Mentre la drammatica situazione della pandemia precipita la Colombia in una dramma sanitario, e la violenza aumenta nel paese con un massacro dopo l’altro, la Corte Suprema decreta gli arresti domiciliari preventivi per l’ex presidente e senatore Álvaro Uribe Vélez. una speranza per le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato nella loro infaticabile ricerca di giustizia

La misura cautelare per il presunto delitto di frode processuale e corruzione in un processo penale per l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, decretata lo scorso 5 agosto dalla Corte Suprema di Giustizia (CSG), è il risultato della sua stessa ambizione votata alla persecuzione dell’opposizione politica, in questo caso contro Iván Cepeda Castro, perseverante difensore dei Diritti Umani e attuale senatore del Polo Democratico Alternativo (PDA).

Questa decisione è arrivata dopo che i magistrati hanno considerato di avere gli elementi probatori sufficienti rispetto al fatto che Uribe potrebbe ostacolare il processo che lo riguarda, iniziato formalmente nel luglio del 2018. Il processo giudiziario ha un’origine paradossale: Uribe ha denunciato Iván Cepeda, nel 2012, dopo che quest’ultimo aveva intervistato vari dei condannati per paramilitarismo nei loro luoghi di reclusione. Ma nel suo tentativo di perseguitare Cepeda giuridicamente e disciplinarmente, è stato lui stesso a essere messo sotto indagine e adesso è privato della libertà.

Cepeda ha festeggiato la decisione della corte e ha sottolineato l’importanza dell’indipendenza e della divisione dei poteri per fare in modo che non esistano politici intoccabili che possano stare sopra le istituzioni. Da parte sua, ha fatto un appello alla serenità, contemplando il percorso giudiziario rimanente, che ora passa alla Sala di Prima Istanza della Corte Suprema di Giustizia.

I magistrati incaricati hanno raccolto abbondante materiale, intercettazioni telefoniche, documenti e testimoni che dimostrano come l’avvocato Diego Cadena, uomo di fiducia del presidente, abbia conseganto dei soldi all’ex-paramilitare Juan Diego Monsalve (testimone chiave, condannato a 40 anni di reclusione) per fare in modo che testimoniasse contro Cepeda.  Cadena, che è conosciuto anche per aver difeso vari narcotrafficanti, ha affermato di aver consegnato del danaro a Monsalve, sottolineando però che si trattava d’un “aiuto umanitario”. Cadena potrebbe ricevere nei prossimi giorni, dalla parte della CSG, la stessa misura che Uribe (effettivamente la misura è stata decisa pochi giorni dopo la scrittura dell’articolo).

Nel caso è coinvolto anche il parlamentare del Centro Democratico (CD), Álvaro Hernán Prada, che la Corte Suprema accusa di complicità. Prada, che affronterà il processo a piede libero, è sotto indagini per aver fatto pressioni nei confronti dell’ex-paramilitare Carlos López per farlo testimoniare a favore di Uribe e di suo fratello, l’allevatore Santiago Uribe Vélez, attualmente sotto inchiesta per la sua possibile partecipazione alla creazione del gruppo paramilitare “I 12 Apostoli”, a cui sono attribuiti all’incirca 300 assassinii tra il 1990 e il 1994 nel territorio di Antioquia [il dipartimento di cui è capoluogo Medellín, ndt].

La sentenza della corte è solo un anticipazione di una delle oltre 100 indagini nei confronti di Uribe che vanno avanti lentamente tra la Commissione Indagini e Accuse della Camera dei Rappresentanti (soprannominata la “commissione delle assoluzioni”) e la Corte Suprema di Giustizia. La maggior parte sono inchieste preliminari per presunti delitti legati a massacri paramilitari, intercettazioni illegali, manipolazione di testimoni, relazioni con il narcotraffico, ed altri ancora.

La differenza tra i diversi piani delle indagini è che quelle legate alla Commissione riguardano i reati che Uribe avrebbe commesso durante il periodo in cui era presidente della repubblica (2002-2006, 2006-2010), rispetto alla quale è coperto dall’immunità presidenziale, mentre la Corte Suprema indaga i reati legati al periodo in cui ricopre la carica di senatore. In caso di condanna, Uribe potrebbe ricevere una pena tra i sei e i dodici anni di reclusione, secondo quanto previsto dall’ordinamento giuridico colombiano.

È importante segnalare che una parte importante dei ministri in carica durante il suo periodo presidenziale, ma anche altri parlamentari e alcuni familiari, sono in carcere o in esilio per svariati reati.

Juan Zamara – EFE

Uribe sostiene di non essere al corrente di ciò che fanno i suoi colleghi di partito, anche se in generale vengono arrestati quando cercano di agire per favorirlo.  Uno dei casi dimostrati riguarda la riforma costituzionale approvata dal Congresso per fare in modo che Uribe potesse essere rieletto come presidente nel 2006, riforma ha portato in carcere i deputati Yidis Medina e Teodolindo Avendaño per aver accettato denaro in cambio del voto a favore della riforma, la stessa che invece ha portato Uribe alla rielezione come presidente.

Anche se l’attuale governo del presidente Iván Duque va avanti come se tutto andasse bene, appoggiandosi sulla propaganda multimilionaria, è in realtà sempre più debole.  Le denunce e le prove di compravendita di voti durante le ultime elezioni presidenziali, e i legami con narcotrafficanti come il “Ñeñe” Hernández, rendono evidente l’illegittimità del governo nazionale e del partito Centro Democratico.

