatoie strategiche.
Per fortuna c’è una via d’uscita da questo circolo vizioso. Adottare la strategica di lungo corso articolata su The Socialist Challenge Today metterebbe il nostro movimento in grado di superare i propri inevitabili alti e bassi. Invece di soccombere alla disperazione o di gettare il bambino con l’acqua del bagno dopo ogni battuta d’arresto, i socialdemocratici possono continuare a costruire potere combinando il lavoro elettorale della lotta di classe – e le lotte per democratizzare lo stato – con sforzi di espandere e trasformare il movimento del lavoro. E’ la nostra unica via al potere.
Questo approccio, quello che gli autori chiamano una “lunga guerra di posizione nel ventunesimo secolo”, è una condizione necessaria per la vittoria, ma certamente non è sufficiente. Rovesciare il neoliberismo e alla fine eliminare il capitalismo richiede più che buone e idee e forza di volontà. Ogni sorta di fattori fuori dal nostro controllo include crisi economiche, ondate di scioperi spontanei, rivolte di massa, ed esempi ispiratori dall’estero. Trarre il massimo da queste aperture quando sorgono, tuttavia, richiede un chiaro orizzonte strategico e una sinistra sufficientemente forte per plasmare il corso degli eventi.
Essere socialisti non smetterà presto di essere difficile. I nostri avversari sono troppo potenti perché esistano ricette sicure per il successo a breve termine. Ma la vittoria è possibile se ci armiamo delle lezioni del passato, più una sana dose di pazienza e determinazione.
Nel frattempo impariamo ad amare la stessa lotta. Di fronte a tanta sofferenza e ingiustizia non necessarie, non c’è un modo più significativo di passare il proprio tempo che organizzando per la trasformazione sociale. Come scrisse il giovane Karl Marx nel 1835
se nella vita abbiamo scelto la posizione in cui possiamo soprattutto lavorare tutti per l’umanità, nessun fardello può piegarci, perché si tratta di sacrifici per il beneficio di tutti; allora non proveremo alcuna meschina, limitata, gioia egoistica bensì la nostra felicità apparterrà a milioni, i nostri atti continueranno a vivere silenziosamente ma perpetuamente all’opera, e sulle nostre ceneri saranno versate le lacrime calde di persone nobili.
da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/why-the-left-keeps-losing-and-how-we-can-win/
Originale: Jacobin
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2020 ZNET Italy