Riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
In coincidenza con il 2 giugno è stata pubblicata un’analisi di Ilvo Diamanti dalla quale si evince che l’emergenza sanitaria ha fatto crescere la voglia di “sospensione delle regole democratiche”: ne sono convinti il 41% degli intervistati.
Nello stesso tempo si mantiene stabile, al 56%, la quota di chi ritiene che il Paese abbia bisogno di essere guidato da un “leader forte”.
La percentuale di chi pensa a un restringimento dei margini di agibilità democratica sale in parallelo con l’aumento dei timori per l’estensione dell’emergenza sanitaria: contemporaneamente, però, diventano centrali i temi della libertà di “movida” e di “vacanza”.
, Se guardiamo alla piazza che salta nella notte di Avellino ci sarebbe quasi da pensare ad impasto di “anarco – fascismo” degno della migliore tradizione dell’arditismo anarco – sindacalista degli anni’20.
Questi dati ci indicano come si stia delineando un mutamento della democrazia rappresentativa, del resto già in atto da tempo, ma che oggi risulta un fenomeno in via di accelerazione.
All’emergere della figura del “Capo”, sia quello del governo, sia quelli delle Regioni viene considerato sempre più marginale il ruolo del Parlamento, che secondo la Costituzione dovrebbe rappresentare il luogo principale della rappresentanza democratica.
Una situazione all’orlo di una vera e propria crisi democratica accentuata dalle difficoltà di un sistema dei partiti ridotto al collasso, dal modificarsi del rapporto centro – periferia in particolare per quel che riguarda il ruolo delle Regioni, dal ruolo soffocante di una burocrazia ormai arrivata ai limiti del parossismo nella sua indecifrabilità.
Il tutto all’interno di un quadro generale di fortissima crisi economica con parti del Paese che sopravvivono soltanto grazie al lavoro nero oppure all’assistenzialismo spicciolo, tra reddito di cittadinanza, bonus e sussidi.
Dove si indirizzerà, allora, nelle prossime settimane, lo scontento delle tante categorie del frastagliato mondo del lavoro autonomo e nero nel momento in cui finiranno bonus e sussidi e questi soggetti, numericamente imponenti, si troveranno soli di fronte a una crisi di dimensioni al momento poco immaginabili?
Con loro, in quella che è già stata definita “l’estate dello scontento”, ci saranno anche i dipendenti del privato soggetti a cassa integrazione e mobilità, alle prese con difficoltà nei pagamenti dovuti nell’immediato e privi , in moltissime situazioni, di una qualche prospettiva per il futuro.
Così si alimentano le condizioni per una protesta (ne scrive anche Marc Lazar) di rilevanti dimensioni, non certo paragonabile a quella folcloristica dei “negazionisti” messa su dal generale Pappalardo.
Una protesta generalizzata che potrebbe incidere sulla conformazione complessiva del sistema politico italiano, dei suoi equilibri, della stessa prospettiva di governo.
Intanto tra la nuova presidenza di Confindustria apre ad una fase di fortissima tensione.
Una situazione affatto diversa da quella del “patto sociale” invocato dal Governatore della Banca d’Italia, nel corso di una relazione annuale dai toni assolutamente drammatici nell’evocazione di un possibile calo del 13% del PIL.
“Patto sociale” ingenuamente raccolto dal segretario del PD che ha usato toni davvero di infausta evocazione della “solidarietà nazionale” anni’70.
Sullo sfondo rimangono due questioni: quella europea che ruota ormai quasi essenzialmente attorno al tema dell’elargizione degli aiuti e l’altra del peso dell’informazione misurata direttamente nei confronti del sistema politico, nel momento di un cambiamento di proprietà di grande rilievo come quello avvenuto alla guida di GEDI.
GEDI portatrice, è bene ricordarlo, di un progetto molto preciso sia sul piano del vincolo esterno (neo-atlantismo; appoggio all’asse franco – tedesco; recupero di sovranità) sia su quello del vincolo interno (superamento di questo governo, governo di tecnici in appoggio alla linea dei “falchi” in questo momento al potere in Confindustria).
Emerge inoltre, nella situazione italiana, una “questione morale” che ormai attraversa anche i settori che tradizionalmente hanno interpretato un ruolo di “supplenza” nella difficoltà del sistema democratico com’è stato nel caso della Magistratura.
Nasce da questi elementi uno spostamento massiccio della pubblica opinione verso tensioni di vero e proprio anarco- fascismo.
Si è trasformato radicalmente il ruolo dei partiti e accentuata la reciprocità tra il corporativismo sociale e l’autoreferenzialità di quello che era stato definito come “ceto politico”.
Si è cercato di andare incontro a questo profondo cambiamento attraverso la ricerca di forme di governo che stabilissero l’autonomia del “comando politico” anche e soprattutto rispetto al Parlamento, esaltando la “governabilità” e riducendo lo spazio per la rappresentanza attraverso leggi elettorali poi clamorosamente giudicate fuori dal perimetro costituzionale da parte dell’Alta Corte.
Meccanismo che oggi si cerca colpevolmente di reiterare ancora una volta in forma del tutto ingannevole.
All’interno di questo quadro si è consolidata quella che è stata definita come “Costituzione materiale”: “Costituzione materiale” che si è cercato varie volte di suffragare attraverso proposte di modifica della Costituzione formale; tutte proposte respinte; in due occasioni anche dal voto popolare seguito all’approvazione da parte del Parlamento.
All’esito di quei voti (2006 e 2016) non ha però corrisposto un’adeguata capacità di riproposizione da parte delle forze politiche della centralità parlamentare così come espressa negli articoli della Costituzione del ’48.
Di conseguenza è mancata una “visione” della democrazia e si è fornito ulteriore spazio a questo processo di vera e propria disgregazione i cui fattori, già ricordati all’inizio di questo intervento, non sono stati arrestati e stanno provocando l’emergenza di una costante disaffezione dell’agire nel senso dell’interesse collettivo.
Una vera propria “disaffezione democratica” dimostrata anche dall’emergere di una assolutamente eccessiva volatilità elettorale ormai portata al limite dello sbandamento collettivo e da una crescita del fenomeno della personalizzazione della politica fino al punto da rendere, come stiamo costatando, l’idea del cosiddetto “uomo solo al comando” quasi come una sorta di “vox populi”.
In sostanza: una società sfibrata e disorientata in cerca di un “Lord Protettore”; così si giustificano anche i repentini mutamenti di scena verificatisi nel corso degli anni emblematizzati dal trasformismo rapace interpretato dal M5S e dal presidente del Consiglio.
In queste condizioni si sta determinando l’evidenza di una nuova faglia nel sistema politico: Costituzione versus Anticostituzione.
Una nuova faglia politica che abbiamo il dovere di saper interpretare con urgenza assumendo il valore costituzionale, soprattutto sul piano della forma di governo e del ruolo del Parlamento come rappresentanza politica dell’identità nazionale (come intesero i Costituenti), come riferimento propriamente politico.
Dovrebbe essere questo il senso di una formazione di “Sinistra Costituzionale” che stiamo da qualche tempo cercando di porre all’ordine del giorno nell’articolato e un po’ sconnesso mondo della sinistra italiana, attraverso il lavoro del “Dialogo Gramsci -Matteotti”.
La prima prova del fuoco, da questo punto di vista, sarà rappresentato dal referendum confermativo sul taglio dei parlamentari: il nostro “NO”, infatti, dovrà soprattutto valere nel senso preciso di difendere e affermare ancora una volta valori, principi, norme della Costituzione Repubblicana.