Il Partito democratico di Nicola Zingaretti sulla questione del referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari ha assunto sin dall’inizio una posizione debolissima, tanto sul piano tattico quanto su quello strategico, che rischia di avere effetti disastrosi sula qualità della democrazia italiana, oltre che sul partito stesso.
di Adriano Manna
Il quesito referendario si basa su di un presupposto figlio della peggior demagogia della destra regressiva: i costi per il funzionamento delle istituzioni democratiche sono costi come altri, è augurabile ridurli al minimo in nome della lotta agli sprechi. Una posizione devastante, frutto di una visione dell’antipolitica che dipinge il rappresentante automaticamente come appartenente ad una non meglio specificata “casta”, la cui riduzione numerica sarebbe pertanto augurabile.
Poco importa che una riduzione del numero dei parlamentari, che così come definita dalla riforma costituzionale oggetto del prossimo referendum, renderebbe l’Italia uno dei paesi europei col più basso numero di parlamentari in rapporto alla popolazione (oggi è appena leggermente sopra la media dei paesi Ue dotati di due camere legislative) finendo per “blindare” l’attuale classe politica e rendendo sempre più difficoltosa la comparsa di nuove forze politiche che si troverebbero la strada alle istituzioni sbarrata da una soglia elettorale “tecnica” sempre più alta.
La posizione del Partito democratico è sempre stata quella di vincolare il sì al referendum ad una riforma elettorale in senso proporzionale, che garantisse quindi la rappresentatività pur in presenza di un parlamento “più snello”. Una posizione ridicola, che mette sullo stesso piano la riforma della Costituzione con una legge ordinaria (qual’è la legge elettorale), che come tale sarebbe in qualsiasi momento nuovamente modificabile da una maggioranza parlamentare semplice.
Una posizione folle, che risulta ancor più insulsa alla luce del fatto che l’iter della riforma elettorale, ad oggi, è ben impantanato in Commissione, ed è veramente difficile pensare che questa possa essere approvata prima del quesito referendario.
Un pasticcio a cui si sta ribellando buona parte della base dello stesso Partito democratico (più alcuni “big” del Partito) ma che lascia trapelare un problema di fondo che riveste la dimensione culturale di un partito che non riesce neanche più a svolgere una seppur minima funzione di tenuta delle istituzioni democratiche.
La debolezza del profilo politico dei democratici è tutta qui: l’assenza di una strategia compensata da una dimensione tattica degna di un mediocre giocatore di Risiko, che sposta con avventatezza i suoi carri armati di plastica ignorando il fatto che tutti gli altri avversari hanno tris di carte pronti ad esser calati al momento opportuno.
Molto probabilmente si arriverà in tempo per il referendum all’approvazione in prima lettura della revisione dei regolamenti parlamentari, aspetto tecnico comunque dovuto dal momento che gli attuali regolamenti non sarebbero applicabili con una diminuzione del numero dei parlamentari, ma che non sposta di una virgola il tema della crisi della rappresentanza politica generata da questa riforma.
Intanto fuori c’è il mondo della sinistra italiana ormai orfana di qualsivoglia riferimento culturale e politico, senza più una casa, senza alcuna guida, che assiste sbigottita all’ennesimo disastro di un partito che ribadisce quotidianamente il suo non voler essere riferimento di una storia che ormai non le appartiene più tanto sotto il punto di vista sociale quanto nella più ampia dimensione antropologica.
La battaglia per il No al referendum diviene quindi scontro ad armi impari, che la società civile (questa volta definizione pertinente) della sinistra dovrà combattere senza strumenti a disposizione, cercando alleati anche negli ambienti liberali e della destra moderata che pure vedono il rischio di una ulteriore oligarchizzazione della vita politica italiana.
L’ultimo passaggio politico per i democratici sarà la direzione nazionale del partito che si terrà la prossima settimana, chiamata a sciogliere definitivamente il nodo della posizione del Pd sul referendum. Quando mancheranno meno di tre settimane al voto la speranza, quanto mai flebile, è che quello sia il luogo per un sussulto di dignità di un partito che sta barattando la qualità della rappresentanza democratica del paese con la saldatura tattica con il M5S in vista delle elezioni. Uno scempio inenarrabile di cui, prima o poi, si spera che qualcuno debba assumersene la responsabilità