Abbiamo già avuto modo in altre occasioni di denunciare le attività illegali del governo golpista che ha preso il potere in Bolivia dallo scorso novembre, con la proclamazione di Jeanine Áñez come nuovo capo di stato al posto del legittimo presidente Evo Morales. Il governo golpista si è infatti macchiato di innumerevoli nefandezze, come le malcelate discriminazioni nei confronti delle popolazioni indigene, una pessima gestione dell’emergenza sanitaria ed il continuo rinvio delle elezioni per evitare a tutti i costi un ritorno al potere del MAS-IPSP (Movimiento al Socialismo – Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos), il partito di Morales.
Questa volta, ad intervenire sulla questione boliviana è stato addirittura l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che, nella giornata di martedì 25 agosto, ha diffuso un rapporto che mette in evidenza le violazioni perpetrate dai golpisti tra il 20 ottobre ed il 25 novembre, proprio nei giorni decisivi per la destituzione di Morales e l’ascesa al potere di Áñez. Il personale delle Nazioni Unite in Bolivia ha collezionato più di 150 interviste con vittime, testimoni, rappresentanti della società civile e autorità, prima di pubblicare il suddetto rapporto.
Le violazioni documentate dei diritti umani includono omicidi, torture, maltrattamenti e detenzioni arbitrarie, in un contesto in cui oltre trenta persone sono morte e decine di altre sono rimaste ferite durante le proteste tra il 20 ottobre e il 25 novembre, e almeno venti di queste morti sono avvenute per mano della polizia o delle forze armate, che hanno favorito la vittoria dei golpisti, intimando al presidente Morales di lasciare il potere e di abbandonare il Paese. Tra gli incidenti più gravi vi sono l’omicidio di nove persone durante le manifestazioni a Sacaba (Cochabamba), in un’area storicamente favorevole al partito di Morales, e di dieci manifestanti a Senkata (El Alto-La Paz), su cui l’ONU ha lamentato l’impunità dei loro autori.
Nella stessa giornata, i parenti delle vittime di Sacaba e Senkata hanno organizzato una veglia di protesta davanti al Ministero della Giustizia, chiedendo aiuti umanitari alle famiglie delle vittime e l’identificazione degli autori degli omicidi. Il rappresentante dei parenti delle vittime, David Inca, ha denunciato che il governo golpista “non ha fatto nulla in questi nove mesi per identificare gli autori delle stragi“. “Come popolo abbiamo il diritto alla memoria, non possiamo dimenticare che i nostri fratelli e sorelle sono stati violentemente repressi dalla polizia e dai militari complici del colpo di stato“, ha aggiunto.
Anche la Central Obrera Boliviana (COB), il principale sindacato del Paese sudamericano, ha denunciato forme di persecuzione politica contro sindacati e movimenti sociali, in particolare nel corso delle proteste contro il rinvio delle elezioni generali. Il segretario esecutivo della Federazione dei Minatori, Orlando Gutiérrez, ha affermato che il governo de facto porta avanti una persecuzione politica “volendo intimidire, volendo mettere a tacere la voce del popolo, la voce dei leader“. I sindacati hanno annunciato che presenteranno una denuncia internazionale per la persecuzione dei loro leader e hanno avvertito che adotteranno anche misure interne per difendere la giurisdizione sindacale, tutelata dalla Costituzione boliviana.
Le organizzazioni sindacali, le associazioni ed i partiti che si oppongono al governo golpista hanno comunque rinnovato il proprio appello per lo svolgimento delle elezioni generali il prossimo 18 ottobre, dopo che queste sono state rinviate più volte con il pretesto dell’epidemia da Covid-19. All’appello si è unita anche la Federazione delle associazioni municipali della Bolivia (FAM Bolivia), il cui presidente, Álvaro Ruiz, ha sottolineato che lo svolgimento delle votazioni e l’elezione attraverso le urne di un governo legittimo è l’unico modo per uscire dall’attuale situazione nazionale, segnata dalla crisi politica, economica e sanitaria.
Al contrario, l’unico sostegno all’attuale governo golpista di destra è arrivato dalla Chiesa Cattolica, ed in particolare dal presidente della Conferenza episcopale del Paese, monsignor Ricardo Centellas. Costui ha affermato che “mentre il numero dei contagiati in Bolivia aumenta, non è consigliabile tenere le elezioni“, e che non ci sarebbero le garanzie per lo svolgimento di elezioni trasparenti. Secondo molti indizi, i comitati civici cattolici hanno sostenuto il colpo di stato ed appoggiano il governo golpista al fine di escludere i candidati del MAS-IPSP dalle prossime elezioni, spingendo per il rinvio delle stesse al 2021.
Come noto, infatti, tutti i sondaggi continuano ad attribuire la vittoria al candidato del MAS-IPSP, Luis Arce, dimostrando che il popolo boliviano respinge il governo golpista ed è intenzionato a rinnovare la propria fiducia nel Movimiento al Socialismo, nonostante la campagna di denigrazione portata avanti dalla destra. Secondo i sondaggi più recenti, al secondo turno delle elezioni presidenziali andrebbero Arce e Carlos Mesa, un altro candidato di sinistra, mentre la presidente golpista Jeanine Áñez non andrebbe oltre il 12% delle preferenze.
Secondo Arce, il MAS-IPSP è oggi “l’unico partito politico che può garantire stabilità sociale, stabilità politica e stabilità economica“. “L’abbiamo già fatto e lo rifaremo“, ha detto Arce, aggiungendo che il modello economico applicato dal suo partito ha dimostrato la sua efficacia: “Ci ha dato grandi soddisfazioni nei quattordici anni in cui è stato in funzione“. “La Bolivia sta attraversando tempi molto difficili a causa della crisi sanitaria, economica e sociale. Il governo di fatto non promulga le leggi approvate a beneficio del popolo“, ha concluso, denunciando a sua volta la persecuzione politica scatenata contro i leader del MAS dall’attuale governo.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog