di Marshall Auerback
Le idee più recenti sono troppo poco, troppo tardi e tuttora compromesse da barriere istituzionali che bloccano una ripresa economica genuina. Non rappresentano un “momento hamiltoniano”.
Il 5 maggio la Corte Costituzionale tedesca ha sentenziato che parti delle operazioni di acquisto di titoli effettuate dalla Banca Centrale Europea per evitare una montante depressione economica erano illegali. Dopo tale sentenza sono emerse molte nuove proposte. Innanzitutto la Banca Centrale Europea (BCE) ha aggiunto ulteriori 600 miliardi di euro al suo programma di acquisti per l’emergenza pandemica (PEPP) annunciato in precedenza per sostenere la rapidamente vacillante economia dell’Europa. Questo porta il totale degli acquisti di titoli a 1,35 trilioni di euro. Inoltre, dai governi di Francia e Germania è stato proposto una fondo di ripresa “Prossima Generazione” [Next Generation] da 500 miliardi di euro, cifra successivamente aumentata a 750 miliardi di euro dalla presidente della Commissione Europea (EC) Ursula von der Leyen.
Le cifre di questi programmi suonano impressionanti ma, prese in aggregato, le proposte si limitano a un timido aggiustamento dello status quo legale e fiscale. Le proposte della BCE ignorano allegramente i problematici temi legali sollevati dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio. E il fondo “Prossima Generazione”, anche se apparentemente non soffre delle stesse carenze legali degli interventi della BCE, è insufficientemente vasto per strappare la UE dalla sua depressione del COVID-19, che richiederà trilioni, non miliardi, di euro per compensare la produzione economica persa. Quasi quotidianamente il continente sta sperimentando crolli record della produzione economica, persino potenze come la Germania, nonché le nazioni periferiche del sud. Il problema è che a questo punto la UE può a malapena permettersi altri passi da neonato se vuole che l’Unione Europea sopravviva come costruzione politica praticabile o che l’euro sopravviva come moneta vitale.
La proposta franco-tedesca, in particolare, è stata descritta come il “momento hamiltoniano dell’Europa”, che è circa una caratterizzazione tanto accurata quanto paragonare i cimenti di un bambino di cinque anni che dipinge con le dita con le opere di Claude Monet. Entrambe le attività possono essere caratterizzate grossolanamente come “pittura”, ma il paragone arriva solo fin lì. Il “momento hamiltoniano” originale fu uno “storico compromesso costituzionale forgiato dal primo segretario al tesoro USA Alexander Hamilton, James Madison e Thomas Jefferson” nel 1790. Le parti accettarono l’idea della mutualizzazione del debito accettando che il tesoro federale, di nuova fondazione, assumesse tutto il debito esistente “contratto dagli stati USA durante la Guerra d’indipendenza”. In cambio dell’acquiescenza dei virginiani, Jefferson e Madison, Hamilton accettò di trasferire la capitale permanente della nazione dal nord a Washington, D.C.. Fino a quando tale compromesso non fu raggiunto, il Congresso era stato bloccato in uno stallo politico.
Lo sblocco della paralisi “rese possibile l’approvazione delle leggi sulla Residenza e sul [l’Assunzione del] Finanziamento nel luglio e agosto del 1790” che permisero che i debiti statali fossero federalizzati. Ma il compromesso non creò un nuovo Tesoro o una nuova struttura di governo. Tale lavoro preparatorio era già stato compiuto. L’Assemblea Costituzionale si era riunita nel 1787 e l’opera dei delegati sotto forma di una nuova costituzione era stata ratificata nel 1789. Ciò pose le fondamenta per una reale unione di trasferimento fiscale dando al governo nazionale poteri fiscali sostanzialmente maggiori rispetto a quelli che erano esistiti sotto il vecchi Articoli della Confederazione.
Per contro il Trattato dell’Unione Europea (noto anche come Trattato di Maastricht) è una cornice che si approssima più da vicino agli abbandonati Articoli della Confederazione degli Stati Uniti. In modo molto simile alle ex colonie nordamericane, sotto il Trattato di Maastricht i poteri fiscali rimangono largamente derivanti dai governi degli stati; per la UE nel suo complesso esistono una tassazione centralizzata minima e minimi poteri di spesa. La Commissione Europea (che gestirà il fondo per la ripresa) ha tuttora bisogno dell’approvazione unanime degli stati membri della UE per esercitare le proprie funzioni in base alle nuove proposte. E la composizione delle sovvenzioni relativamente ai prestiti deve ancora essere decisa. Quattro governi degli stati membri più piccoli del nord – Austria, Olanda, Svezia e Danimarca – hanno tutti indicato una preferenza perché il finanziamento sia distribuito sotto forma di prestiti, piuttosto che di finanziamenti a fondo perduto. Ma aggiungere debiti a paesi già pesantemente carichi di debiti preesistenti, quali Italia e Spagna, riduce in effetti qualsiasi vantaggio tangibile tali paesi stiano per ricevere, poiché il grosso dei loro sforzi di bilancio sarà dedicato al rimborso del debito, anziché alla ricostruzione economica. Questa è stata in effetti un’altra leva di potere degli stati settentrionali della UE su quelli meridionali, oltre che un grosso limite alla crescita.
