Dal 12 novembre scorso, come noto, la Bolivia è di fatto governata dal governo golpista di Jeanine Áñez, sostenuta dalla borghesia boliviana e dalle forze reazionarie internazionali, mentre il presidente legittimo Evo Morales, vincitore delle elezioni di ottobre, è stato costretto a lasciare il Paese, e si trova attualmente in esilio in Messico. I golpisti hanno giustificato la presa del potere affermando che la vittoria elettorale di Morales sarebbe stata irregolare, ma di recente il Centre for Economic Policy Research (CEPR), una rete di ricercatori presente in tutta Europa, ha smentito punto per punto questa versione, confermando l’illegalità dell’attuale governo de facto.
Nella giornata di domenica 14 giugno, sono stati osservati alcuni movimenti da parte delle forze di polizia boliviane nei pressi dell’ambasciata messicana a La Paz, che ospita alcuni esponenti del Movimiento al Socialismo (MAS), il partito di Evo Morales. La tesione tra i due Paesi latinoamericani è dunque tornata a salire dopo che, lo scorso dicembre, il governo golpista aveva espulso l’ambasciatrice messicana María Teresa Mercado, proprio perché il Messico aveva concesso l’asilo politico a Morales e ad altri membri del suo governo.
Le autorità messicane hanno intimato al governo golpista boliviano di ritirare le forze di polizia nel rispetto del diritto internazionale, e poco dopo i movimenti delle forze dell’ordine a La Paz sono terminati. Secondo molti, il governo Áñez starebbe cercando un pretesto per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla disastrosa gestione dell’emergenza coronavirus, mentre i licenziamenti ed i tagli dei salari dei lavoratori stanno duramente colpendo le classi popolari. Nella giornata di domenica, la Bolivia, Paese di circa dieci milioni di abitanti, ha registrato un nuovo record di contagi (913), portando il totale nazionale oltre quota 11.000, con 585 morti.
I problemi per il governo golpista, come detto, non si esauriscono con l’emergenza sanitaria. Il principale sindacato del Paese sudamericano, la Central Obrera Boliviana (COB), ha recentemente denunciato massicci licenziamenti, riduzione dei salari nelle società pubbliche e private e persecuzioni contro i leader sindacali, per bocca del segretario esecutivo Juan Carlos Huarachi. Per questa ragione, i rappresentanti dei lavoratori hanno redato un documento di sedici punti per il rilancio del Paese, chiedendo nuove politiche in materia di lavoro, salute e istruzione, nonché il blocco delle privatizzazioni di risorse naturali strategiche come gas e litio.
Il governo Áñez si è anche caratterizzato per un malcelato razzismo nei confronti delle popolazioni indigene, che subiscono continue discriminazioni da quando il golpe ha avuto luogo. Nadia Cruz, rappresentante delle popolazioni native, ha denunciato la decisione di eliminare il Ministero della Cultura, che ha la funzione di garantire la pluralità culturale del Paese andino. “Vi esorto a garantire il rispetto della non regressività dei diritti dei popoli indigeni, promuovendo il rispetto delle misure per promuovere e attuare politiche e azioni con un approccio interculturale essenziale per proteggere coloro che appartengono a popolazioni indigene rurali”, si legge nella lettera scritta da Cruz al capo di stato de facto. “Si chiede di rispettare l’identità culturale, le credenze religiose, le spiritualità, le pratiche, i costumi e la visione del mondo di questi popoli contadini indigeni, nonché la conservazione della diversità e della ricchezza culturale dello Stato boliviano, nel quadro delle disposizioni della Costituzione politica dello Stato, delle norme nazionali e dei trattati e accordi internazionali”, ha concluso Cruz.
Dal colpo di stato, infatti, le politiche del governo di fatto si sono caratterizzate per una visione monoculturale dal punto di vista della minoranza di origine europea, che però rappresenta anche le classi più agiate del Paese, e che predica il neoliberismo più sfrenato. Tutto ciò viola i principi della carta costituzionale boliviana, approvata nel 2009 dal governo Morales, che definisce la Bolivia come Stato Plurinazionale e garantisce i diritti delle popolazioni indigene, riconoscendo come ufficiali ben 36 lingue. L’obiettivo non dichiarato del governo golpista è quello di voler ristabilire una “aristocrazia dell’epidermide”, riprendendo l’espressione dell’abolizionista francese Léger-Félicité Sonthonax, che era stata scalfita dall’ascesa al potere di Evo Morales, primo presidente indigeno.
Secondo quanto deciso dal Tribunal Supremo Electoral (TSE) di La Paz con il sostegno dell’ONU, il prossimo 6 settembre dovrebbero svolgersi nuove elezioni presidenziali. Tuttavia, la presidente golpista Jeanine Áñez sta tentando di utilizzare l’epidemia da nuovo coronavirus e la propria deficienza gestionale come scusa per mantenere il potere e rinviare ulteriormente il ritorno alle urne, che quasi certamente sancirebbe un ritorno al potere del MAS, il cui candidato alla guida del Paese sarà Luis Arce.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog