Nel 1952, l’ingresso congiunto di Grecia e Turchia nella NATO venne considerato come una garanzia per il mantenimento della stabilità nel Mediterraneo orientale, oltre che una mossa per spingere verso est i confini dell’Alleanza Atlantica. La Grecia confinava infatti con l’Albania, la Bulgaria e la Repubblica Popolare di Macedonia, facente parte della Jugoslavia, mentre con l’ammissione della Turchia la NATO arrivava a spingersi fino alle porte dell’Unione Sovietica nel Caucaso.

Oggi, sotto la guida di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia è divenuta un membro della NATO sui generis, che da molti punti di vista desta più preoccupazioni rispetto ai nemici dichiarati dell’atlantismo. Ankara, sulla carta, resta un alleato, ma le sue mosse lasciano intendere ben altro: il protagonismo turco nei conflitti in Siria e Libia, oltre alle mosse della marina di quel Paese nel Mar Egeo, ai danni soprattutto della Grecia, sono la manifestazione dell’insofferenza di Erdoğan rispetto alle catene della NATO, che vorrebbero la Turchia come fedele servitore pronto ad intervenire solamente sotto la spinta di Washington.

Al contrario, Erdoğan è intenzionato ad affermare il ruolo di potenza imperialista regionale della Turchia, e questo lo sta portando inevitabilmente ad entrare in contrasto con Paesi teoricamente alleati, come la stessa Grecia. Diciamo teoricamente, perché tra greci è turchi in realtà non è mai corso ben sangue, ma negli ultimi settant’anni i due Paesi avevano quanto meno evitato gli scontri frontali, se non in occasione dell’invasione turca di Cipro nel 1974, sebbene una situazione critica si sia verificata già nel 1996, quando il presidente statunitense Bill Clinton fu costretto ad intervenire per evitare il conflitto. Un eventuale scontro bellico tra due stati membri della NATO, poi, potrebbe definitivamente porre fine al progetto atlantista, retaggio anacronistico della guerra fredda e già dichiarato in fase di “morte cerebrale” dal presidente francese Emmanuel Macron.

Le dichiarazioni di Erdoğan non lasciano planare dubbi sulle intenzioni della Turchia di portare avanti il proprio progetto espansionista nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale, anche di fronte alle proteste dei presunti alleati. Le iniziative militari congiunte in quell’area geografica, alle quali, oltre all’Italia, ha preso parte un Paese dal peso specifico militare e geopolitico importante come la Francia, non hanno scoraggiato il presidente turco, che ha dichiarato che il suo governo non farà “alcuna concessione” sui propri interessi e “diritti nel Mediterraneo, nell’Egeo e nel Mar Nero“. Ha anche aggiunto che “per questo, siamo determinati a fare tutto ciò che è necessario in ambito politico, economico e militare“.

A rincarare la dose ci ha pensato il ministro della difesa nazionale di Ankara, Hulusi Akar, che, se da un lato ha affermato che “la strada per una soluzione nella regione del Mediterraneo orientale passa attraverso il dialogo e il negoziato“, ha anche puntato il dito contro “la mentalità greca che ignora la Turchia e la Repubblica Turca di Cipro del Nord“, uno stato, quest’ultimo, non riconosciuto dalla comunità internazionale.

L’escalation delle ultime settimane ha ulteriormente aggravato una situazione di tensione tra Grecia e Turchia che già andava avanti da mesi. La Grecia resta inamovibile sulla propria posizione, affermando il diritto di rivendicare per tutte le sue isole una “zona economica esclusiva“, escludendo di conseguenza la Turchia dall’accesso a vaste aree marittime lungo le coste dell’Anatolia, in particolare nella regione di Antalya. Ad acuire il conflitto vi sono poi state le recenti scoperte di giacimenti di gas naturale nella regione, e l’accordo stipulato tra Grecia, Cipro, Egitto e Israele per lo sfruttamento di queste risorse, escludendo invece Ankara.

