Il 24 giugno si sono tenute in Mongolia le elezioni legislative per il rinnovamento della composizione del Grande Hural di Stato (Улсын Их Хурал, Ulsyn Ih Hural), il parlamento unicamerale del Paese asiatico, nel quale siedono 76 deputati.
Le elezioni di quest’anno sono state anche le prime a tenersi con il nuovo sistema elettorale, determinato da una legge approvata lo scorso 22 dicembre e fortemente sostenuta dal presidente Khaltmaa Battulga. La nuova legge elettorale è stata criticata per essere considerata come eccessivamente favorevole ai partiti più grandi, ed inoltre ha limitato il diritto di voto per i cittadini all’estero e per coloro che sono stati condannati per reati di corruzione. Infine, la distribuzione dei seggi è stata criticata dai cittadini della capitale, Ulaanbaatar, dove risiede quasi la metà degli elettori del Paese, mentre alla circoscrizione sono stati assegnati solamente 24 seggi su 76.
Alcune criticità sono state registrate anche nel corso della campagna elettorale. Cinque candidati sono stati arrestati durante la campagna elettorale, anche se fra coloro che sono stati arrestati figuravano anche due esponenti della maggioranza. Secondo l’opposizione, tuttavia, gli arresti hanno riguardato membri della maggioranza che si erano precedentemente trovati in contrasto con l’attuale primo ministro, Ukhnaagiin Khürelsükh, o con il presidente Battulga. Ad ogni modo, si è trattato del primo episodio di questo tipo nella storia del Paese.
Come previsto, ad imporsi è stato nuovamente il Partito Popolare Mongolo (Монгол Ардын Нам, MAH; Mongol Ardīn Nam, MAN), il più antico partito del Paese. Fondato nel 1920 con il nome di Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo (Монгол Ардын Хувьсгалт Нам, Mongol Ardīn Huwĭsgalt Nam), questa formazione marxista-leninista ha governato il Paese dalla rivoluzione del 1921 fino al 1990, quando il sistema a partito unico ha lasciato spazio al multipartitismo.
Il Partito Popolare, riconvertitosi alla socialdemocrazia, è rimasto comunque al potere fino al 1996, quando ha subito la sua prima sconfitta elettorale, per mano del Partito Democratico (Ардчилсан Нам, Ardchilsan Nam), formazione di ispirazione liberale. Da allora, si è instaurato di fatto un sistema di bipartitismo tra popolari e democratici, con il Partito Popolare che ha assunto la denominazione attuale nel 2010.
Tornando alle recenti elezioni, che hanno fatto registrare un’affluenza alle urne del 73.65%, il Partito Popolare ha confermato il primato ottenuto quattro anni fa, ottenendo il 44.93% dei consensi su scala nazionale, e ben 62 seggi. Un risultato di grande rilievo, anche se il partito di governo ha perso tre scranni rispetto alla precedente legislatura. Con questi numeri, il primo ministro Ukhnaagiin Khürelsükh, in carica dall’ottobre del 2017, dopo la fine del governo di Jargaltulgyn Erdenebat, si è assicurato la riconferma prima ancora del voto parlamentare. Khürelsükh è stato inoltre rieletto in parlamento, ottenendo il maggior numero di preferenze nel suo collegio elettorale, dove ha sfiorato il 75% dei consensi.
Il Partito Democratico, guidato da Sodnomzunduin Erdene, ha conquistato il 24.49% dell’elettorato, con un incremento di due seggi rispetto ai nove occupati in seguito alle elezioni del 2016. Completano l’elenco dei deputati due eletti tra le liste minori e l’ex primo ministro Norovyn Altankhuyag, alla guida del governo del Partito Democratico tra il 2012 ed il 2014, è stato eletto come indipendente, unico a raggiungere questo risultato tra i candidati che si sono presentati senza affiliazioni partitiche.
Il nuovo parlamento registrerà anche la più ampia presenza femminile nella storia del Paese, visto che sono state elette tredici donne, mentre in precedenza non erano mai state più di undici.
La campagna elettorale e le operazioni di voto si sono svolte in base alle restrizioni sul distanziamento sociale ed alle varie misure prese dal governo per proteggere la cittadinanza dalla diffusione di COVID-19. Alcune misure, come il blocco dei voli internazionali, ha impedito la presenza di osservatori internazionali.
Ad oggi, la Mongolia ha ufficialmente registrato solamente 216 casi positivi al nuovo coronavirus, senza vittime nel Paese. La crisi sanitaria è tuttavia sopraggiunta proprio quando il governo, in accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), stava applicando un programma economico per stabilizzare l’economia, ridurre il disavanzo e il debito fiscale, ricostruire le riserve valutarie promuovere una crescita sostenibile e inclusiva. Dal 2016, l’economia mongola ha registrato una forte ripresa della crescita del PIL reale, trainata principalmente da volumi più elevati e prezzi vantaggiosi di carbone e rame, un afflusso elevato di investimenti diretti esteri (IDE) verso la miniera di rame e oro di Oyu Tolgoi, e una ripresa della fiducia interna. Il rischio per il Paese è che questo circolo virtuoso venga ad interrompersi a causa della pandemia.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog