di Richard D. Wolff

Un punto di vista interessante non solo sulla Cina, ma anche sull’URSS e sull’Europa.

Richard D. Wolff è professore emerito di economia presso l’Università del Massachusetts, Amherst, e docente ospite del Graduate Program in International Affairs della New School University, a New York. Il programma settimanale di Wolff, ‘Economic Update’, è trasmesso da più di 300 stazioni radiofoniche e raggiunge 55 milioni di spettatori televisivi via Free Speech TV. I suoi due recenti libri con Democracy at Work sono ‘Understanding Marxism’ e ‘Understanding Socialism’, entrambi disponibili presso democracyatwork.info.

Questo articolo è stato prodotto da Economy for All, un progetto dell’Independent Media Institute.

Verso la fine della sua vita Lenin tenne un discorso che si riferiva all’URSS come a una società di transizione. Egli spiegò che i socialisti avevano assunto il potere e potevano perciò portare più avanti l’economia post-rivoluzionaria, che egli definiva “capitalismo di stato”. Non espose mai dettagliatamente che cosa intendesse, ma egli chiaramente considerava la transizione un obiettivo della rivoluzione. In ogni caso, le condizioni interne ed esterne all’URSS in effetti bloccarono una transizione ulteriore. L’URSS di Stalin finì per definire il socialismo come potere statale in mani socialiste controllanti un’economia che combinava imprese private e statali con meccanismi di distribuzione di mercato e pianificati statalmente.  Il capitalismo di stato concepito in origine come uno stadio transitorio sulla via di un socialismo differente dal capitalismo di stato e oltre esso finì invece per definire il socialismo. La transizione era arrivata alla fine.

Il “differente e oltre” svanì in un obiettivo vago situato in un futuro lontano. Era un “comunismo” descritto da slogan quali “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Dava il nome a un partito con il comunismo come suo obiettivo, ma con il socialismo come sua realtà presente.

Il marchio distintivo del capitalismo, ciò che lo distingueva dal feudalesimo (signore/servo) e dallo schiavismo (padrone/schiavo) era la relazione imprenditore/dipendente che ne strutturava le imprese. Nell’URSS di Stalin e successivamente, la relazione imprenditore/dipendente era divenuta invece un presupposto comune necessario e indiscusso di qualsiasi economia “moderna”, sia capitalista sia socialista (un po’ come i macchinari e le materie prime). Quella visione stalinista dell’universalità della relazione imprenditore/dipendente era anche la visione di tutte le maggiori correnti del pensiero economico nel mondo capitalista fuori dall’URSS.

Il Partito Comunista Cinese ha largamente replicato la storia dell’URSS in termini di costruzione di un capitalismo di stato controllato dal partito e dal governo che esso controlla. Una differenza chiave rispetto all’URSS è stata la capacità della Cina di coinvolgersi nel mercato mondiali in modi e gradi che non sono mai stati possibili all’URSS. La Cina ha anche consentito una componente di imprese private, straniere e nazionali, accanto a imprese di proprietà statale e gestite dallo stato maggiore di quanto aveva fatto l’URSS. Tuttavia la Cina oggi, come l’URSS un secolo fa, affronta lo stesso problema della transizione: la transizione a una società postcapitalista è finita in stallo.

In Cina, almeno dagli anni Settanta, il Partito Comunista e il governo che esso controlla hanno gestito imprese statali e imprese private controllate dallo stato. Entrambi i generi di impresa hanno mostrato la stessa struttura imprenditore/dipendente. Il capitalismo di stato cinese è una gerarchia con il partito e il governo al vertice, imprenditori statali e privati al di sotto, e la massa di dipendenti che costituisce il livello più basso. Il capitalismo privato occidentale ha una gerarchia leggermente differente: imprenditori privati al vertice, partiti e governo sotto di loro e la massa dei dipendenti che costituisce il livello più basso.

L’economia della Cina è cresciuta, o si è “sviluppata”, più velocemente nel corso di decenni recenti e oggi compete con le economie degli Stati Uniti e della UE. La Cina è stata preparata meglio e ha contenuto meglio i danni derivanti dalla crisi delle società “punto.com” del 2000, dalla Grande Recessione del 2008-09 e dalla crisi del COVID-19 del 2020. Il partito e il governo in Cina hanno mobilitato risorse private e pubbliche a concentrarsi su problemi sociali cui è stata data priorità che hanno incluso anche una ridotta dipendenza dalle esportazioni e una massiccia espansione infrastrutturale.