Il fondo “Prossima Generazione” abiliterebbe la EC a indebitarsi per suo conto il che ha indotto i sostenitori della proposta, in particolare Anatole Kaletsky della società di ricerca sugli investimenti globali Gavekal, ad affermare che crea una nuova classe di eurobond e perciò “potrebbe essere ricordato come il momento in cui l’Europa è divenuta una federazione politica genuina”. Uno sguardo più attento ai dettagli racconta una storia diversa. Come segnala Sony Kapoor, direttore esecutivo dello studio di esperti Re-Define: “La Commissione Europea ha già in circolazione 52 miliardi di euro di titoli”. In altre parole, non è una nuova classe di titoli, sono una quantità maggiore. Kapoor segnala giustamente anche che:
“il fondo di ripresa non… si approvvigiona per un aumento permanente del magro bilancio della UE o dà alla Commissione la capacità di raccogliere fondi propri. Né il debito esistente sarà inglobato in una unione fiscale come fece Hamilton. Né la responsabilità per il nuovo debito che sarà creato sarà condivisa congiuntamente tra tutti i paesi della UE, come proponeva l’iniziativa, ora abbandonata, dei ‘coronabond’”.
In altri termini non c’è alcuna mutualizzazione, nessun nuovo tesoro fiscale, ma piuttosto un aumento temporaneo del bilancio esistente della EC e, anche allora, un aumento non sufficientemente elevato per generare ripresa economica. La proposta prevede di aumentare il bilancio della Commissione Europea al 2 per cento del reddito nazionale lordo della UE, difficilmente sufficiente considerato che Italia, Spagna e Francia subiranno probabilmente tutte quest’anno contrazione del PIL a doppia cifra. E la proposta difficilmente potrebbe essere un esercizio di costruzione nazionale, poiché tutti i paesi si combatteranno tra loro per i pochi avanzi disponibili sul tavolo.
Diversamente dal più recente annuncio della BCE, la proposta della “Prossima Generazione” ha almeno la virtù di essere strutturata in previsione di evitare potenziali contestazioni legali future, precisamente perché non mutualizza debiti nazionali esistenti. E il fatto che abbia il sostegno della Germania non è insignificante. Jorg Kukies, viceministro delle finanze della Germania (e uno degli architetti dell’iniziativa) ha riconosciuto esplicitamente che una vera sovranità europea non potrebbe evolversi “fintanto che l’unione fiscale rimane incompleta”. Ma resta il fatto che questa particolare struttura non fa realmente progredire tale causa (anche se lo stesso Kukies riconosce che il fondo “Prossima Generazione” non mutualizza debiti nazionali). La nuova iniziativa probabilmente sarà legalmente ineccepibile, ma al costo di una mancata efficacia economica.
Per quanto riguardo la BCE, l’aumento proposto dalle banca centrale del suo programma PEPP annunciato in precedenza, ignora il fatto che la Corte Europea di Giustizia (ECJ) deve già affrontare i temi problematici sollevati dalla sentenza del 5 maggio della Corte Costituzionale in Germania. In assenza di un chiarimento da parte della ECJ la capacità della banca centrale di esercitare le sue attività di acquisto di titoli è perciò limitata. Le implicazioni di tale giudizio sono semplicemente ignorate anche se, nelle parole dell’ex capo economista della Deutsche Bank Thomas Mayer:
“La BCE non ha alcun mandato legato o democratico per ciò che sta facendo e sta dando la falsa impressione che non ci siano costi. Ci stiamo dirigendo a una crisi costituzionale nell’Unione Europea e non ci sono mezzi per disinnescarla. L’euro semplicemente non è praticabile e il prossimo paio d’anni stabilirà se tutto andrà a pezzi. I mercati non capiscono che cosa stia succedendo”.
I mercati potrebbero presto risvegliarsi, tuttavia, considerato che alla Bundesbank (che acquista titoli governativi tedeschi per contro della BCE) sarà vietato da agosto in poi di prendere parte a operazioni di acquisto di titoli a meno che la BCE possa superare le obiezioni della Corte Costituzionale tedesca.
Forse la BCE suppone che entro agosto il problema sarà risolto dalla Corte Europea di Giustizia. Tuttavia le questioni sollevate dalla corte tedesca saranno quasi certamente riproposte in contestazioni future, se non altro perché ci sono altre ragioni legittime per contestare le attività della BCE.
