È dura da vincere la cultura della competizione soprattutto se avviene attraverso contratti svantaggiosi, paghe da fame e forme di autosfruttamento. È il caso del terzo settore, o privato sociale come qualcuno ama definirlo, rispetto al pubblico impiego.
Non pensiamo di riproporre la logica perdente, e demenziale se posta in termini generici e da slogan ideologico, del pubblico contrapposto al privato sociale, siamo ben consapevoli dei tanti limiti che i l’educazione pubblica presenta ma molti dei suoi detrattori dimenticano un particolare rilevante legato alle condizioni lavorative e retributive della forza lavoro. Perché, a scanso di equivoci, abbiamo conosciuto materne e nidi non pubblici con eccellenti educatrici e programmi didattici avanzati, ci chiediamo tuttavia cosa accadrebbe a queste strutture se guardassero con maggiore attenzione, e spesa, ai salari della loro forza lavoro. Sarebbero ancora attrattive rispetto al pubblico o verrebbe meno la ragione primaria della attrattività di queste strutture costituita anche da bassi salari e dalla assenza di sindacato al loro interno?
Il Comitato tecnico scientifico (Cts), presso la Protezione civile, ha approvato le misure anticovid da adottare nelle scuole per l’anno scolastico 2020-2021.
E gli Enti locali hanno già precisato di non avere i fondi necessari per la messa in sicurezza di nidi e materne e più in generale per le scuole di competenza degli enti locali, da qui l’interesse del privato sociale per avere spazi maggiori per i campi estivi. Se i Comuni, e i loro dipendenti, avanzano dubbi sulla agibilità delle scuole c’è sempre la risorsa del privato sociale che in assenza di spazi per la rinegoziazione degli appalti è disposta a trovare qualche soluzione. Ecco come si configura l’antitesi pubblico e privato, con le cooperative sociali desiderose di guadagnare spazi a discapito del pubblico.
Leggeremo con attenzione le misure organizzative e igienico sanitarie, certo che laddove leggiamo la indicazione di accrescere le pulizie dei plessi scolastici ci chiediamo come sarà possibile senza rimettere mano agli appalti di pulizie. È una esigenza reale ma non sufficientemente valutata dai sindacati e perfino dagli stessi lavoratori. Ci chiediamo se tanto gli Enti pubblici quanto quelli privati abbiano risorse economiche e disponibilità della forza lavoro sufficienti a fronteggiare l’emergenza anti contagio, nessuno sta pensando di ridurre il numero degli alunni per classe, il rapporto tra educatrici e bambini\e nei nidi e nelle materne, se tutto ciò accadesse avremmo un aumento considerevole della spesa per il personale dei servizi educativi, se poi volessimo intervenire con equità e giustizia potremmo partire dal presupposto che tanto nelle scuole pubbliche quanto in quelle private la paga oraria non dovrebbe scendere al di sotto di una certa cifra.
Forse solo allora avremmo ripristinato tre condizioni imprescindibili:
- il rifiuto del dumping salariale applicando contratti di miglior favore per stazioni appaltanti e appaltatori ma negativi invece per la forza lavoro
- equità di trattamento in termini salariali e previdenziali
- accrescere la qualità dei servizi educativi e la loro diffusione
La didattica a distanza non è detto che finisca in soffitta con il prossimo settembre, poi ci sono problemi non secondari come la gestione delle forme di socializzazione (ad esempio la ricreazione), il gioco e le attività fisiche, tutte attività che mal si conciliano con il distanziamento sociale.
E qualcuno dovrebbe anche spiegarci come sarà possibile aumentare gli spazi didattici complessivi visto che per anni questi spazi sono stati contratti. Chi investirà, e quanto, per ampliare gli spazi educativi, per assumere personale, per riorganizzare i rapporti tra educatori e bambini, per ridurre il numero degli alunni per classe? Questi sono argomenti dirimenti perché la pandemia sia anche occasione di rivedere la qualità dei servizi educativi statali e comunali, per porre fine alle disuguaglianze salariali.
Noi una proposta vorremmo pur lanciarla, in primis escludere dai tetti di spesa quanto necessita per il sociale e l’istruzione, questa dovrebbe essere una proposta dell’Anci e non solo di qualche sindacato di base visto che in ballo entrano le normative statali e regionali. E quanto alle risorse è bene ricordare che a fronte di minori entrate negli enti locali per la interruzione delle rette nei nidi e nelle materne, lo Stato dovrebbe fare uno sforzo in più, non solo per compensare i minori ricavi dei Comuni ma per dare il primo esempio operando verso nuove regole che rimettano al centro i bisogni educativi senza vincolarli a tetti di spesa e a rapporti numerici che hanno favorito il progressivo impoverimento dell’offerta educativa. Ecco quali sono i nostri compiti, rimettere al centro l’istruzione e farlo rompendo regole e tetti di spesa che la istruzione hanno impoverito facendole perdere quella centralità che un tempo aveva.
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