di Paolo Desogus*
Il fronte del no ha opposto numerose ragioni contro la riforma del taglio dei parlamentari. La maggior parte di esse si basa sulla confutazione e la demistificazione delle motivazioni dell’avversario.
Poco spazio – tropo poco – mi pare invece venga dato alle ragioni costruttive e di prospettiva a sostegno del no. Non è difficile dimostrare che è falso che l’Italia abbia troppi rappresentanti rispetto agli altri paesi occidentali; così come non occorrono troppi giri di parole per giustificare i costi della della democrazia.
Tuttavia molti di questi ragionamenti non passano, sono ostacolati da un muro ostinato, “un muro di gomma” verrebbe da dire.
A me pare che questa incapacità di far breccia sia dovuta a una sottovalutazione delle ragioni che animano il fronte del sì. Si tratta di ragioni non immediatamente visibili, che riguardano l’effettivo malfunzionamento della democrazia rappresentativa in Italia.
Su questo punto non dobbiamo raccontarci bugie: da molti anni a questa parte, per ragioni storiche e culturali a noi note, la mediazione parlamentare non funziona bene.
Una parte consistente del paese non si riconosce nelle istituzioni che dovrebbero rappresentare le sue istanze. Ed è per questo decisa a votare sì come gesto punitivo, come rifiuto estremo e disperato dell’attuale democrazia rappresentativa.
Chi come me è deciso a votare no non può allora limitarsi a smontare la retorica ufficiale del fronte del sì. Non basta far leggere le tabelle che dimostrano quanto sia falsa l’idea che in Italia ci siano troppi parlamentari. Allo stesso modo non possiamo limitarci a dire che la democrazia ha dei costi e che anzi, una buona democrazia funziona quando il paese investe risorse materiali per il suo funzionamento. Tutte queste nostre argomentazioni sono vere ma non sono sufficienti. Dietro alle ragioni ufficiali del sì si nasconde un malessere vero, autentico, che a ben vedere ha poco a che fare con i costi della politica e che possiamo veramente superare se siamo in grado di dare una prospettiva politica al nostro no.
Oltre alla confutazione, alla decostruzione della retorica del sì, occorre aggiungere qualcos’altro, qualcosa di costruttivo: ovvero l’impegno a fare del salvataggio formale delle istituzioni democratiche l’occasione per un loro rinnovamento sostanziale. Il Parlamento non solo deve continuare ad esistere ed essere esteso come i padri costituenti lo hanno immaginato, ma deve essere anche messo nelle condizioni di lavorare a pieno regime.
Il nostro no deve essere allora anche un no alla decretazione selvaggia, un no alla riduzione dei partiti politici a comitati elettorali, un no alle nomine dei candidati senza preferenze o comunque senza un reale confronto con il territorio. Deve essere un no alla riforma, ma anche a tutto ciò che ha impedito al Parlamento di funzionare al meglio. Il nostro no deve essere insomma un sì al rinnovamento della democrazia per reintegrare nella vita democratica quella parte del paese che è rimasta esclusa o che è in balia della demagogia.
Se riusciremo nell’impresa di dare prospettiva politica al no, avremo qualche reale chance di vincere.
*Professore alla Sorbona di Parigi