«Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.» (Immanuel Kant, “Critica della ragion pratica“, 1788). Ragione e comportamento. Razionalità e azione. Mente, coscienza e traduzione della medesima nell’etica giornaliera, da vivere insieme ai propri simili e dissimili. Un esercizio complicato, dalla notte dei tempi…
Bastasse la “legge morale” dentro ciascuno di noi, allora probabilmente anche il cielo stellato sopra noi ci apparirebbe più comprensibile, meno lontano, meno carico del peso delle stelle che, tuttavia, nascondono l’invisibile agli occhi: il caos tremendo che regna nell’universo. Bastasse la legge morale, dormiremmo tutte e tutti sonni più tranquilli e non penseremmo al vuoto sottostante quando passiamo sul viadotto di una autostrada della nostra bella Italia.
Bastasse la legge morale, saremmo tutti innocentemente convinti, come dei pupi beati nei loro lettini, che là fuori c’è una Repubblica che vigila sul nostro benessere, che ogni governo lavora soltanto nell’interesse sociale e che il fine di tutto è la crescita economica che significa (ovvio!) crescita di ciascuno e di tutti. Allo stesso modo, con le medesime opportunità. Il modello americano di sviluppo: il liberalismo piegato al liberismo più feroce.
Ma la legge morale non basta, non è sufficiente a garantire la sicurezza dei viaggiatori in questo caso, dei cittadini in senso lato. Non è nemmeno paragonabile, il tutto, alla via delle buone intenzioni che conduce all’inferno. Perché l’inferno pare sempre esserci per chi le buone intenzioni le ha davvero provate a mettere in pratica e non per chi le ha soltanto promesse, pur firmando fior fior di contratti.
La via dell’inferno, qui ed ora, somiglia a quella di un disordine politico che avrebbe il sapore del parossismo se non conoscesse a monte una tragedia avvenuta due anni fa: quella del ponte Morandi di Genova. Una storia che i magistrati stanno ricostruendo pezzo per pezzo e della quale sappiamo almeno l’origine: quel pezzo di autostrada sospesa sulla Superba non è piombato al suolo per una maledizione divina.
Mancate manutenzioni, gravissime sottovalutazioni di segni che lasciavano presagire che qualcosa potesse accadere, intenzionalità o meno che appureranno i giudici, sono indubbiamente il punto di partenza di un cedimento strutturale figlio delle privatizzazioni delle infrastrutture del Paese, della necessità modernizzatrice del mercato degli appalti, per – si diceva un tempo e si dice tutt’ora… – pesare meno sui costi della collettività.
Ma di mettere in discussione le concessioni ai privati delle reti autostradali italiane, così come quelle ferroviarie dove viaggiano ormai decine di convogli che non portano più la scritta “FS“, non solo non se ne parla proprio ma, anzi, si rilancia. Partendo, paradossalmente, da chi è l’immagine riconoscibilissima, il nome cui si associa il crollo del Morandi. Le maglie contrattuali e quelle burocratiche possono imbrigliare anche la migliore delle volontà politiche, ma nell’ipotesi – al momento concreta – di riaffidare al precedente concessionario la gestione del nuovo ponte progettato da Renzo Piano parrebbe quasi esserci una sorta di perversione masochistica, di perseveranza nell’errore.
Invece c’è prima di tutto la politica reale che è uno schiaffo ai parenti delle vittime, uno sfregio alle vittime stesse, un motivo di indignazione per tutti i cittadini che hanno seguito con partecipazione il dolore di coloro che hanno perso dei famigliari quel tragico giorno di agosto di due anni fa.
Agli interessi privati che condizionano lo stato di manutenzione di opere che hanno un valore assolutamente pubblico (e questo dovrebbe già mostrare in tutta la sua evidenza la contraddizione per eccellenza…) si aggiunge un vero e proprio pastrocchio pubblico, laddove il governo si rimpalla le dichiarazioni tra lettere formali e dovute all’attuale gestore della rete autostradale e retromarce del Presidente del Consiglio che esprime indignazione e una risoluzione in merito in tempi brevissimi.
Ci si corica alla sera pensando che tutto sia in qualche modo risolto, che entro una settimana il nuovo ponte avrà anche un nuovo gestore, ed invece ci si alza al mattino in una condizione di stallo, con un ultimatum. O si accettano le condizioni dell’esecutivo sul rinnovo della concessione o questa salta e va ad altra azienda. Privata.
Di un recupero gestionale pubblico, ripetiamolo, nemmeno si adombra l’ipotesi. Dal 2008 ad 2018 quel tratto di strada ha reso ottimamente in termini di pedaggi ma ha ricevuto in compenso trascuratezza, incuria. La situazione delle strade liguri è oggi congestionata a causa delle tante opere riparatorie che devono essere svolte, pena altri possibili tragedie come quelle del ponte Morandi. Un numero ingente di gallerie va restaurato, altrettanti piloni di viadotti sospesi a quaranta metri tra le colline delle riviere vanno messi in sicurezza. I lavori da eseguire sono tanti, sono divenuti troppi per uno Stato che avrebbe dovuto vigilare sulle mantenimento in buono stato delle “sue” (tra virgolette) infrastrutture.
C’è una condizione propriamente “strutturale“, fatta materialmente di cemento armato, di ingegneria, di calcoli, di rilevamenti sullo spostamento del suolo; c’è poi anche una condizione invece che è “politica“, che riguarda la visione complessiva di uno sviluppo sociale che passa pure attraverso un ripristino dell’egemonia del pubblico rispetto al privato. Dovrebbe questa divenire una “legge morale” ed essere la declinazione pratica di princìpi costituzionali che rammentino come la Repubblica debba essere la prima ad occuparsi di ogni opera atta a migliorare le condizioni di vita dei cittadini: sia che si tratti dei servizi sociali essenziali sia che si tratti delle proprie vie di comunicazione.
Sono due i campanelli d’allarme che segnalano le inadempienze pubbliche nei confronti del proprio popolo: quando tocca alla magistratura sostituirsi al ruolo dell’esecutivo e, mediante sentenze, mettere ordine nel caos delle leggi che si sovrappongono, che si contraddicono e che – sovente – vanno proprio contro il pubblico interesse e, in secundis, quando la satira trova una facilità enorme nel prendersi giustamente gioco del potere che è inadempiente, lacunoso, lontano dal dovere perché lontano dalle proprie responsabilità, delegate invece al privato.
Quello del rinnovo delle concessioni autostradali è, tuttavia, soltanto uno dei punti di una politica di rilancio della cantieristica stradale e delle opere infrastrutturali in generale che non lascia presagire nulla di buono per il futuro: mettere il TAV al primo posto per la ripartenza delle opere necessarie all’Italia per un rilancio dell’economia, significa assumere come punto di vista quello sostenuto dalla grande impresa, dagli interessi internazionali sui corridoi di sviluppo del transito delle merci senza tenere conto delle esigenze dei territori, della salute pubblica e del patrimonio ecologico nazionale.
Le parole del sindaco di Lione sono già state dimenticate: valgono di più quelle macroniste, quelle che vengono da Parigi dove i governi si dimettono, vengono rinominati e dove, tutto sommato, ben poco cambia. Si guarda all’Europa come mercato unico, molto poco ad un insieme di popoli e di interessi sociali.
Al centro della tenzone c’è e rimane l’interesse economico che tutto governa, tutto regge e tutto condiziona. Ma questo non è un alibi per i governi che possono intervenire, anche decisamente, per modificare le decisioni, per cambiare le scelte. Non possono abolire il sistema capitalista. Del resto, lo sappiamo, il socialismo non si può fare per decreto. Ma qualche decreto per rendere più sociale e pubblica una condizione oggi del tutto affidata ai privati che fanno affari ingenti e lasciano crollare i ponti, ecco quello si può fare. Non farlo vuol dire, pur tra tanti distinguo, promesse e impegni massmediatici, non essere poi così difforme da tutto il resto…
MARCO SFERINI
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