La brutalità delle forze dell’ordine, gli omicidi selettivi di centinaia di leader sociali ed ex combattenti che hanno aderito agli Accordi di Pace, la permanente violazione dei diritti umani perpetrati contro le comunità contadine e indigene da parte dell’esercito, assieme alla perversione con cui il governo ha gestito l’emergenza della pandemia, potrebbero portare all’elezione nel 2022 d’una forza politica alternativa, per la prima volta.

All’impresentabile difesa del presidente Duque, che prima e dopo l’annuncio ufficiale della Corte Suprema ha pubblicamente qualificato Uribe come mentore esemplare, amico nel quale crederà eternamente e “funzionario pubblico onorabile ed essere umano integro”, si sommano le deliranti dichiarazioni della senatrice Paloma Valencia, una delle uribiste più devote e possibile candidata presidenziale nel 2022.

Secondo Valencia, la misura cautelare nei confronti di Uribe è stata negoziata a Cuba nei colloqui tra le FARC- EP [Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane – Esercito Popolare, che hanno formato un ominumo partito politico dopo la firma dell’accordo, questa volta con il significato di Forze Alternative Rivoluzionarie del Comune] e il governo di Juan Manuel Santos, oltre ad essere il riflesso dei desideri di Hugo Chávez, della sinistra radicale e del socialismo del XXI secolo. Dovrebbero essere questioni da non prendere seriamente se non fosse che è grazie a questi inganni e questi discorsi di odio che sono riusciti a imporsi nel plebiscito per la pace nel 2016 e “vincere” le elezioni presidenziali del 2018. La senatrice Paola Olguín è riuscita a spingersi ancora più in là invitando addirittura i riservisti dell’esercito a ribellarsi. Queste dichiarazioni coincidono con l’appoggio incondizionato di banchieri e dei diversi poteri economici, che con l’aiuto subdolo del giornalismo corporativo, funzionano come cassa di risonanza dell’uribismo per evidenziare i risultati della dottrina della sicurezza democratica [la dotrrina politica dell’estrema destra colombiana, ndt] se così celebrare l’essenza del redentore della patria.

L’estrema destra contrattacca eseguendo la sua nuova strategia di difesa del capo politico, fino a ieri immacolato e ora detenuto nella sua tenuta di 1.500 ettari. La strategia è la vittimizzazione, in particolare quella familiare; e un rischioso tentativo di riformare il Potere Giudiziario ed eliminare l’attuale funzionamento delle alte corti, ovvero una riforma della giustizia il cui principale obbiettivo è alterare la divisione dei poteri per poterli concentrare e manipolare a loro piacimento, per non correre più i rischi che attualmente stanno affrontando.

Gli arresti domiciliari preventivi per Uribe rappresentano un precedente positivo in materia politica e penale, ed è naturale che migliaia di persone festeggino.

Per esempio, alcune delle madri che hanno perso i loro figli uccisi per mano dell’esercito non hanno nascosto la loro gioia e l’hanno resa pubblica, anche se questo processo non riguarda le esecuzioni extra-giudiziarie [i cosiddetti falsos positivos, migliaia di giovani dei quartieri popolari fatti sparire dall’esercito e poi presentati come guerriglieri caduti in battaglia, ndt]. In ogni caso, è necessario rimanere con i piedi per terra e non generare false aspettative, visto che il sistema giudiziario che oggi garantisce a Uribe tutte le garanzie, con azioni importanti come quelle del magistrato Cesar Reyes, è lo stesso sistema che in tutte le altri occasioni lo ha coperto, un sistema giudiziario permeato da minacce, assassinii di testimoni, distribuzioni di ricompense, persecuzione politica basata sul macchinazioni giudiziarie e il potere dei cartelli che si muovono nel basso mondo dei tribunali dove sotto banco si muovono milioni.

Si è aperto un dibattito interessante, in relazione ad una possibilità che in ogni caso risulta poco probabile: se Uribe volesse avvalersi della JEP [Giustizia Speciale per la Pace, sistema di Giustizia Transitiva inserito negli Accordi di Pace, ndt] per ottenere una sentenza diversa da una sanzione ordinaria, dovrà contribuire al processo di verità, giustizia e riparazione nel quadro del conflitto armato, proprio quel processo che ha tentato in tutti i modi di ostacolare visto che considera la JEP un modo per garantire l’impunità alle FARC.

In questo senso, l’azione della Corte Suprema potrà avere successo solamente se accompagnata da una mobilitazione di massa, per mettere in crisi definitivamente il futuro di Uribe come leader politico e l’esistenza stessa del Centro Democratico [il suo partito di estrema destra, ndt.] per lo meno nella sua dimensione guerrafondaia e autoritaria. Va segnalato anche come la retorica della guerra che lo ha portato ai risultati degli ultimi 20 anni abbia ormai esaurito la sua forza. Manca ancora molto prima che la Corta prenda una decisione finale rispetto al processo, tuttavia una parte importante del paese celebra questi risultati. Potrebbe non essere né per ingenuità né per conformismo, bensì per il bisogno di una gioia in mezzo a tanto dolore. Per ora è certo che l’uribismo ha ricevuto un importante colpo morale, anche se rimane vivo come forza politica e cerca di rifondarsi per non precipitare nella sua stessa decadenza.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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