L’invasione di Panama da parte degli Stati Uniti, avvenuta il 20 dicembre 1989, rischia di rappresentare l’ennesimo crimine internazionale impunito tra quelli perpetrati da Washington. Il Ministero degli Esteri del Paese centroamericano, infatti, sembra aver deciso di non prorogare il mandato della Commissione “20 dicembre 1989”, incaricata di investigare sulle violazioni dei diritti umani da parte dei soldati statunitensi. La Commissione era stata creata dall’ex presidente Juan Carlos Varela nel luglio del 2016, e successivamente il capo di stato ne aveva prorogato i lavori fino al 20 luglio di quest’anno.
La Commissione ha chiesto nel mese di marzo una nuova proroga fino al dicembre 2021, ma fino ad ora non ha ottenuto risposta da parte del Ministero competente. Una risposta negativa rappresenterebbe una grave mancanza per l’attuale governo del presidente Laurentino Cortizo, che manifesterebbe in questo modo tutta la sua sudditanza nei confronti di Washington, pur essendo sulla carta di centro-sinistra.
Se tale notizia dovesse essere confermata, si tratterebbe di un grave errore nel momento stesso momento in cui nuovi elementi stanno emergendo circa quel terribile episodio della storia panamense. Proprio in questi giorni, infatti, la Commissione ha dato il via alla riesumazione di numerosi scheletri ritrovati in una fossa comune della capitale Panama City, appartenenti a quattordici persone scomparse proprio nel corso dell’invasione militare statunitense. Nella giornata di venerdì, inoltre, è stata ritrovata una nuova fossa comune con oltre settanta corpi, anche questi attribuibili alle vittime dell’invasione militare a stelle e strisce.
Ad oggi, l’invasione statunitense a Panama non ha ancora un bilancio ufficiale delle vittime, e le cifre pubblicate dagli Stati Uniti di 205 vittime panamensi sembrano assai riduttivi. Il conteggio statunitense considera infatti solamente i soldati, mentre secondo l’ONU a questi andrebbero aggiunti almeno 500 civili. Altre fonti indipendenti offrono stime che vanno dalle 2.500 alle 4.000 vittime civili. L’operazione militare ordinata dal presidente George H. W. Bush è stata condannata dalla risoluzione 44/240 delle Nazioni Unite come “una flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale” di Panama. Le associazioni dei familiari delle vittime chiedono agli Stati Uniti di riconoscere l’invasione, risarcire il Paese ed indicare l’ubicazione di tutte le fosse comuni.
I fatti storici
Il 20 dicembre 1989, oltre 27.000 militari statunitensi, su ordine del presidente George H. W. Bush, invasero il Paese latinoamericano al fine di deporre il governo del generale Manuel Arturo Noriega, salito al potere nel 1983. L’esercito degli Stati Uniti, va ricordato, controllava già l’area del Canale di Panama.
Noriega, inizialmente sostenuto da Washington, presto decise di seguire una politica di affrancamento dall’imperialismo statunitense. Il casus belli giunse quando il presidente panamense annunciò la US School of the Americas, un’accademia militare che aveva operato a Panama dal 1946, descritta come la “scuola degli assassini”, avrebbe dovuto abbandonare il Paese. Noriega sapeva bene di cosa parlava, in quanto egli stesso si era formato presso quella accademia.
Il presidente statunitense George H. W. Bush giustificò l’invasione in base a quattro motivi: la protezione della vita dei cittadini statunitensi residenti a Panama; il ripristino del sistema democratico; la volontà di garantire il corretto funzionamento del Canale; catturare il generale Noriega, ex alleato ora accusato delle peggiori nefandezze, come di essere al centro del nel continente narcotraffico, per consegnarlo alla giustizia statunitense.
In realtà, gli obbiettivi della Casa Bianca andavano ben oltre i disaccordi con Noriega. Bush voleva soprattutto ottenere l’abrogazione dei trattati sul Canale di Panama, che gli Stati Uniti avrebbero dovuto riconsegnare al governo panamense entro il 31 dicembre 1999. In questo modo, nei piani del presidente e della sua amministrazione, gli Stati Uniti si sarebbero garantiti il controllo imperituro dello strategico Canale che collega l’Oceano Pacifico all’Atlantico.
I militari statunitensi attaccarono le caserme delle Fuerzas de Defensa de Panamá, ma non lesinarono atti di violenza nei confronti della popolazione civile che viveva nelle aree circostanti le strutture militari. Come detto in precedenza, non vi sono ancora numeri comprovati circa il numero di morti e feriti provocato dall’invasione militare, ma quello che è certo è che le cifre sono ben superiori rispetto a quelle dichiarate dagli Stati Uniti.
Oltre alle perdite umane, questa invasione ha causato la distruzione di gran parte delle infrastrutture del Paese, lasciando migliaia di senzatetto (18.000 secondo le stime), costretti ad abbandonare le proprie case, rifugiandosi in altri territori. Le operazioni militari non hanno coinvolto solamente la capitale, ma anche le aree di El Chorrillo, Colón e Río Hato. Queste aree, secondo la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (IACHR), “sono state bombardate e bruciate indiscriminatamente”.
L’elevato numero di case ed edifici colpiti dall’invasione mostra che le truppe americane non fecero il minimo sforzo per limitarsi a obiettivi militari ed evitare danni alle vite e alle proprietà della popolazione civile panamense. Per queste ragioni, è fondamentale la prosecuzione dei lavori della Commissione “20D89”, al fine di fare finalmente luce sui crimini perpetrati dagli Stati Uniti a Panama e di ottenere giustizia per le vittime.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog