La violenza che colpisce chiunque si sottragga alla norma eterosessuale è sistematica e quotidiana. Benché l’inasprimento delle pene non risolva il problema è in ogni caso un passaggio importante. Un contributo sulla legge contro l’omolesbobitransfobia e il recente dibattito che si è sviluppato in Italia

«La violenza è “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono relegate in una posizione subordinata”, perciò la sua natura è “strutturale” e, “in quanto basata sul genere”, si rivolge, oltre che contro le donne, anche contro le soggettività LGBT*QIPA+, colpendole cioè proprio a partire dalla loro identità e/o scelta di genere e sessuale. Pertanto, oltre che di violenza maschile contro le donne, è necessario parlare di violenza di genere».

Così abbiamo scritto nel Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. Prendiamo parola nel dibattito in corso sulla proposta di legge contro l’omolesbobitransfobia perché ci riguarda.

Sappiamo bene quanto il sistema giuridico italiano continui a riprodurre modelli sociali basati su sessismo ed eterosessualità obbligatoria.

Consapevoli che l’inasprimento delle pene non risolve il problema della pervasività della violenza, tuttavia accogliamo il tentativo di tutelare le libere soggettività che non si conformano alla violenza della norma eterosessuale socialmente imposta e alla divisione binaria uomo/donna.

La violenza strutturale che colpisce gay, lesbiche, bisessuali, intersex, trans*, queer e chiunque si sottragga a questo binarismo è sistemica e quotidiana, spesso sommersa proprio perché denunciare queste violenze espone a nuove forme di discriminazioni e gli strumenti di difesa attuali sono insufficienti, ma è anche invisibile perché non è agita solo da singoli individui omofobi, ma si traduce in esclusione, disuguaglianza economica e sociale.

Per questo continuiamo a lottare per una liberazione culturale delle relazioni dalla visione costrittiva e violenta del patriarcato e per l’accesso materiale all’autodeterminazione per tutte le soggettività attraverso educazione, salute, welfare e reddito.

In questa direzione sosteniamo la moltiplicazione degli spazi femministi e transfemministi, come i «centri per il sostegno delle vittime di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” previsti dalla pdl colmando un vuoto gravissimo.

Sono troppo poche, infatti, le strutture che accolgono e accompagnano in percorsi di fuoriuscita dalla violenza delle persone LGBT*QIPA+: troppo spesso le donne persone trans si trovano escluse dai centri antiviolenza; troppo spesso ragazzi gay adolescenti e persone che scappano da famiglie violente a causa della loro scelta di genere od orientamento sessuale non hanno dove andare; troppo spesso donne lesbiche che in una relazione abusante si trovano sottoposte a un doppio stigma.

La moltiplicazione di luoghi di rifugio e supporto per chi si sottrae alla violenza patriarcale, all’omolesbobitransfobia e al sessismo è un avanzamento necessario.

Le reazioni di contestazione scatenate da parte del cosiddetto movimento no-gender, in linea con quanto accade in Ungheria e Romania, dove durante la pandemia sono state introdotte misure che vanno a privare dei diritti civili le persone LGBT*QIPA+, ma anche le critiche e gli attacchi di un femminismo che non condividiamo e che pretende di tutelare una presunta identità femminile contro quelle “di genere“, sono per noi due facce della stessa medaglia, perché una vuol sopprimere una libertà e l’altra afferma la libertà sulla base di un falso biologismo.

Crediamo sia centrale che si parli di identità di genere oltre che di orientamento sessuale. Sappiamo, da femministe e transfemministe, quanto l’imposizione di un’identità di genere e di ruolo (ad esempio quella della donna eterosessuale, madre, che cura e nutre) possa essere una violenza quotidiana.

E a partire dai nostri corpi sappiamo che non ci sono verità nel sesso biologico, ma condizioni materiali di oppressione che su quel sesso si costruiscono. Per questo lottiamo anche per dare spazio a identità di genere impreviste e imprevedibili. E di questa lotta le persone trans e non binarie sono parte integrante.

Identità di genere e orientamento sessuale, accanto a sesso e genere, devono giustamente essere collocate insieme ai già vigenti divieti di discriminazione per razzializzazione. Siamo consapevoli, infatti, dell’effetto moltiplicatore delle violenze in base al loro intreccio e siamo in movimento per rendere favolose le vite di chi ne subisce le conseguenze.

Negare che esistano forme di violenza indirizzate contro chi compie scelte di genere che non rientrano nei ruoli prescritti da questa società patriarcale significa legittimare che migliaia di persone siano oppresse per le loro scelte di vita, che siano sfruttate più intensamente sul lavoro a causa di quelle stesse scelte, che non abbiano strutture alle quali rivolgersi quando subiscono violenza. La lotta transnazionale della quale siamo parte è una lotta che pretende di rovesciare le gerarchie dell’oppressione.

Nelle scuole, dove abbiamo rivendicato un’educazione sessuale e all’affettività che contrasti la riproduzione patriarcale, razzista e omolesbobitransfobica della società; sui posti di lavoro e nelle case, dove la divisione sessuale dei ruoli e le gerarchie di genere significano sfruttamento più intenso; in ogni luogo in cui il razzismo rende la violenza maschile e di genere e lo sfruttamento più brutali.

Nessuna donna sarà libera dalla violenza se la violenza continua a colpire chi quotidianamente lotta per l’autodeterminazione, per praticare una libertà imprevista dalle identità imposte, per sovvertire le logiche patriarcali e razziste dello sfruttamento. Non una di meno significa anche questo.

Abbiamo un Piano e da sempre rivendichiamo, contro la violenza strutturale e sistemica, piena autodeterminazione. Vogliamo un’educazione sessuale e all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, un reddito di autodeterminazione slegato da lavoro e famiglia e un permesso di soggiorno europeo senza condizioni.

Reclamiamo più centri antiviolenza, autonomi, per le donne e per persone LGBT*QIPA+, la fine della rettificazione genitale alla nascita per le persone intersex, la piena depatologizzazione dei percorsi di transizione, l’eliminazione delle cosiddette terapie di riconversione.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: