riceviamo e pubblichiamo
E’ dal 1947 che si vagheggia di due entità indipendenti, ma a uno stato di Palestina credono sempre meno i Palestinesi, troppo scottati, e lo avversano Coloni e destra estrema d’Israele. L’artificio diplomatico non regge più, torna l’idea mai dimenticata: 1 stato che consenta ai 2 popoli di convivere alla pari e pacifichi la Palestina storica.
La realtà. A fine 2016 la Risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, con il consenso degli Stati Uniti, chiedeva di “salvare la soluzione a due stati” con lo stop a nuovi insediamenti israeliani nei Territori Occupati; Israele ha continuato a espandere le Colonie. A febbraio 2017 Trump in conferenza stampa con Netanyahu “Sto guardando due stati e uno stato, e mi piace quello che piace ad entrambe le parti. (risate dei presenti.).
La risposta di Saab Erekat, storico negoziatore palestinese, “Il presidente Trump ha consegnato un messaggio al popolo palestinese: la soluzione dei due stati è finita. Ora è il momento di trasformare la lotta per uno stato con uguali diritti per tutti coloro che vivono nella Palestina storica, dal fiume al mare”.
Tuttavia, l’Accordo del secolo, del 2019, stilato dal genero di Trump Jared Kushner è una lista dei desideri della destra israeliana e mira a uno stato che sancisca il dominio israeliano sui soggetti palestinesi. (nota*).
Per ragioni varie e soprattutto personali, Netanyahu decide di procedere dall’1 luglio all’applicazione unilaterale del Piano di Trump: annettere parti della Cisgiordania.
Cosa ne pensano gli israeliani? Fino a qualche settimana fa l’Annessione era approvata dal 48% degli intervistati, ora un nuovo sondaggio vede solo il 32,2% consenziente, con gli oppositori saliti al 41,7%; solo il 3,5% degli intervistati mette l’Annessione fra le priorità per il paese. La questione spacca i sostenitori del partito Likud, così come i movimenti che fanno capo ai coloni.
Cosa ne pensano i Palestinesi? In Cisgiordania vivono sotto un sistema che avrebbe dovuto durare solo cinque anni dagli Accordi di Oslo del ’93. Sono sfiduciati circa la soluzione dei due stati, stanchi di subire i check-point, irritati di non avere una reale amministrazione statale, poiché i fondi devono arrivare dall’estero non essendoci il PIL nazionale, ma solo imposte prelevate dal loro lavoro, spesso in Israele.
Una serie di interviste con microfono nascosto condotte da un giornalista israeliano mostra che molti vorrebbero che con l’Annessione Israele desse anche un documento di identità, nell’illusione di poter godere del medesimo welfare degli israeliani. Sebbene sia una indagine di parte, non stupisce che molti pensino: possiamo parlare di uno Stato ma quello che vogliamo sono soldi per vivere e non subire più il check point. Fa breccia anche la politica di avvicinamento che viene condotta da organizzazioni israeliane: mia figlia è stata operata in Israele e ha pagato tutto il Peres Institute for Peace. Non c’è tradimento della causa se vien detto non sono gli Israeliani il nemico, il loro governo è il nemico.
Cosa accadrà l’1 luglio? A meno di 48 ore le autorità israeliane non hanno idee su come l’Annessione deve avvenire, non c’è semaforo verde da Trump, non ci sono convergenze nella coalizione di governo, l’Autorità Palestinese non ha visto riempirsi le strade di manifestanti arrabbiati e tutti si muovono in fazioni fra loro divise nonostante i proclami di Abbas e le promesse di Netanyahu .
Mentre Netanyhau aveva escluso di dare la cittadinanza ai Palestinesi delle aree annesse, Gantz il 26 giugno alle 16.40, scrive in Facebook “Non applicheremo la legge israeliana nei luoghi in cui ci sono molti palestinesi o nei casi in cui danneggeremmo la loro mobilità (ndr, !!!); se ci saranno cittadini palestinesi nelle regioni in cui viene applicata la legge israeliana, essi avranno uguali diritti”
Proprio oggi 29 giugno, un altro round. Gantz dice all’inviato di Trump, che l’1 luglio “non è una data sacra”, prima c’è da pensare al COVID19. Risponde Netanyahu: il virus non c’entra, la questione non riguarda Gantz e noi intratteniamo contatti segreti con l’amministrazione americana.
