Le elezioni presidenziali in Bielorussia si sono svolte a partite dal 4 agosto, con l’inizio del voto anticipato, fino al 9 agosto, giornata elettorale vera e propria. In totale, sono stati aperti oltre 5.700 seggi elettorali in tutto il Paese, e l’affluenza alle urne è stata pari al 84.17% sui quasi sette milioni di aventi diritto al voto. La legge elettorale bielorussa incentiva i cittadini alla partecipazione, prevedendo che le elezioni non siano valide con una partecipazione inferiore al 50%. Allo stesso tempo, è necessario che uno dei candidati ottenga più del 50% dei voti validi per essere eletto.
Il grande favorito di queste elezioni presidenziali era il capo di stato uscente, Aljaksandr Lukašėnka, che, secondo i risultati preliminari, ha ottenuto il suo sesto mandato consecutivo con l’80.08% dei consensi. In seconda posizione troviamo Svjatlana Cichanoŭskaja, sostenuta dal partito di opposizione Paese per la Vita (Страна для Жизни; Strana dlia Žisni), che ha ottenuto il 10.09%, il miglior risultato per un candidato dell’opposizione dal 2001. Seguono, con risultati di poco superiori al punto percentuale, Hanna Kanapackaja (1.68%), Andrej Dzmitryjeu (1.21%) e Siarhei Čeračen (1.15%), leader dell’Assemblea Socialdemocratica Bielorussa (Беларуская сацыял-дэмакратычная Грамада, Bielaruskaja sacyjal-demakratyčnaja Hramada). Da notare che in Bielorussia è possibile votare “contro tutti i candidati”, opzione che è stata scelta dal 4.60% degli elettori.
Dopo la pubblicazione dei primi risultati da parte della Commissione Elettorale, presieduta da Lidia Ermošina, i sostenitori dei partiti di opposizione si sono mobilitati per le strade della capitale Minsk, denunciando presunte frodi e rifiutandosi di riconoscere i risultati. I metodi dell’opposizione bielorussa, sostenuta da governi e mass media dei Paesi occidentali, sembrano in effetti ricalcare quanto accaduto in passato in altre ex repubbliche sovietiche. Stiamo parlando di quei fenomeni noti come “rivoluzioni colorate“, che hanno portato a capovolgimenti di governo in Georgia, Kirghizistan e in Ucraina (per ben due volte).
Secondo quanto riportato dai media bielorussi, almeno trentanove poliziotti e cinquanta civili sono rimasti feriti durante le proteste nella capitale, fomentate dalle dichiarazioni della candidata dell’opposizione Svjatlana Cichanoŭskaja, che ha affermato di non voler riconoscere la sconfitta, auproclamandosi vincitrice delle elezioni presidenziali. Secondo le ultime informazioni disponibili, negli scontri ci sarebbe stato anche un morto.
I media occidentali sono soliti designare Lukašėnka come “l’ultimo dittatore d’Europa“, mentre la Bielorussia è stata esclusa nel 1997 dal Consiglio d’Europa, organo nel quale sono rappresentanti tutti i Paesi del continente tranne l’ex repubblica sovietica, dimostrando una forma di particolare ostracismo per questo Paese. La Bielorussia è infatti fortemente osteggiata tanto dagli Stati Uniti quanto dall’Unione Europea, in quanto non risponde ai modelli della democrazia borghese a regime economico neoliberista, oltre a rappresentare uno dei pochi Paesi dell’Europa orientale a mantenere forti legami con la Russia.
Come al solito, il vessillo del rispetto dei diritti umani viene sbandierato come specchietto per le allodole, nascondendo gli interessi geopolitici degli Stati Uniti e dei vassalli europei di Washington. La Bielorussia, ad esempio, è stata accusata di essere l’unico Paese europeo ad applicare ancora la pena di morte, ragione che è stata utilizzata anche per escludere Minsk dal Consiglio d’Europa. Se è vero che la Bielorussia è l’unico Paese del continente a mantenere la pena capitale, è altrettanto vero che il Regno Unito ha formalmente abolito la pena di morte solo nel 1998 e la Grecia lo ha fatto adirittura nel 2004, senza che però questi Paesi venissero mai esclusi dal Consiglio d’Europa, così come è vero che i due condannati a morte in Bielorussia nel 2019 sono undici volte meno delle ventidue esecuzioni perpetrate negli Stati Uniti nello stesso anno.
Predendo in considerazione le questioni geopolitiche, non è un caso, dunque, che proprio il presidente russo Vladimir Putin sia stato il primo a congratularsi con Lukašėnka per la sua rielezione. Il leader del Cremilino ha inviato un telegramma a Minsk in cui ha espresso la speranza che “la sua attività statale contribuirà all’ulteriore sviluppo di relazioni reciprocamente vantaggiose russo-bielorusse in tutte le aree“, secondo quanto riportato dall’genzia stampa russa Sputnik. Putin ha poi manifestato la volontà di “approfondire il processo di integrazione regionale nel quadro dell’Unione Economica Eurasiatica e della Comunità di Stati Indipendenti, nonché i legami politici e militari nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva“, meccanismi ai quali aderisce gran parte dei Paesi nati dalla dissoluzione dell’URSS.
Anche il presidente cinese Xi Jinping ha trasmesso le sue “calorose congratulazioni e i migliori auguri” al suo omologo bielorusso, affermando di essere pronto a continuare a portare avanti le relazioni bilaterali tra i due Paesi. La Bielorussia è infatti anche uno dei Paesi che ha aderito al progetto cinese della Belt and Road Initiative, la cosiddetta “nuova via della seta”.
Appare dunque evidente il motivo per il quale la Bielorussia continua ad essere attaccata dai Paesi occidentali sia mediaticamente che politicamente. Minsk resta l’ultimo baluardo che respinge l’avanzata verso est della NATO, che oramai può contare tanto sulla Polonia quanto sulle repubbliche baltiche, mentre l’Ucraina, pur non essendo ancora membro dell’Alleanza Atlantica, spinge per entrarvi e di fatto è un Paese satellite di Washington situato ai confini meridionali della Russia europea. Alla luce di ciò, non deve sorprendere che Lukašėnka abbia accusato potenze straniere di manipolare le proteste: il presidente ha infatti affermato che coloro che sono scesi in strada non sarebbero altro che “pecore” manipolate da Polonia, Repubblica Ceca e Regno Unito.
Lo spettro di una nuova rivoluzione colorata aleggia dunque pericolosamente su Minsk, con il rischio di ridurre la Bielorussia in uno stato di guerra civile permanente come accaduto con l’Ucraina. Allo stesso tempo, gli eventi bielorussi dimostrano la prosecuzione della strategia di accerchiamento da parte degli Stati Uniti nei confronti della Russia, con il tentativo di spostare sempre più ad oriente i confini dell’impero a stelle e strisce.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog