di Angelo Baracca (*)
La Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari ha ottenuto dall’Onu l’approvazione del Trattato di proibizione. Ma dopo tre anni l’Italia – che custodisce decine di atomiche Usa – ancora non lo ha firmato. Sarebbe molto più che un gesto simbolico siglarlo in occasione del 75esimo anniversario delle due atomiche statunitensi che in Giappone uccisero 200mila persone.
Sono passati 75 anni da quei due giorni, il 6 e 9 agosto 1945, quando due lampi accecanti seguiti da una mostruosa nuvola a forma di fungo cancellarono in un baleno le due città di Hiroshima e Nagasaki, vaporizzando oltre 200mila persone, e condannando i sopravvissuti a sofferenze inenarrabili seguite in molti casi da una morte straziante. È giunto il momento di dire “mai più”, non solo come reazione di orrore, ma perché oggi per la prima volta si può. Andiamo con ordine, perché la storia è una guida per capire e agire in modo consapevole. Vi fu, in qualche modo, una “preistoria” quando ai primi del Novecento si scoprì che il nucleo atomico racchiude energie milioni di volte più grandi delle ordinarie energie dei processi chimici. L’interesse a capire questi fenomeni ha consentito avanzamenti enormi della nostra conoscenza dei processi fisici. Il problema è sorto quando si sono prospettate le possibilità di sviluppare effettivamente queste potentissime energie. Io sostengo sempre che è stato il più grande errore dell’era contemporanea, perché se è vero che la loro produzione era complessa, è purtroppo vero anche il contrario dato che i processi nucleari non sono reversibili, e i loro prodotti artificiali sono estremamente pericolosi e nocivi e non sono eliminabili dai processi che avvengono sulla Terra.
Poi, allo scoppio della II guerra mondiale, crebbe il timore che i nazisti potessero realizzare la super-bomba, e un pacifista come Einstein fu indotto da Szilard a scrivere una lettera a Roosevelt che di fatto fu all’origine del Progetto Manhattan per la realizzazione della bomba nucleare. Quando Einstein se ne pentì era ormai troppo tardi. Alla fine del 1944 era chiaro che i nazisti non avrebbero realizzato la super-bomba e nel giugno 1945 la Germania si arrese. Ma la realizzazione della bomba atomica non si era arrestata e solo un fisico fra le migliaia di scienziati che lavoravano all’impresa a quel punto l’abbandonò per motivi di coscienza. Il suo nome era Józef Rotblat. Rimaneva aperta l’opzione: usarla realmente? Gli scienziati ebbero ancora un’occasione decisiva. Ma un autorevole comitato di ricercatori nominato appositamente – composto da Robert Oppenheimer, Enrico Fermi, Ernest Lawrence e Arthur Compton – si era pronunciato tra il 15 e il 16 giugno in maniera abbastanza pilatesca, riconoscendo l’obbligo di «salvare vite americane» e concludendo: «Non vediamo nessuna alternativa accettabile all’impiego militare diretto». Così si arrivò alla prima esplosione nucleare, denominata Trinity, che, il 16 luglio del 1945 nel poligono di Alamogordo nel deserto del Nuovo Messico, inaugurò cupamente la nuova era.
La retorica di “salvare vite americane” nella decisione di sganciare le bombe sul Giappone ha dominato a lungo, ma è stata smentita storicamente: il Giappone era al collasso e si sarebbe arreso comunque senza bisogno di un’invasione di terra, la vera urgenza di Truman era di accelerarne la resa per escludere l’Unione sovietica dalle trattative di pace in Asia. In sostanza valeva la pena uccidere 200mila persone, esattamente come dirà 58 anni più tardi il Segretario di Stato Madeleine Albright a proposito dei 500mila bambini vittime della guerra all’Iran. Nei decenni successivi gli ordigni nucleari proliferarono, arrivando negli anni Ottanta al numero demenziale di 70mila, ben più distruttivi di quelli di Hirohima e Nagasaki. Il pretesto era di inibire il loro uso perché avrebbe provocato la «distruzione mutua assicurata»: se non fosse che numerosi allarmi per errore non hanno portato all’Apocalisse nucleare solo per il coraggio di ufficiali che non vollero credere alla loro veridicità, salvando l’umanità da un olocausto generalizzato. Per citare Noam Chomsky, «se siamo vivi è per miracolo».
Per ottenere il plutonio per il test di Alamogordo e Nagasaki, il 12 dicembre 1942 Fermi aveva realizzato la reazione a catena controllata con il primo reattore nucleare, detto impropriamente “Pila di Fermi” poiché non era affatto progettato per produrre energia. Dopo la guerra furono costruiti solo reattori militari, plutinigeni o adattati per la propulsione dei sommergibili. Finché nel 1953 fu lanciato l’Atomo per la Pace per mettere a profitto la nuova tecnologia, promettendo un’energia che sarebbe stata «talmente economica da non poter essere misurata». Anche volendo prescindere dall’enorme quantità di vittime dell’Era nucleare – tumori contratti dai lavoratori nelle miniere di uranio, contaminazione radioattiva dell’atmosfera terrestre per più di duemila test nucleari, sottostima degli effetti della radioattività sull’organismo umano, drammatici incidenti nucleari che hanno reso inabitabili alcune regioni – l’Apprendista stregone umano ha… [continua sul numero di «Left» da ieri in edicola]
Il fisico Angelo Baracca è stato docente universitario a Firenze, ed è attivista e saggista. Impegnato nelle campagne per l’ecologia, contro le guerre e per il disarmo nucleare ha firmato numerosi saggi tra cui “Storia della fisica italiana, un’introduzione” (Jaca Book, 2017)
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