Gli Esami di Stato 2020, quelli svolti con la mascherina saranno ricordati da tutti, anche da coloro che non li hanno sostenuti. Ora per questi ragazzi e non solo sarà tutto diverso, sarà tutto più difficile
Tutti ricordano gli Esami di Stato. L’ansia provata in attesa del fatidico giorno. Il ripasso veloce prima di entrare in aula. Le titubanze dei primi momenti del colloquio. La preoccupazione di dover rispondere ad un quesito difficile e il desiderio di esporre quanto studiato. Poi la visione degli scritti, l’ultima domanda ed una risposta breve con la consapevolezza di non aver detto tutto quello che nei mesi precedenti si era imparato con ore ed ore di studio. Infine, la stretta di mano dell’ultimo commissario che con un sorriso anticipava il buon esito dell’Esame e, liberatorio, l’abbraccio e gli auguri dei compagni, degli amici e dei famigliari.
No. Quest’anno non è così. Stavolta c’è la mascherina e il distanziamento ad accompagnare la solitudine del candidato. Di fronte la Commissione composta quasi esclusivamente dai docenti della propria classe. Niente scritti, solo un colloquio orale. L’ambiente predisposto per l’Esame sembra un luogo surreale, tanta è la differenza con il passato. Eppure, sono gli stessi corridoi e le stesse aule frequentate per quasi cinque anni. La stanza è spoglia, i banchi distanziati, i professori seduti ordinatamente, tutti con la mascherina.
Non una stretta di mano, non un sorriso di incoraggiamento. Soli, con il viso nascosto dalla protezione sanitaria. Conciati così si potrebbero digrignare i denti, fare una boccaccia, ridere, mandare un bacino, nessuno vedrebbe nulla. Soli, con i propri timori e le proprie incertezze. Con un tono della voce inverosimile, quasi irriconoscibile. Ascoltare le parole dei commissari senza poter guardare il movimento delle labbra è come udire un suono in lontananza o al buio. Quello che pensavamo di quel docente, ora, con questa strana tonalità di suoni, prende un altro senso. E’ un altro o un’altra, chissà se è proprio il mio prof o la mia prof. E chissà se i miei insegnanti riconosceranno, dietro il suono ovattato della voce, il loro alunno: è quello timido o quello sbruffone, chissà se è sempre lo stesso, se si confondono. Inizia il colloquio, finalmente si può abbassare la mascherina, la voce torna normale, la respirazione è comunque affannata e la tensione non va via, rimane a rendere infinito il tempo di una conversazione di pochi minuti.
Ma proprio quando si vorrebbe continuare a parlare, l’Esame finisce. È giunto il momento del congedo ed occorre rimettere la protesi che rende difficile la respirazione ed impedisce la comunicazione facciale. Non c’è la stretta di mano consueta, ma un saluto fatto con gli occhi, con il tono della voce, con un gesto del braccio o della mano. Il sorriso che esprime la soddisfazione o il sollievo c’è, ma è celato dalla mascherina.
Non importa, con o senza protesi il giovane studente è già un’altra persona, un po’ più matura, un po’ più sola. Non è più il ragazzo o la ragazza che pochi mesi prima stava seduta o seduto distrattamente sul suo banco, che ormai sarà per sempre di un altro o di un’altra. Eppure, è stato un Esame unico, che tutti ricorderanno, anche quelli che non lo hanno sostenuto. Ora comincia una vita nuova, quella degli adulti e con o senza mascherina sarà tutto diverso, sarà tutto più difficile.