Mentre i media occidentali presentano la Bielorussia come un Paese prigioniero e vittima del “dittatore” Aljaksandr Lukašėnka, si sono svolte negli ultimi giorni diverse manifestazioni in difesa del governo in carica, in risposta a quelle dell’opposizione. Nella giornata di domenica, in particolare, la grande manifestazione di Minsk ha visto decine di migliaia di bielorussi (e non mille, come vergognosamente riportato dalla stampa italiana main stream) ascoltare il discorso del presidente in carica, recentemente confermato dall’esito delle elezioni presidenziali con più dell’80% delle preferenze.
Anche per quanto riguarda la partecipazione agli scioperi indetti dall’opposizione, la partecipazione risulta decisamente inferiore rispetto a quella riportata dai media occidentali. Secondo le fonti bielorusse, la maggioranza degli stabilimenti industriali continua a funzionare a pieno ritmo, e solamente una piccola parte dei lavoratori avrebbe deciso di disertare. La classe lavoratrice è in realtà quella che maggiormente appoggia il governo di Lukašėnka, mentre a sostenere l’opposizione sono soprattutto i capitalisti locali. Negli ultimi vent’anni, il tasso di disoccupazione in Bielorussia è sceso dal 12.8% al 4.6%, mentre la disoccupazione giovanile è passata dal 22.24% al 9.71%. Le politiche del governo, volte a non smantellare del tutto il sistema sovietico come avvenuto nelle altre repubbliche dell’ex URSS, ha inoltre permesso il mantenimento di standard di vita più elevati rispetto agli altri Paesi della regione, e la Bielorussia vanta oggi un PIL pro capite che è più del doppio rispetto a quello dell’Ucraina. Ancora, la Bielorussia mantiene dei sistemi sanitario e scolastico gratuiti ed efficienti, ereditati dall’epoca sovietica, mentre l’età di pensionamento è la più bassa in Europa (56 anni per le donne e 61 per gli uomini).
“Insieme a voi, nonostante tutte le difficoltà e i problemi, abbiamo costruito un bel Paese. A chi avete deciso di consegnarlo? Se qualcuno svendere il paese, non te lo permetterò nemmeno quando sarò morto“, ha tuonato il capo di stato in occasione della manifestazione organizzata domenica nella capitale Minsk. “La leadership della NATO ci chiede di tenere nuove elezioni, ma se cediamo ai loro desideri moriremo in quanto stato“, ha aggiunto Lukašėnka. Il presidente bielorusso ha infatti insistito sul ruolo svolto dalle potenze straniere nel fomentare le manifestazioni antigovernative nel Paese, come dimostra l’elevato numero di cittadini stranieri recentemente arrestati dalla polizia locale.
Secondo Lukašėnka, i burattinai stranieri, provenienti soprattutto da Polonia e Lituania, stanno orchestrando rivolte nel paese e vogliono che i confini bielorussi si spostino da Brest a Minsk come prima della seconda guerra mondiale. Quello che è certo, è che la Bielorussia rappresenta l’ultimo bastione che si oppone all’allargamento della NATO fino ai confini con la Russia, e che, dopo aver conquistato l’Ucraina con la stessa tattica, ora gli Stati Uniti ed i suoi vassalli europei puntano a fare lo stesso con la Bielorussia.
Lukašėnka ha detto di opporsi al progetto di coloro che vogliono trasformare la Bielorussia in uno stato cuscinetto tra la Russia ed i Paesi della NATO: “Ci sono già passato dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, quando ci fu un tentativo di creare la regione del Mar Baltico-Mar Nero – un “cordone sanitario” formato dai tre stati baltici, dalla Bielorussia e dall’Ucraina, per separare la Russia dall’Occidente”.
Non deve sorprendere, dunque, che l’Unione Europea abbia deciso di schierarsi con l’opposizione e di non riconoscere l’esito delle ultime elezioni presidenziali, che hanno consegnato un nuovo mandato a Lukašėnka. I partiti del parlamento europeo hanno pubblicato lunedì una dichiarazione ufficiale nella quale prendono le parti della leader dell’opposizione, Svjatlana Cichanoŭskaja, indicata come vincitrice da non meglio specificati “rapporti credibili”. Inoltre, i parlamentari europei hanno parlato di sanzioni nei confronti della Bielorussia, “cessando immediatamente qualsiasi sostegno finanziario al governo e ai progetti controllati dallo stato” e “ rafforzando l’assistenza alla società civile bielorussa […] per aiutare le persone represse in Bielorussia e le loro famiglie”, un sottile modo per dire che l’UE è pronta a finanziare le attività dell’opposizione. Quella stessa opposizione che nelle proprie manifestazioni utilizza la bandiera bianco-rossa, già simbolo degli antisovietici tra il 1918 ed il 1919 e dei collaborazionisti coi nazisti nel corso della seconda guerra mondiale.
La volontà di ingerenza nelle questioni interne bielorusse da parte del parlamento europeo diventa ancora più evidente nei capoversi successivi: “Chiediamo all’UE di sostenere una transizione pacifica del potere e di impegnarsi in un dialogo con l’opposizione bielorussa e la società civile al fine di avviare un nuovo processo elettorale, sotto la supervisione di una nuova commissione elettorale, un organo che può essere fiducia da tutte le parti. È diritto del popolo bielorusso eleggere i propri rappresentanti politici“. Dopo tali dichiarazioni, ha quasi del ridicolo leggere subito dopo che la Russia deve “astenersi da qualsiasi interferenza, occulta o palese, in Bielorussia dopo le elezioni“. Naturalmente, le uniche interferenze ammesse a giudizio di costoro sono quelle dell’UE, della NATO e degli Stati Uniti.
La proposta di nuove elezioni è stata naturalmente respinta dal presidente Lukašėnka, che però ha promesso di essere pronto a ridistribuire il potere attraverso un processo costituzionale: “Serve una nuova costituzione. Mi sono state proposte due varianti, ma le ho rifiutate entrambe, perché differiscono a malapena da quella attuale. Sono in corso i lavori sulla terza variante. Venite, sediamoci a lavorare sulla costituzione e sottoponiamola a un referendum”. Il leader del governo di Minsk ha poi aggiunto che solamente in seguito all’approvazione della nuova costituzione potranno tenersi nuove elezioni in conformità con la stessa. Il sessantacinquenne Lukašėnka, in carica dal 1994, ha anche affermato che la nuova costituzione dovrà prevedere una redistribuzione dei poteri, e che potrebbe persino lasciare la carica presidenziale “tra uno o due anni”.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Giulio Chinappi – World Politics Blog