Carlo Musilli
Nel complesso, il vertice europeo più lungo di sempre si chiude per l’Italia con una vittoria. Dopo un negoziato di quattro giorni e quattro notti, alle 5.30 di martedì mattina i capi di Stato e di governo dell’Unione hanno firmato l’accordo sul Recovery Fund, il nuovo bazooka finanziario pensato per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid-19.
I soldi sul tavolo rimangono quelli previsti dalla Commissione: 750 miliardi di euro. A cambiare è la composizione: per volere dei Frugali (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia), i finanziamenti a fondo perduto scendono da 500 a 390 miliardi di euro; allo stesso tempo, però, i prestiti aumentano da 250 a 360 miliardi.
Grazie alle modifiche dei criteri di ripartizione, l’Italia guadagna circa 36 miliardi: i soldi destinati al nostro Paese – di gran lunga il maggior beneficiario del Recovery Fund – salgono da 172,7 a 208,8 miliardi. L’incremento è interamente riconducibile ai prestiti, passati da 90,938 a 127,4 miliardi; i finanziamenti a fondo perduto, invece, rimangono sostanzialmente stabili (da 81,807 a 81,4 miliardi).
Per incassare questa montagna di soldi, naturalmente, l’Italia dovrà pagare un prezzo politico. Chi accede al Recovery Fund “deve allinearsi alle raccomandazioni ricevute da Bruxelles – spiega la numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen – finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e crediti”.
Traduzione: le raccomandazioni diventano ordini. Per ottenere aiuti e prestiti – che, ricordiamo, arrivano dalla condivisione del debito attraverso gli Eurobond – bisogna impegnarsi a varare le riforme indicate dall’Europa. Ma le promesse stavolta non bastano, perché chi non rispetta la tabella di marcia concordata con Bruxelles si vede chiudere il rubinetto degli aiuti. Alla fine dei giochi, quindi, il Recovery Fund impone ai beneficiari di cedere un’altra fetta della loro sovranità all’Europa.
Tutto questo passa per un meccanismo di controllo molto complesso, su cui Italia e Olanda hanno litigato per giorni. Il capitolo più delicato dell’accordo, infatti, non riguardava la dotazione finanziaria del Recovery Fund (battaglia di facciata a uso e consumo degli elettori nordici), ma le regole in base alle quali l’Ue darà il via libera prima ai Programmi nazionali di riforma (Pnr), poi all’erogazione delle singole tranche di aiuti. Gli intenditori la chiamano governance.
In base all’intesa finale, i Pnr saranno votati sia dalla Commissione (come chiesto dall’Italia) sia dall’Ecofin, che dovrà esprimersi a maggioranza qualificata (15 Paesi su 27 rappresentanti almeno il 65% della popolazione europea).
Ma è previsto anche un altro meccanismo, chiamato “freno d’emergenza”: l’esborso degli aiuti potrà essere interrotto se uno o più Stati riterranno che il Paese beneficiario si stia discostando dagli impegni assunti, ovvero non stia rispettando il Programma nazionale delle riforme concordato con l’Ue. In questi casi, la situazione sarà discussa in Consiglio, ma l’ultima parola sui fondi spetterà comunque alla Commissione e l’intero processo non potrà durare più di tre mesi.
In teoria, Mark Rutte non è stato accontentato. Il premier olandese chiedeva che i Pnr e gli esborsi dovessero ottenere il via libera all’unanimità in Consiglio, cosicché ogni governo avrebbe avuto potere di veto sulle politiche degli altri. D’altra parte, Rutte sapeva benissimo che una proposta simile non aveva alcuna speranza di passare (erano contrari perfino gli altri Frugali) e probabilmente l’ha usata solo come arma negoziale per ottenere proprio il compromesso a cui si è giunti.
Pur non essendo un vero e proprio diritto di veto, la procedura prevista dall’accordo potrebbe rallentare l’arrivo dei soldi ed esporre i governi a condizionamenti politici sulle riforme. Una soluzione gradita anche ad Angela Merkel e a Emmanuel Macron, che in fondo concordano con Rutte sulla necessità di controllare in che modo l’Italia spenderà i fondi europei. Come dire che i soldi ce li danno perché non possono fare altrimenti, ma la fiducia… Quella proprio no.
https://www.altrenotizie.org/primo-piano/8957-ue-il-prezzo-degli-aiuti.html