Il partito e il governo della Cina hanno prodotto una vasta forza lavoro bene istruito che lavora per imprese private e statali, straniere e nazionali. Il sostegno popolare all’esistente sistema economico della Cina pare diffuso nonostante considerevoli critiche e una certa opposizione. La crescente produttività del lavoro ha prodotto un aumento dei salari reali (che crescono anch’essi molto più velocemente che in occidente). Nel corso di questi anni nessun soldato cinese ha combattuto in una qualsiasi guerra all’estero. Casa, istruzione, assistenza sanitaria e trasporti hanno ricevuto grandi investimenti; lo loro offerta è spesso cresciuta in anticipo rispetto alla domanda cinese di essi.

Una lezione chiave dello sviluppo cinese è che gli obiettivi economici sono conseguiti meglio e più rapidamente se un agente sociale dominante stabilisce la priorità di conseguirli e può mobilitare il massimo di risorse, private e pubbliche, a tal fine. Il partito e il governo cinesi sono stati quell’agente.

Nel capitalismo occidentale nessun agente sociale paragonabile ha posseduto tale potere. I settori privato e pubblico sono rimasti separati. Ideologia e politica hanno in generale mantenuto il pubblico subordinato al privato. I differenti interessi particolari e gli obiettivi di profitto degli imprenditori privati hanno scoraggiato molti generi di comportamento coordinato tra loro così come hanno fatto le strutture di competizione del loro sistema. Gli apparati di partito e dello stato sono dipesi da donazioni delle imprese e da sostegno dei media industriali. Così, nel capitalismo occidentale nessun agente sociale ha svolto il ruolo di mobilitazione delle risorse nazionali che partito e governo hanno svolto in Cina.

Alcuni paesi capitalisti occidentali hanno sposato la socialdemocrazia (come in gran parte dell’Europa occidentale). Là lo stato ha offerto importanti sostegni sociali (assicurazione sanitaria nazionale, scuole sussidiate, trasporti, case, eccetera) che hanno consentito alcune risorse nazionali mobilitate dallo stato per priorità sociali. Quanto meno paesi capitalisti hanno abbracciato la socialdemocrazia – i più dediti all’ideologia del laissez-faire e la dominio del settore privato  – tanto meno hanno potuto mobilitare risorse nazionali. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono esempi primari di tali paesi; di qui i loro scarsi preparativi per il contenimento della pandemia del COVID-19 e per il crollo capitalista del 2020.

Una seconda lezione che la Cina offre al mondo riguarda la relazione tra la struttura fondamentale che le sue imprese pubbliche e private condividono e la natura del suo socialismo. Quasi tutte le imprese in Cina hanno una struttura interna di imprenditore/dipendente; differiscono in chi è l’imprenditore. Nelle imprese statali e gestite dallo stato dirigenti statali occupano la posizione dell’imprenditore. Nelle imprese private gli imprenditori sono cittadini privati; non occupano alcuna posizione in seno all’apparato statale.

Il sistema economico cinese differisce fortemente dal sistema capitalista occidentale. Innanzitutto ha un più vasto settore di imprese statali e gestite dallo stato rispetto a quanto mostrano i capitalismi occidentali. In secondo luogo accorda un ruolo politico e sociale dominante al partito e al governo. Questi ultimi insieme dirigono lo sviluppo economico e coordinano il modo in cui economia, politica e cultura interagiscono per conseguire i suoi obiettivi.

Il sistema economico cinese non è, anche, chiaramente un comunismo nel senso di aver superato la struttura o il modo di produzione imprenditore/dipendente. Nella misura in cui tale superamento si è verificato un tempo durante l’era delle comuni nei primi tempi della storia della Repubblica Popolare Cinese, è prevalentemente scomparso. Le strutture imprenditore/dipendente delle imprese sono oggi la norma cinese. La Cina non è postcapitalista. La Cina è, come lo fu l’URSS, socialista nel senso di un capitalismo di stato la cui ulteriore transizione al postcapitalismo è stata bloccata.

C’è un modo alternativo di ricavare una seconda lezione dalla considerevole storia della Cina nell’ultimo mezzo secolo. Potremmo dedurre che per socialismo con caratteristiche cinesi, la Cina intenda il proprio sistema di un partito e di uno stato socialmente dominanti che dirigono una combinazione di imprese private e statali, entrambe organizzate secondo la struttura tipicamente capitalista di imprenditore e dipendente. I “socialismi” dell’Europa occidentale (Scandinavia, Germania, Italia, eccetera) rientrerebbero anch’essi, come la Cina, da qualche parte nella transizione bloccata dal capitalismo al postcapitalismo. Nonostante le politiche diverse e il sistema pluripartitico dell’Europa, la maggior parte dei suoi partiti accetta e rafforza un impegno a un genere di capitalismo di stato.

