Ancora una volta, è alla Costituzione che dobbiamo guardare per comprendere quanto il progetto di Paese che i nostri Padri avevano in testa sia infinitamente distante da quello che oggi viviamo quotidianamente.
La Costituzione traccia un profilo preciso dello Stato e del ruolo che per esso veniva disegnato: ampio, presente, interventista, sociale.
Uno degli ambiti per i quali tale ruolo deve essere esercitato è quello della tutela degli invalidi totali al lavoro. È tracciato nell’art. 38 il percorso che la Repubblica è tenuta a seguire: ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Sono in molti a far notare da sempre il confine tangibile che esiste tra la pronuncia di un principio e l’azione volta alla sua affermazione. È quanto avviene ad esempio circa quello di eguaglianza, sancito all’art. 3 della Costituzione, laddove si afferma il principio al comma 1 e al contempo si prescrive il dovere dello Stato alla rimozione di tutti gli ostacoli alla sua affermazione al comma 2. In questo modo esso diviene sostanziale, piuttosto che limitarsi alla sua dimensione formale.
Detto in poche parole, non è sufficiente affermare un principio perché esso sia materiale, come diceva Mortati, ed è assolutamente doveroso l’intervento dello Stato perché si passi dalla potenza all’atto. In altre parole, specularmente, è incostituzionale l’atteggiamento della politica che resta a guardare con le mani in mano e si astiene dal compiere quello che è il dovere che la Costituzione le affida, che il contratto sociale dunque le impone.
Il 24 giugno scorso, la Corte Costituzionale ha emanato un comunicato stampa, che anticipa il deposito di una sentenza, col quale afferma l’incostituzionalità del sussidio di 285.66 euro previsto come mantenimento per le persone totalmente inabili al lavoro per effetto di gravi disabilità.
Oltre all’imbarazzo che dovrebbe animare ogni italiano nell’apprendere la consistenza del sostentamento che il nostro Paese prevede per i concittadini inabili al lavoro, appare quasi sconcertante constatare quale sia stata la reazione della politica e dell’informazione alla vicenda: nessuna.
Il silenzio imbarazzato e imbarazzante della politica, generale se non si considerano le recenti dichiarazioni di Gianluigi Paragone sulla vicenda, è la palese ammissione della colpa, vigliaccamente non espressa, che questa classe dirigente involontariamente ammette dinanzi a suoi più alti doveri.
Questa circostanza dimostra ancora una volta quanto l’Italia abbia in gran parte perso se stessa, quanto anni e anni di liberismo europeista bipartisan abbiano forzato il Paese a deragliare dai binari tracciati con tanta lucidità e luminosità dai costituenti: anche su questo molto è da restaurare, costruire ed estendere.
Dobbiamo operare una scelta epocale, è fondamentale riportare al centro la dignità della persona, esaltata da quella solidarietà sociale, che è l’anima del nostro Popolo, che è la storia dell’Italia.
Di: Savino Balzano