Tuttavia, procedere come previsto sembra ormai impossibile; Netanyahu potrebbe applicare l’Annessione a una parte più piccola di territorio per affermare il suo principio ma diminuire la portata delle ritorsioni internazionali e delle divisioni nella società.
Per quanto onirico possa apparire a chi non si immedesima nella condizione degli abitanti, gli uni e gli altri, dei Territori Occupati, proprio ora urge affrontare una svolta. In questo blog la soluzione Stato Unico, sua origine e supporter, è stata trattata già nel 2011 e nel 2014. (nota **)
Gershon Baskin, editorialista del Jerusalem Post, ebreo di nazionalità americana, attivista per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, sosteneva la soluzione a due stati. Il 3 giugno il JP pubblica un suo articolo, tutto da leggere, dal titolo: Con la soluzione a due stati morta, dobbiamo costruire un nuovo futuro. Abbiamo perso il treno, scrive, hanno vinto i fautori degli Insediamenti che vorrebbero la caduta del regno di Giordania così che tutto ciò che è a ovest del Giordano diventi Israele e qualsiasi palestinese voglia restarvi smetta di voler esprimere la sua identità o faccia i bagagli e guadi il fiume.
Al più presto, scrive Baskin, occorre chiedersi: quale tipo di Stato? Una futura realtà a Uno Stato, o una Federazione Israele-Palestina o Confederazione di mini-stati in Israele o Palestina, o qualche altro modello. (nota***)
Infine arriveremo tutti a renderci conto che l’unico futuro sostenibile per noi in questa terra è riconoscere che tutte le persone di questa terra appartengono alla terra. La terra non ci appartiene – da nessuna parte- apparteniamo tutti alla terra. L’unico modo sostenibile per vivere qui sarà riconoscere che dobbiamo essere tutti uguali – non può esistere un modo sostenibile con una parte che gode di uno status preferenziale e privilegiato mentre le altre sono cittadini di seconda o terza classe o semplici residenti senza cittadinanza. Alla fine questo avverrà.
L’uguaglianza per tutti non significa l’idea ridicola di fondere identità. Inoltre, non può nemmeno significare la comprovata ingiusta e sbagliata idea di “separato ma uguale”. Dobbiamo essere in grado di preservare ed esprimere le nostre identità nella Terra di Israele e nella Terra di Palestina, che è la stessa Terra. Pari significa pari diritti per tutti – collettivi e individuali. Uguale significa libertà. Libertà di movimento, libertà di vivere ovunque si voglia vivere. Pari significa diritto al ritorno per ebrei e palestinesi su base paritaria.
nota *
Tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo vivono circa 13 milioni di persone, tutte sotto il controllo dello stato israeliano. Circa la metà di loro sono arabi palestinesi, di questi circa 3 milioni vivono sotto un’occupazione militare, senza diritto di voto per il governo che di fatto li governa; 2 due milioni vivono in Israele come cittadini discriminati in base alla loro identità essendo Israele uno “stato ebraico”. Altri 2 milioni vivono nella Striscia di Gaza assediata: una prigione a cielo aperto separata dal mondo dal blocco israeliano. Ma nel frattempo, tra 500.000 e 700.000 coloni ebrei israeliani vivono tra milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata, “protetti” dall’esercito.
nota ** Ampia trattazione: The Cairo review of global affairs: The case for One-State Solution “Se una soluzione a due stati al conflitto israelo-palestinese è irraggiungibile, è tempo di prendere in considerazione delle alternative. L’opzione a uno stato sembra essere all’avanguardia, in competizione solo con la continuazione dello status quo insostenibile. L’idea è già sul tavolo negli ambienti arabi e israeliani, aperta al dibattito.”
nota *** Una misura di nessun costo e massimo rendimento: la parità delle due lingue che provoca promozione culturale attraverso la letteratura e facilitazione dei contatti sociali paritari.