Nel mese di luglio, la Turchia ha annunciato che avrebbe intrapreso esplorazioni nelle acque al largo di Kastellorizo, una delle isole greche più orientali e più piccole, avendo una superficie di appena dodici chilometri quadrati ed una popolazione che non supera i cinquecento abitanti. Il 6 agosto, la Grecia e l’Egitto hanno annunciato la firma di un accordo per la determinazione dei confini marittimi tra i due Paesi, ratificato successivamente dai due parlamenti nazionali. Il trattato bilaterale greco-egiziano non prende in considerazione le rivendicazioni turche, ed ha naturalmente provocato la reazione del governo di Erdoğan, che però aveva precedentemente stipulato un accordo simile con la Libia, ignorando invece la posizione di Atene.

Il 10 agosto, di conseguenza, la Turchia ha ripreso le esplorazioni a largo di Kastellorizo e, secondo alcune indiscrezioni, ciò avrebbe provocato uno scontro tra una fregata greca ed una turca, probabilmente la fregata Kemal Reis, di costruzione tedesca. Il 14 luglio, i ministri degli esteri dell’UE hanno chiesto esplicitamente la “riduzione dell’escalation” tra Atene e Ankara. La Grecia ha ottenuto sostegno soprattutto da parte di Italia e Francia, che infatti hanno preso parte alle esercitazioni militari congiunte insieme alle marine greca e cipriota, mentre la Germania ha assunto una posizione di equidistanza tra le parti. Il ministro degli esteri di Berlino, Heiko Mass, si è limitato ad esortare entrambe le parti ad astenersi rigorosamente dalle provocazioni, mentre il governo greco ha chiesto a gran voce l’inasprimento delle sanzioni dell’UE contro la Turchia.

Il conflitto greco-turco, per ora non ancora sfociato in una guerra, sta mettendo dunque in evidenza non solo le contraddizioni interne alla NATO, ma anche quelle presenti nell’UE, dove gli stati membri non sono concordi sull’atteggiamento da assumere nei confronti di Ankara. La Germania, che ospita la più importante comunità turca in Europa, continua a considerare il governo di Erdoğan come un partner strategico, mentre la Francia ha decisamente preso le parti di Atene. Tuttavia, i tedeschi sembrano non prendere in considerazione il cambiamento radicale della politica turca imposto da Erdoğan, che non nasconde le proprie mire espansioniste, già ribattezzate con la formula di “neo-ottomanesimo”. Lo stesso presidente turco fa spesso riferimento ad aventi o personaggi dell’era ottomana per legittimare la propria politica estera, creando una vera e propria mitologia nazionale al fine di giustificare le proprie rivendicazioni espansioniste.

Da questo punto di vista, la Francia sembra invece aver compreso meglio i progetti a lungo termine del sultano turco, aumentando la propria presenza militare nel Mediterraneo orientale e sostenendo le posizioni di Grecia e Cipro (all’inizio di agosto è oltretutto entrato in vigore un accordo militare tra Francia e Cipro). Ovviamente anche Parigi e Roma hanno i propri interessi imperialisti da difendere, e non si muovo certo per questioni di principio, visto che le rispettive compagnie petrolifere, Eni e Total, hanno stipulato accordi con Atene e Nicosia per sfruttare le risorse di gas naturale dell’Egeo. Se la Turchia dovesse prenderne possesso, tali accordi non avrebbero più alcuna validità.

La disputa esistente nel Mediterraneo orientale si riduce dunque ad un classico scontro tra opposti interessi imperialisti; tuttavia, la politica aggressiva della Turchia, non solo nell’Egeo, ma anche negli scenari bellici in Siria e Libia, sta assumendo forme che mettono a repentaglio gli equilibri esistenti tra le potenze protagoniste, ed è dunque suscettibile di portare ad un vero e proprio conflitto armato tra le parti. Infine, la situazione attuale mette ulteriormente in risalto le debolezze e le contraddizioni esistenti all’interno della NATO e dell’Unione Europea.

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Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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