Dopo la dichiarazione di “autogoverno” proclamata dai ribelli separatisti nello Yemen del Sud, c’è poco da dubitare sul fatto che la crisi salirà di livello. Le sue radici, tuttavia, non sono solo nelle divisioni interne che hanno piagato il paese dal 2011, ovvero da quando Saleh fu estromesso dal potere; l’attuale crisi e l’intero periodo di guerra affondano le radici in più ampie contese geo-politiche: una è quella che contrappone l’Arabia Saudita e la sua “coalizione araba” agli Houthi e all’Iran, l’altra è quella all’interno della “coalizione Araba”. Anche se la “coalizione Araba” rimane “unita” nel contrastare il prevalere degli Houthi all’interno dello Yemen al fine di continuare a impedire che questo paese devastato dalla guerra possa trasformarsi in un potente attore regionale, al suo stesso interno ci sono profonde divisioni intestine, ed in particolare tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, divisioni che continuano a complicare ulteriormente la crisi e che bloccano contemporaneamente tutte le prospettive di un accordo pacifico con gli Houti.

L’iniziativa del Consiglio di Transizione del Sud (STC), sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, ha, innanzitutto, gettato nella pattumiera l’accordo di Riyad. L’accordo di Riyad, firmato a novembre 2019, non rifletteva semplicemente il conflitto in corso tra il governo yemenita appoggiato dai sauditi e l’STC appoggiato dagli Emirati Arabi Uniti, ma voleva proprio gettare un ponte tra i due schieramenti. L’accordo prevedeva specificatamente la formazione di un governo composto in egual numero da yemeniti del nord e del sud, il passaggio delle forze separatiste sotto il controllo del governo appoggiato dai sauditi e la restituzione da parte dell’STC di tutti gli edifici governativi da lui occupati. Ma l’accordo, nel timore che la divisione del potere alla fine indebolisse il governo di Hadi e che lo Yemen rimanesse ancora uno stato vassallo degli Emirati Arabi Uniti, non affrontava le richieste di fondo degli yemeniti del sud o la loro principale istanza di secessione.

In questo modo, il fatto che ora l’STC abbia dichiarato “l’autogoverno”, non avendo ancora raggiunto la totale indipendenza, mostra che i tentativi sauditi di spingere gli interessi degli Emirati Arabi Uniti a convergere con i propri sono falliti ancora una volta, e questo va esacerbando le loro relazioni bilaterali che erano già in via di deterioramento a causa della costante spinta [in inglese] degli Emirati Arabi Uniti verso il raggiungimento della posizione di “egemone regionale” al posto dei sauditi.

Le divisioni, di fatto, stanno diventando acute. Quando l’STC prese Aden nell’agosto 2019, fu il risultato di quello che l’STC ha descritto come la stretta di mani tra gli Houti e il governo yemenita sostenuto dai sauditi. Ovvero, entrambi stavano cercando di prendere il controllo del Sud e quindi di porre fine alla spinta separatista. Mentre non può essere realistico aspettarsi che gli Houti si alleino con le forze sostenute dai sauditi, c’è poco da dubitare sul fatto che i sauditi vogliano riportare il Sud nel loro controllo. Questo permetterebbe loro di raggiungere due obiettivi. Innanzitutto, portare il Sud sotto il loro controllo indebolirà considerevolmente la posizione degli Emirati Arabi Uniti nel paese. In secondo luogo, la fine dei “combattimenti intestini” aiuterà a radunare le forze contro gli Houthi e a costituire un fronte unito, creando la prospettiva per un’eventuale vittoria saudita e la perpetua sottomissione dello Yemen alla monarchia.

Gli Emirati Arabi Uniti, dall’altra parte, vogliono invece dividere il paese e trasformare la regione meridionale in una zona sotto la loro influenza. Vogliono quindi creare un loro stato vassallo nel sud al fine di impedire che il porto di Aden diventi un hub per le rotte marittime internazionali e metta a repentaglio la redditività dei loro porti.

Quest’obiettivo, comunque, non dovrebbe preoccupare troppo i sauditi in quanto uno Yemen diviso sarà molto più debole; per loro, tuttavia, il problema degli Houthi rimarrà ancora irrisolto e questo gli impedirà di ritirarsi dal conflitto.

Inoltre, anche se i sauditi vogliono che lo Yemen rimanga debole e povero, non vogliono comunque dividere il paese e consentire quindi direttamente agli Emirati Arabi Uniti di accrescere la loro influenza regionale, in quanto potrebbe danneggiare le “ambizioni egemoniche saudite”. Questo spiega perché denunciarono subito la “dichiarazione di autogoverno” mentre invece gli Emirati Arabi Uniti espressero solo tiepidamente le loro preoccupazioni. La loro strategia rimane proprio quella di ricreare lo stato dello Yemen del Sud pompando denaro e armi e fornendo addestramento militare e sostegno politico ai suoi alleati in loco. E questo stato meridionale separato dovrà essere lontano sia dall’influenza dei sauditi che da quella del partito islamista Islah, un gruppo strettamente alleato dei Fratelli Musulmani che attualmente fa parte degli alleati di Hadi.

Dato che la crescente deriva dello Yemen verso un’altra guerra tra nord e sud ha le sue radici in una più ampia competizione geo-politica, sembra davvero plausibile che la guerra si intensificherà e che il governo sostenuto dai sauditi, già indebolito dai successi militari degli Houthi, dovrà combattere su due fronti. Il governo di Hadi è già alla ricerca di modi per reprimere l’STC con la forza. Il Ministro degli Esteri, Mohammed al-Hadrami, ha invitato l’Arabia Saudita ad adottare “misure decisive contro la continua ribellione del cosiddetto Consiglio di Transizione”.

Certamente, un impegno militare saudita per reprimere le forze dell’STC incontrerà l’opposizione degli Emirati Arabi Uniti, e sarà una cosa che, oltre a far aumentare gli scontri nello Yemen,  spingerà ulteriormente il paese verso una conseguente catastrofe, rendendolo vittima della lotta di potere regionale all’interno del “Mondo Arabo Sunnita” ovvero tra i Sauditi e gli Emirati.

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Articolo di Salman Rafi Sheikh pubblicato su New Eastern Outlook il 6 maggio 2020
Traduzione in italiano di Pier Luigi S. per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

http://sakeritalia.it/medio-oriente/yemen/la-guerra-nello-yemen-come-riflesso-dei-conflitti-nel-mondo-arabo/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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