Nell’approcciare la politica cinese contemporanea ci si imbatterà con estrema probabilità nell’espressione “società moderatamente prospera”, traduzione dal cinese 小康社会 (pinyin xiǎokāngshèhuì).
Il concetto di Xiaokang viene da lontano e trova la sua prima espressione nello Shījīng (it. “Libro delle odi”), la più antica raccolta di testi poetici cinesi, risalente al periodo primo e medio della dinastia Zhou occidentale (X-VII sec. a.C.) e costituente uno dei Cinque Classici (五經, wǔjīng) del canone confuciano. Più precisamente, nel poema Minlao, il presunto autore Zhao Hu, ministro durante la dinastia dei Zhou occidentale (XI sec. a.C.), invitava il suo corrotto sovrano Zhou Liwang a mostrare benevolenza verso una popolazione gravata da sofferenze e fatiche.
Il confucianesimo svilupperà poi Xiaokang come livello inferiore di società rispetto all’idea di Datong (大同), quella “Grande Unità” o “Grande Comunità” che appare nel Libro dei Riti e corrisponde a uno stato di pace e armonia fra le persone e nell’ambiente.
Se Datong rimanda infatti a una età dell’oro, a un’epoca della storia (o della preistoria) in cui esisteva una società ideale poi declinata, in cui vecchi e giovani, donne e uomini, robusti e infermi avevano la propria ragion d’essere non nell’accumulo e nello spreco di merci, ma in una vita immersa nell’affetto e nell’armonia[1], Xiaokang si riferisce a un periodo di minore prosperità, dove gli esseri umani sono costretti a “fare dell’umanità la loro legge e l’umiltà la loro pratica[2]”. Nella società Xiaokang assumono centralità i riti (li), usati per regolare le relazioni fra sovrano e sudditi, fra gli uomini, fra fratelli, fra padri e figli, fra mariti e mogli.
La società Xiaokang necessita, al contrario della Datong, di riti, istituzioni, consuetudini e norme – ovvero di obbligazioni, prendendo a prestito il lessico giuridico romano – per evitare l’inevitabile: discordia, competizione, guerre. La società Xiaokang è scossa da una diseguaglianza radicale: “Il mondo è in possesso di famiglie. Ognuna guarda come genitori solo i propri, e figli come solo i propri; i beni e il lavoro sono impiegati per scopi egoistici”.
Dopo oltre due millenni Deng Xiaoping, de facto[3] Leader della Repubblica Popolare Cinese, riporta in auge il concetto di Xiaokang partendo dalla constatazione che la società cinese versava in difficili condizioni economiche, sociali e culturali. Il piccolo timoniere, durante una visita nel Giappone di Masayoshi Ohira nell’ottobre 1979, riafferma l’obiettivo di costruire una società moderatamente prospera. Per Deng, la società moderatamente prospera viene vista non solo come una metà da raggiungere a cui è collegato un dato crudo, quello di quadruplicare il PIL pro capite nel ventennio 1980-2000, ma anche come una fase dello sviluppo sociale che aderisce al percorso socialista intrapreso nel 1949 attraverso il miglioramento degli standard di vita del popolo. Tramite il ruolo dominante della proprietà pubblica e statale, l’incremento del PIL pro capite e delle condizioni di tutta la popolazione, la Cina potrà realizzare l’obiettivo di essere, entro il 2021 a cento anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, una società moderatamente prospera, prerequisito necessario ma insufficiente del socialismo e del comunismo.
La società Xiaokang nella rilettura del Partito Comunista Cinese non identifica uno stadio armonico e ideale – quest’ultimo assimilabile, seppur con diverse precisazioni da compiere, al Datong[4] – in cui le disuguaglianze sono annullate e le istituzioni attraverso cui si esercita il potere sono dileguate poiché non più necessarie. Al contrario, il riconoscimento di essere sulla strada per raggiungere una società moderatamente prospera significa proprio valutare la sussistenza di difficoltà, di arretratezze, di minorità: marxianamente, di contraddizioni.
A scapito di quanto sostenuto dalle frange più ortodosse del marxismo occidentale, la Cina mantiene una pianificazione macro-economica fissando quinquennalmente obiettivi e standard da raggiungere: «Lo sviluppo e la perfezione del socialismo è un lungo processo storico[5]». Come ben riassunto da Mao, «nel processo di sviluppo di ogni cosa un movimento di opposti esiste dall’inizio alla fine del processo[6]». Già Mao aveva evidenziato come, all’indomani della vittoria sul Guomindang, la Nuova Cina si trovasse allo stadio iniziale del socialismo, un periodo specifico nel quale costruire il socialismo in condizioni di arretratezza delle forze produttive, di diseguale sviluppo economico e d’inadeguatezza delle istituzioni appena formatesi.
Il periodo di riforma e apertura inaugurato dal Partito Comunista Cinese si è posto proprio l’obiettivo di modernizzare il Paese in una nuova, grande rivoluzione: «Lo scopo della nostra rivoluzione è liberare ed espandere le forze produttive. Senza espandere le forze produttive, facendo prosperare e accrescere in potenza il nostro Paese, e migliorando il tenore di vita delle persone, la rivoluzione è solo chiacchiere vuote. Ci opponiamo alla vecchia società e al vecchio sistema perché hanno oppresso il popolo e incatenato le forze produttive[7]».
Giusto per dare qualche dato: mentre Deng Xiaoping pronunciava queste parole, il PIL cinese raggiungeva i 178 miliardi di dollari; quello pro capite era di neanche 185$; la povertà assoluta sfiorava l’89% della popolazione. Oggi, il PIL cinese supera i 13.610 miliardi di dollari; quello pro capite raggiunge quasi i 10.000$ e la povertà assoluta colpisce appena lo 0,4% dei cinesi, con una lotta senza quartiere che ha portato 800 milioni di persone fuori dalla più odiosa delle condizioni umane[8].
L’organizzazione interna della Cina – e di qualsiasi nazione del mondo – «dipende dal grado di sviluppo della sua produzione e delle sue relazioni interne ed esterne[9]». Il governo della Repubblica popolare ha sperimentato nel corso dei suoi primi trent’anni di vita diversi modelli economici, riconoscendo l’ineluttabilità della dittatura democratica del popolo.
Soppesando gli inevitabili errori e le dolorose storture commesse lungo il percorso socialista, il Partito Comunista Cinese si è posto l’obiettivo, già prefigurato da Marx ed Engels, di «aumentare le forze produttive totali il più rapidamente possibile[10]» mantenendo inalterata la «supremazia politica» del proletariato al fine di «strappare, per gradi, tutto il capitale della borghesia, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante».
Per gradi, non ex abrupto, e aumentando le forze produttive il più rapidamente possibile. Già nei primissimi scritti di Lenin è possibile osservare l’attenzione che il grande rivoluzionario ha dato sviluppo delle forze produttive della società, «sviluppo che si compie appunto mediante le contraddizioni e le sproporzioni[11]». Attenzione che non viene meno all’indomani della conquista del potere: fra i compiti immediati del bolscevichi figura le necessità di «creare un regime sociale superiore al capitalismo; elevare cioè la produttività del lavoro e, in connessione con ciò (e a questo scopo), organizzare il lavoro in modo superiore. […] L’aumento della produttività del lavoro esige innanzi tutto che siano garantite le basi materiali della grande industria[12]».
L’obiettivo di edificare una società moderatamente prospera si ricollega all’avanzamento di dieci fondamentali criteri: il PIL pro capite, il coefficiente Engel – la proporzione della spesa domestica per cibo – i metri quadri occupati nelle aree urbane, il tasso di urbanizzazione, la spesa per la ricerca e lo sviluppo sul PIL, il tasso di disoccupazione urbana, il rapporto fra persone coperte dall’assistenza sociale e persone che dovrebbero esserlo, l’aspettativa di vita.
Se nel 2000 l’indice di completamento di una società moderatamente prospera si attestava al 59,3%, nel 2010 raggiungeva l’80,1%[13].
Come ha affermato Domenico Losurdo, «Deng Xiaoping [ha] il merito storico di comprendere che il socialismo non aveva nulla a che fare con la distribuzione più o meno egualitaria della povertà e della privazione. Agli occhi di Marx ed Engels, il socialismo era superiore al capitalismo non solo perché assicurava una più equa distribuzione delle risorse ma anche, e soprattutto, perché assicurava uno sviluppo più rapido e più equo della ricchezza sociale, e per raggiungere questo obiettivo, il socialismo stimola la concorrenza affermando e mettendo in pratica il principio della remunerazione in base alla quantità e alla qualità del lavoro svolto[14]».
L’obiettivo di medio termine di raggiungere una società moderatamente prospera venne fissato già da Deng Xiaoping per il 2020, quale primo dei “Due obiettivi centenari” (两个一百年, Liang Ge Yibai Nian) che il Partito Comunista Cinese ha di fronte a sé: il primo, appunto, di costruire una società moderatamente prospera in occasione del centenario dalla fondazione del PCC; il secondo, nel 2049, a compimento dei primi cento anni della Repubblica Popolare Cinese, corrispondente con il raggiungimento dello stadio primario del socialismo, ovvero l’edificazione di un «moderno Paese socialista che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso[15]».
Solo «in una fase più elevata della società comunista […] dopo che anche le forze produttive sono aumentate con lo sviluppo globale dell’individuo, e tutte le sorgenti della ricchezza comune fluiscono più abbondantemente – solo allora lo stretto orizzonte della destra borghese può essere attraversato nella sua interezza e la società iscrive sui suoi stendardi: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!