La recente sentenza della corte tedesca ha contestato le operazioni di acquisto di titoli sovrani da parte della BCE in base al fatto che esse violano il principio di proporzionalità del trattato (cioè le azioni della BCE non sono state commisurate ai suoi obiettivi statuiti di politica monetaria) piuttosto che in base alla tesi che le azioni della banca centrale hanno violato la sua clausola di “divieto di salvataggio”. All’apparenza, tuttavia, la seconda è una base ancor più solida per contestare le azioni della BCE. E’ difficile considerare le attività di acquisto di titoli della BCE su basi oggettive e suggerire che non violino le clausole di “divieto di salvataggio” del Trattato di Maastricht, perché in assenza degli acquisti della BCE quei paesi sarebbero certamente finiti in bancarotta.
Qui sta il paradosso: in termini economici, come sola emittente della moneta, la BCE è la sola entità che mantiene solventi gli stati membri della moneta unica. Tuttavia, come ha sottolineato Wolfgang Munchau, “l’unione monetaria deve la sua sopravvivenza a una riuscita forzatura delle regole. E’ stato un capolavoro di ingegneria legale nell’ultima crisi a dare alle fiamme una clausola di non salvataggio nei trattati europei e poi a creare un ombrello di salvataggio sulle sue ceneri”. Chiamare queste azioni gestione della liquidità quotidiana o procedure di mantenimento di riserve non nasconde la loro illegalità sottostante.
A un certo punto in futuro una contestazione legale diretta sarà inquadrata in questi termini, che provenga dalla Germania o da qualche altro stato membro. Nel frattempo l’ambiguità legale dello status della BCE limita la sua capacità “di reagire a una crisi con quantità e tempestività appropriate”, come conclude Kapoor. Questo è un grosso problema, considerate la funzione della BCE di unica emittente della moneta e la sua efficacia sin qui nel prevenire l’insolvenza di massa e un’evaporazione dell’euro.
Alla fin fine quella che è necessaria è una proposta che operi in accordo con gli accordi istituzionali esistenti della UE e che sia anche coerente con la recente sentenza della corte tedesca. Distribuzioni pro capite ai vari stati-nazione attraverso la BCE soddisferebbero questa necessità, poiché questa attività è allineata con le clausole esistenti dei trattati e, cosa più importante, è coerente con il principio di proporzionalità.
Perché? Come ho sostenuto in precedenza:
“La posizione fondamentalmente forte [della Germania] rispetto agli altri stati membri non cambierebbe, in larga misura come le distribuzioni pro capite da Washington non alterano fondamentalmente le posizioni economiche della California rispetto, diciamo, all’Arkansas. Le distribuzioni corrisponderebbero in effetti a scambi di debito nazionale per riserve, che a loro volta correggerebbero al ribasso i rapporti di debito dei governi nazionali (perché, per motivi contabili, le riserve non sono conteggiate come debito nazionale). L’obiettivo consisterebbe nell’allentare enormemente le tensioni creditizie e in tal modo promuovere il funzionamento normale dei mercati del credito riguardo alle emissioni di titoli dei governi nazionali. I governi, a loro volta, potrebbero usare questo nuovo soccorso fiscale per perseguire pacchetti fiscali che resuscitino le economie interne (piuttosto che usare il meccanismo per salvataggi bancari furtivi).
La grande necessità della UE
Quella che è richiesta è un po’ di creatività e di arte di governo per assicurare che la politica non sia perpetuamente subordinata a irrazionali costrizioni di austerità o a interminabili contestazioni giudiziarie a causa di improvvisazioni monetarie che mascherano attività illegali. Le distribuzioni pro capite da parte della BCE possono non suonare così rivoluzionarie come un “momento hamiltoniano”, ma quello è l’unico punto: sono coerenti con le clausole preesistenti del Trattato di Maastricht e non ci passano sopra con gli scarponi. Perciò evitano diverbi legali che richiedono tempo e che sarebbero l’equivalente di suonar l’arpa mentre Roma (o Berlino, Madrid, Parigi) brucia. Queste distribuzioni pro capite a guida BCE offrono la sola base possibile, ragionevole e prudente per salvare l’euro, nonché per gettare fondamenta più realistiche per un’unione fiscale di trasferimento vitale.
Quanto prima i principali decisori della politica dell’Europa si renderanno conto di questo, tanto meglio, perché se alla fine i tribunali decideranno di staccare la spina alle attuali attività della BCE non resterà alcuna rete di protezione.
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Marshall Auerback è un analista di mercato e giornalista.
Questo articolo è stato prodotto da Economy for All, un progetto dell’Independent Media Institute.
da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Giuseppe Volpe
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