Nel 2018, in Brasile, tutti i sondaggi consideravano Luiz Inácio Lula da Silva come il favorito per le elezioni presidenziali. Tuttavia, la destra brasiliana, in combutta con il governo statunitense, si adoperò per impedire al candidato del Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores, PT) di candidarsi alle elezioni, montando un caso giudiziario ad hoc e facendo imprigionare l’ex presidente. Il risultato di tutto questo è stata l’elezione di Jair Bolsonaro, con le nefaste conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Ad ogni modo, dal punto di vista della borghesia brasiliana e dell’imperialismo statunitense, la tattica ha funzionato alla perfezione, impedendo il ritorno al potere dei progressisti, dopo che già era stato messo in pratica un altro colpo di stato giudiziario contro il governo del PT, quello che aveva portato alla destituzione di Dilma Rousseff. Anche in Argentina, la destra ha fatto di tutto per estromettere l’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner dalla corsa elettorale, utilizzando anche in quel caso l’arma della magistratura: al contrario di quanto accaduto in Brasile, però, Cristina Kirchner ha potuto partecipare al confronto elettorale, ed oggi ricopre la carica di vicepresidente.
Il successo ottenuto dalle destre in Brasile deve comunque aver ispirato le forze reazionarie e liberiste di altri Paesi sudamericani, visto quanto sta accadendo attualmente in Ecuador e Bolivia. In Ecuador, Consiglio elettorale nazionale (CNE) ha deciso di escludere il Partido Fuerza Compromiso Social, del quale fanno parte anche i militanti della Revolución Ciudadana, movimento guidato dall’ex presidente Rafael Correa, che punta a ripresentarsi alle elezioni previste per il febbraio del 2021. Anche in questo caso, la magistratura ha montato accuse di corruzione nei confronti dell’ex capo di stato e del suo vicepresidente Jorge Glass, riproducendo uno schema non molto originale.
L’esclusione di Correa, che ha guidato l’Ecuador dal 2007 al 2017, sarebbe ben gradita all’attuale presidente Lenín Moreno, eletto come erede del primo, ma presto rivelatosi un traditore al soldo di Washington. Curiosamente, la sentenza del CNE non nomina affatto Lenín Moreno, che pure era stato vicepresidente di Correa prima di Glass, tra il 2007 ed il 2013. Se tale decisione dovesse essere applicata, costituirebbe una grave violazione della volontà popolare, visto che molti pensano che Correa potrebbe vincere le elezioni di febbraio. In tutte le precedenti elezioni alle quali si è presentato (2006, 2009 e 2013), il leader progressista ha vinto superando ampiamente la barriera del 50% delle preferenze, mentre nel 2017 fu Moreno ad ottenere questo risultato proprio grazie all’investitura ricevuta dal suo predecessore. Di fatto, non è errato dire che Correa abbia vinto le ultime quattro elezioni presidenziali.
Uno schema molto simile sta avendo luogo in Bolivia, dove, come noto, la destra è salita al potere lo scorso novembre in seguito al colpo di stato che ha destituito il presidente legittimo Evo Morales, portando al potere Jeanine Áñez. Al momento, tutti i sondaggi danno come grande favorito Luis Arce, il candidato del partito di Morales, il Movimiento al Socialismo –Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos (MAS-IPSP), e proprio per questo la destra sta cercando di rinviare le elezioni o di estromettere Arce dall’agone politico.
La presidente Jeanine Áñez e l’altro leader della destra boliviana, Luis Fernando Camacho, sono intenzionati a fare fronte comune per chiedere l’esclusione di Arce e del MAS. In teoria, Áñez e Camacho dovrebbero essere avversari, visto che sono entrambi candidati alle presidenziali per coalizioni differenti, ma la loro principale preoccupazione sembra essere quella di evitare un ritorno al potere dei progressisti, visto che gli ultimi sondaggi danno Arce al 42%, praticamente il doppio dei consensi di Áñez e Camacho messi insieme. Camacho ha esplicitamente dichiarato di non voler “permettere che le elezioni diventino un atto di risurrezione” del MAS. L’esclusione di Arce regalerebbe probabilmente la vittoria a Carlos Mesa, il candidato della sinistra moderata sotto l’egida del Frente Revolucionario de Izquierda (FRI), attualmente dato al 27%, a dimostrazione del fatto che i boliviani vogliono tutto fuorché la permanenza al potere della destra golpista.
Nel caso in cui l’esclusione di Arce e del MAS non dovesse essere possibile, il governo golpista spera di utilizzare la scusa della pandemia da covid-19 per rimandare le elezioni a data da destinarsi. Le presidenziali avrebbero infatti dovuto avere luogo a maggio, ma a causa del coronavirus sono state rimandate una prima volta a settembre. In realtà, il rinvio è stato necessario soprattutto a causa della pessima gestione dell’emergenza da parte della presidente golpista Áñez, con la Bolivia che ad oggi conta quasi 61.000 casi positivi ed oltre 2.200 morti, su una popolazione che non arriva ai dodici milioni di abitanti. Di fatto, la Bolivia è uno dei cinque Paesi più colpiti del continente sudamericano in base alla popolazione, proprio insieme all’Ecuador di Moreno ed al Brasile di Bolsonaro.
Senza alcun dubbio, le debolezze dimostrate dal governo nella gestione della pandemia e la forte incidenza che il covid-19 ha avuto nelle aree rurali ed abitate dagli indigeni, storicamente legate al MAS, non hanno fatto altro che aumentare i consensi nei confronti di Arce, e diminuire il numero dei sostenitori dell’attuale capo di stato.
A sostegno del MAS si è schierata anche la principale federazione sindacale del Paese: “La Central Obrera Boliviana (COB) – si legge in un comunicato dell’organizzazione – richiede il rispetto della data delle elezioni del 6 settembre adottate dal Tribunal Supremo Electoral (TSE). Il COB avverte che non consentirà il rinvio delle elezioni in Bolivia. Il segretario esecutivo della Central Obrera Boliviana (COB), Juan Carlos Huarachi, ha dichiarato mercoledì che la principale organizzazione dei lavoratori non consentirà un rinvio delle elezioni nazionali che sono state fissate per il 6 settembre. Ha annunciato l’inizio delle mobilitazioni in modo da rispettare il programma già stabilito”.
Come dimostrato dalla vittoria del Frente de Todos in Argentina, che ha portato alla presidenza Alberto Fernández, i partiti progressisti hanno ancora il sostegno delle masse popolari in America meridionale. Proprio per questo, le borghesie reazionarie locali e gli imperialisti statunitensi devono ricorrere a mezzi illegali per estromettere i candidati di sinistra dalle elezioni. Se dovessero partecipare, Correa ed Arce uscirebbero quasi certamente vincitori, ma l’esperienza di Lula in Brasile e quella di Morales in Bolivia, per citare gli episodi più recenti, ci insegnano che la volontà popolare può essere sovvertita con i mezzi più subdoli.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog