Colao: un piano deludente per il post-epidemia
Il piano di Colao, dal sapore tecnocratico e liberista, è deludente, lacunoso e sbagliato. E’ deludente perché manca di coraggio e visione di un paese diverso, limitandosi alla rassegna di misure micro ed eterogenee non raccordate in un disegno strategico. Mancano le priorità.
Il piano di Colao, dal sapore tecnocratico e liberista, è deludente, lacunoso e sbagliato.
E’ deludente perché manca di coraggio e visione di un paese diverso, limitandosi alla rassegna di misure micro ed eterogenee non raccordate in un disegno strategico. Mancano le priorità. Che tra i sei “settori-chiave”del piano non ci sia la parola welfare, sostituita da individui e famiglie, è grave. E non c’è la parola salute. Il lavoro è associato alle imprese (ovviamente prima imprese e poi lavoro), senza che ci si renda conto che la condizione del lavoro va ben oltre la dimensione di un sottocapitolo di un piano. Dovrebbe ricordarcelo il primo articolo della nostra Costituzione.
Le aspettative erano altre e molto più alte.
E’ lacunoso perché manca la riflessione e la proposta su intere direttrici fondamentali dello sviluppo del nostro paese: il welfare, il servizio sanitario pubblico, l’istruzione. Non che manchino proposte specifiche condivisibili, tutte sezionate e dettagliate, ma manca il quadro di fondo, un’indicazione di cambio rotta -ad esempio – sulle risorse necessarie e l’architettura istituzionale di queste fondamentali politiche pubbliche. Manca la politica industriale: come al solito la fanno da padrone gli sgravi fiscali e la deregolamentazione. Manca la politica fiscale, la giustizia fiscale, la lotta all’evasione se non per una parte -condivisibile- di proposte indirizzare all’uso del contante. Manca la cancellazione dei SAD. Ci sono molte spruzzate di sostenibilità e di green, ma manca il Green Deal come disegno di fondo per il ripensamento del nostro sistema produttivo e dei consumi.
E’ sbagliato perché -soprattutto sulla parte dedicata alle imprese- si vede lo stato come un ostacolo, qualcosa da scansare (come nelle proposte per togliere di mezzo gran parte del Codice Appalti), non come il motore della ripresa economica del nostro paese. Immaginiamo che questo sia il motivo per cui la Mazzucato non abbia sottoscritto il documento.
Naturalmente, tra le 102 proposte ce ne sono diverse condivisibili, di buon senso – tra queste quelle sulla semplificazione, altre sull’ambiente e quelle della parte finale sulle donne- il cui successo è spesso affidato alla moral suasion, al dialogo tra le parti interessate. C’è la solita retorica -ormai imperante- dello smart working, ma non viene mai ricordato il “diritto alla disconnessione” e la necessità -avanzata dai sindacati- di una regolazione contrattuale ben più stringente rispetto a quella attuale.
Non sappiamo se questa sarà la base sulla quale si costruiranno gli imminenti stati generali dell’economia, annunciati dal premier Conte. Molti ne dubitano, e anche noi. Il rischio è che a questo piano deludente segua un vertice altrettanto sconfortante: una inutile passerella, un’operazione estemporanea di marketing che seminerà poco e presto sarà dimenticata.
Finché si è in tempo cerchiamo di fare le cose in modo diverso, coinvolgendo le forze economiche e sociali, la società civile, le associazioni, dandoci il tempo – necessariamente breve – per ragionare sul merito e le scelte da fare: abbiamo davanti un’occasione irripetibile per cambiare in meglio il volto del paese. Cerchiamo di non sprecarla