I socialismo dell’URSS, della Cina e dell’Europa occidentale sono stati e sono transitori. Incarnano tutti un processo che è finito bloccato o sospeso sulla via di una società postcapitalista a malapena immaginata. “I socialismi concretamente esistenti” sono stati in effetti capitalismi di stato governati, più o meno, da persone e associazioni che volevano andare da qualche parte oltre, verso una società molto diversa dal capitalismo. Di qui il divario avvertito profondamente da molti socialisti e organizzazioni socialiste (partiti, eccetera) tra ciò che motiva il loro impegno (ideali socialisti) e ciò che possono e devono fare nelle loro vite pratiche.

La Guerra Fredda condotta contro l’URSS si aggiunse alle pressioni che impedirono alla transizione di andare oltre il capitalismo di stato. Un guerra fredda oggi contro la Cina farà lo stesso. Anche senza guerre fredde, pressioni interne nell’URSS e in Cina sono state probabilmente sufficienti allora e sono sufficienti oggi a sospendere qualsiasi transizione oltre il capitalismo di stato. E lo stesso vale per i socialismi di tipo europeo occidentale. Il solo modo in cui la transizione può essere ripresa sarebbe se qualche forza in seno ai capitalismi privati e/o statali emergesse a definire il proprio progetto precisamente come tale ripresa.

Il capitalismo globale mostra oggi difficoltà storiche: chiusure pandemiche, depressioni globali (nel 2008 e peggio nel 2020), disuguaglianze estreme e in aggravamento in seno alle nazioni, governi insostenibili, debiti delle imprese e delle famiglie e crollo del coordinamento tra blocchi (Stati Uniti, Cina, UE, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, eccetera). Problemi sociali a lungo differiti (riscaldamento globale, razzismo, migrazioni della forza lavoro e disuguaglianze di genere) stanno esplodendo come effetti parziali e parziali cause ulteriori di tali difficoltà. Dovunque, movimenti sociali stanno emergendo o lottando per emergere in reazione alle difficoltà e ai problemi che assediano le società moderne.

Tutti quei movimenti condividono il problema di definire esattamente che cosa faranno per risolvere il problema che li motiva. Molti considereranno ancora una volta il governo come la soluzione. Il loro programma assegnerà allo stato più potere di sovrintendere, disciplinare, controllare e spendere per la soluzione. Quelle persone possono o no definire “socialismo” le loro idee. In un modo o nell’altro le loro proposte promuovono o sostengono un’altra transizione bloccata: da un capitalismo privato a uno di stato o da un grado minore a uno maggiore di capitalismo di stato.

Nell’ultimo secolo molti attirati dal socialismo sono giunti a comprendere che le transizioni bloccate non sono state e non sono sufficienti per risolvere i problemi creati dal capitalismo moderno. Quelle persone possono ora diventare la nuova forza sociale per sbloccare la transizione socialista. Dal basso possono esigere la fine della struttura imprenditore/dipendente delle imprese, pubbliche e private.

Tale fine contribuirà a definire la nuova società verso la quale un transizione socialista sbloccata può e deve ora procedere. Tale società sarà postcapitalista: diversa e oltre tutto il socialismo concretamente esistente. Avrà cacciato la struttura imprenditore/dipendente delle imprese a favore della struttura democratica della cooperativa di lavoratori.

Nel tardo diciottesimo secolo le rivoluzioni francese e americana segnarono la transizione dal feudalesimo al capitalismo. I leader di quelle rivoluzioni ritenevano che avrebbero dato vita a una nuova società caratterizzata da libertà, uguaglianza, fraternità e democrazia. Ma anche quella transizione finì in stallo: realizzò il cambiamento da signore/servo a imprenditore/dipendente ma non realizzò gli ulteriori cambiamenti verso quella nuova società desiderata. Il socialismo ha prevalentemente rappresentato la prosecuzione di quella spinta a quegli ulteriori cambiamenti.

Ma anche i socialismi di URSS, Cina ed Europa occidentale sono finiti in stallo. I loro promotori e leader avevano creduto che una transizione dal capitalismo privato a quello statale avrebbe realizzato quegli ulteriori cambiamenti che il capitalismo non aveva mai realizzato. Le lezioni dei socialismi sovietico e cinese offrono una profonda critica del socialismo in stallo, il loro e quello altrui. Il completamento del passaggio dal capitalismo e oltre il socialismo come stadio transitorio richiede una rivoluzione economico di livello micro. La relazione dicotomica imprenditore/dipendente in seno alle imprese deve cedere il passo a una comunità democraticamente organizzata di lavoratori che si impiegano collettivamente e dirigono l’impresa. Tale fondamento economico – ciò che il comunismo significa concretamente – ci offre una possibilità di realizzare gli obiettivi di libertà, uguaglianza, fraternità e democrazia migliore di quanto capitalismo o socialismo abbiano mai saputo.

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Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

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Originale: https://braveneweurope.com/richard-d-wolff-socialist-or-capitalist-what-is-chinas-model-exactly

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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