Un articolo pubblicato su Politico analizza come, per quanto l’istituzione di un Recovery Fund possa essere salutata positivamente all’interno della UE, esso sarà quasi certamente inutile per tutti gli scopi che dovrebbe prefiggersi. Nel momento in cui l’Italia (o la Spagna) arriverà ad ottenere un beneficio, saranno passati anni, la situazione economica si sarà ulteriormente deteriorata, la volontà politica di mettere in atto riforme significative sarà definitivamente accantonata, l’euroscetticismo sarà maggioritario, con la possibilità di un governo a guida leghista a Roma, e anche da parte dell’Europa del nord il clima sarà tornato quello di sempre, con una rinnovata invocazione al rigore fiscale anziché allo stimolo.

di Mujtaba Rahman, 7 luglio 2020
I leader europei che si raduneranno a Bruxelles la prossima settimana hanno riposto le loro speranze in un recovery fund da 750 miliardi di euro per soccorrere il continente europeo colpito dalla crisi indotta dal coronavirus.

Non sarà sufficiente.
Per quanto riguarda la missione per la quale il fondo è stato originariamente pensato – aiutare il governo italiano a reagire allo shock economico del coronavirus e modificare la traiettoria della politica italiana al fine di assicurare la sua futura appartenenza all’eurozona nel lungo termine – il recovery fund non ha molte speranze di farcela.

A dire la verità il recovery fund rappresenta in effetti un grande passo avanti nell’evoluzione della UE. Esso permetterà di implementare un livello significativamente maggiore di debito condiviso a livello UE e una sostanziale redistribuzione, tramite investimenti a fondo perduto, verso i paesi dell’Europa del sud che sono stati colpiti in modo particolarmente pesante dal Covid-19. L’Italia, per esempio, potrebbe ricevere una somma pari all’8,5 percento del suo PIL in termini di finanziamenti e prestiti a lungo termine. Si tratta di una somma che non ha precedenti nei 63 anni di storia della UE.

E sembra che questo verrà effettivamente implementato.

Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo, si è impegnato in un’intensa serie di colloqui bilateriali con gli altri leader UE. Gli alti funzionari di Bruxelles coinvolti in questo processo hanno definito l’atmosfera di questi colloqui “migliore delle attese”.

Questo è in parte dovuto al fatto che gli sforzi di Charles Michel sono stati sostenuti da un’attiva diplomazia da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron. Gli alti funzionari francesi hanno detto che ci sono “indicazioni positive” anche da parte di The Hague, il maggiore oppositore del piano.

Ciononostante, quelli che sperano che il piano di salvataggio farà la differenza resteranno quasi certamente delusi.

Non sarà possibile convincere l’Europa del nord a concordare un simile livello di indebitamente condiviso (e di finanziamenti a fondo perduto) senza un robusto processo di riforme e di revisione da parte degli altri paesi – un processo che Bruxelles sta iniziando solo adesso a definire.

Questo richiederà tempo per essere messo in atto. Secondo i piani attuali l’Italia non vedrà i soldi prima della  fine del 2021, e somme di denaro significative non arriveranno se non molto più tardi, verso il 2023. Sarà già troppo tardi perché l’Italia possa evitare una profonda recessione e un’esplosione dei livelli di debito pubblico.

Nel frattempo la pandemia e la politica continueranno a fare il loro corso. Oltre a dover fare i conti con il rischio di una seconda ondata, il primo ministro italiano Giuseppe Conte dovrà anche vedersela con dei difficili risultati nelle elezioni regionali, con un referendum costituzionale appena dopo l’estate, nonché con il rischio delle accuse mosse al suo governo per la gestione del Covid-19.

Se Conte sarà costretto ad attingere al fondo salvastati (MES) per necessità di finanziamento a breve termine, le proteste che ne seguirebbero non aiuteranno certo alla stabilità politica interna. Il Movimento Cinque Stelle, il partito di maggioranza nel governo, è totalmente diviso sulla questione, e potrebbe trovarsi di fronte a importanti defezioni nel momento in cui, a breve, il Parlamento venisse costretto a esprimere un voto sul MES.

Nel medio termine, con una ripresa che andrebbe più veloce nell’Europa del nord, la narrazione si sposterebbe dalla necessità dello stimolo a quella dell’aggiustamento fiscale, e da Bruxelles ripartirebbero le pressioni per mettere in atto le regole fiscali.

Un senso di frustrazione a quel punto si noterebbe anche nell’Europa del nord, dato che a Roma c’è ben poca volontà politica di mettere in atto riforme significative.

È vero che il governo italiano si è impegnato giornate intere a discutere con gli operatori economici per costruire un consenso attorno a nuove riforme. Ma ne è emerso ben poco di concreto. Al momento la proposta più promettente è quella di ridurre le tasse sul lavoro, come quelle sui contributi di previdenza sociale.

Nel frattempo, nonostante la Lega, partito di destra di Matteo Salvini, abbia perso parte dei consensi secondo i sondaggi, rimane comunque il primo partito italiano. Inoltre, la diminuzione dei consensi della Lega è andata principalmente a vantaggio di Fratelli d’Italia, un altro partito di destra, sebbene minore.

Questi due partiti, assieme alla più moderata Forza Italia, raccolgono una solida maggioranza dei consensi, sufficiente a formare un governo se le elezioni si tenessero oggi. Nel lungo termine un governo euroscettico guidato dalla Lega rimane una possibilità molto tangibile.

Questo è un rischio di cruciale rilevanza per i mercati, un rischio che il recovery fund avrebbe dovuto ridurre, ma che nella sua forma attuale non ridurrà affatto.

Le prospettive per il governo spagnolo non sono molto migliori. La coalizione di Madrid forma un governo di minoranza che richiede il sostegno di molti partiti minori per far passare le leggi. Costruire un consenso per delle riforme sembra un compito irrealizzabile. Di fatto è più probabile che si torni indietro, dato che Podemos, il maggiore alleato dei Socialisti, è intenzionato ad abrogare le riforme del mercato del lavoro introdotte nel 2012.

In questo contesto sarebbe sbagliato contare sul sostegno illimitato da parte della Banca Centrale Europea, per quanto un aumento dell’inflazione resti un rischio remoto per il momento.

Quindi sì, il recovery fund rappresenta un passo importante per la UE e l’eurozona, sostenendola con una più robusta architettura fiscale. Ma farà ben poco per evitare una ripresa diseguale, e non servirà a migliorare le prospettive a breve, medio o lungo termine della politica italiana, obiettivo che sarebbe dovuto essere quello principale.

Per questo motivo c’è bisogno che arrivino soldi veri nella seconda metà di quest’anno. Questa è l’ambizione che Michel, Merkel, Macron e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dovrebbero darsi per il summit europeo che si terrà tra due settimane.

http://vocidallestero.blogspot.com/2020/07/politico-perche-il-recovery-fund-non.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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