A sei anni dall’offensiva “Margine protettivo” contro Gaza costata la vita a ad almeno 2300 palestinesi (i morti israeliani furono alcune decine, in gran parte militari) Israele è pronto a lanciare un’offensiva militare ampia e distruttiva contro Gaza. L’avvertimento lanciato giovedì dal ministro della difesa Gantz, durante un incontro con il capo di stato maggiore Aviv Kochavi, è stato seguito dall’invio di rinforzi di uomini e mezzi inviati ai reparti dell’esercito schierati nel sud del paese. Il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza, si è detto pronto alla guerra e il Comando congiunto palestinese ha diffuso un comunicato in cui afferma che non farà passi indietro.
Mentre segnano il passo due mediazioni separate – intraprese dall’Egitto e dal Qatar – un analista vicino a Hamas, Mustafa al-Sawaf, ha spiegato all’ANSA che “negli ultimi mesi è andata crescendo la pressione sia a causa del rafforzamento del blocco israeliano alla Striscia sia per le conseguenze del coronavirus”. “La situazione – ha avvertito – è divenuta esplosiva”.
Dietro a questa recrudescenza di violenze c’è anche il degrado della situazione economica. Secondo i media Hamas chiede ad Israele permessi di ingresso per migliaia di manovali, maggiori forniture di corrente elettrica, una estensione delle zone di pesca, facilitazioni al transito di merci e persone ai valichi. Al Qatar chiede in parallelo una estensione degli aiuti umanitari. “Ma gli israeliani – ha accusato al-Sawaf – hanno fatto fallire la mediazione egiziana. Il nostro obiettivo è l’abolizione del blocco alla Striscia”. Venerdì, al termine di una consultazione del Comando congiunto delle fazioni armate di Gaza, è stato emesso un comunicato in cui si accusa Israele di reagire in maniera sproporzionata con raid aerei “a lanci di palloncini”. I dirigenti di Gaza, secondo al-Sawaf, non sono interessati ad uno scontro frontale con Israele. Ma Israele, ha aggiunto, deve tenere presente che “le nostre capacità militari sono molto cresciute. Non sono più quelle di una volta”.
Mesi di trattative e contatti dietro le quinte, mediati dall’Egitto, tra Israele e Hamas non hanno portato a nulla. Resta inalterata la condizione insopportabile degli oltre due milioni di palestinesi che vivono nei 400 kmq della “prigione a cielo aperto” di Gaza. Di giorno l’erogazione della corrente elettrica è ridotta a tre ore, perché il combustibile dell’unica centrale si è esaurito dopo la decisione delle autorità israeliane di bloccare l’ingresso a Gaza del gasolio