SECONDA PARTE
Come è possibile che un gruppo sparuto di individui riesca a dominare, a sovrastare miliardi di persone? L’1% si dice. In verità chi decide è lo 0,1%
Non sarebbero sufficienti le regalie di cui dispongono i maggiordomi, i valvassori e i valvassini che sono appunto coloro che in prima persona organizzano la gestione del vassallaggio. E non sarebbe neanche sufficiente la formazione di una classe media cui vengano concessi benefici per una sopravvivenza tranquilla (stipendi, casa, auto, servizi, abbigliamento, vacanze, ferie…).
E’ necessario perché la società abbia un minimo di compattezza che vi sia una convinzione, un mito direi, che una composizione stratificata che raggruppa, oltre le fasce privilegiate, una percentuale molto alta di sfruttati, di perdenti, di marginali ed un’area di esclusi ancora minoritaria ma in continua crescita per i naturali processi del capitalismo in versione neoliberista, abbia una logica necessitante, che una società così diversificata, con disuguaglianze abissali non possa altro che essere quella che è, dove i più forti, i più abili, i più intelligenti giustamente dispongano del potere supremo, e che secondo una gerarchia di competenze e di motivazioni si costituisca una stratificazione delle mansioni e del reddito. Gli esclusi, i poveri per dirla meglio, lo sono per leggi naturali, dato che lo sono per capacità inferiori nell’intelletto, nella morale, nell’indole: e se sono poveri non è certo opera del capitalismo, come a suo tempo lo sono stati nel feudalesimo, nel sovranismo orientale, nelle formazioni schiaviste.
Perché il Mito sia credibile, sia irresistibile, si rende indispensabile innanzitutto un corpus teorico e dottrinale di alto spessore concettuale formatosi già alle origini della rivoluzione industriale (David Ricardo, Adam Smith…) che abbia la sensibilità di giustificare il dominio del Capitale, di eternizzarlo come unica forma possibile di relazione produttiva con la natura e tra gli esseri umani, come l’unico modo di produzione possibile e realistico. I teorici che da Adam Smith fino a raggiungere ai giorni nostri il guru del neoliberismo Milton Friedman sono molti, di spessore, e anche di notevole capacità critica nei confronti delle logiche di mercato (Pareto, Schumpeter, Polanyi, Keynes…).
L’ideologia capitalista, del resto, perché possa affermarsi nelle università, nelle accademie, tra gli intellettuali, deve disporre di un corpus molto attrezzato perché possa sfidare Karl Marx e i teorici marxisti (tengo a precisare che sto trattando dell’ideologia capitalista e non dell’ideologia borghese che mi obbligherebbe a spaziare in altri campi che, pur dipendendo dall’ideologia capitalista, hanno le loro specificità di natura filosofica e letteraria…)
In guerra è prioritario distruggere le avanguardie, eliminare le postazioni di comando. Solo se si adempie adeguatamente a tale compito, risulterà più facile combattere e sconfiggere le truppe nemiche. Non siamo, in questa fase, in guerra guerreggiata, ma sempre in guerra siamo. Perché il Capitale può sopravvivere, grazie ai suoi maggiordomi e alla sua forza poliziesca, solo se è in continua guerra con il proletariato e con la popolazione tutta.
Con la vittoria sul nazifascismo, come accade in tutte le rivoluzioni, si ebbe un’esplosione di entusiasmo popolare prevedibile per il ritorno ad una vita non minacciata da rastrellamenti e da bombe. Si ebbe l’ingenua speranza che la giustizia e la pace sarebbero state finalmente la prospettiva di un domani migliore. Ma intanto il presente era desolante. Toccherà soprattutto al cinema disattendere i discorsi di evasione e di menzogna dei nuovi padroni democristiani.
Giulio Andreotti criticò altezzosamente il nuovo cinema italiano così pessimista, così deprimente. I suoi strali si rivolsero, in particolare, sul capolavoro di Vittorio de Sica, “Umberto D”, imperniato sulla vita grama, infelice di un pensionato. Come contromisura a “Ladri di biciclette”, a “Sciuscià…incoraggiò l’invasione del cinema statunitense, con i suoi grattacieli, con le sue dimore lussuose, con le automobili di lusso, con lo sfarzo barocco delle feste in saloni sontuosi. E quanto il “paradiso” yankee abbia inciso nell’immaginario italico viene messo in tutta evidenza da Alberto Sordi in “Un giorno in pretura” e in “Un americano a Roma”. Un “Paradiso” che ben figurava rispetto ai cartelloni raffiguranti cinici comunisti che torturavano, uccidevano, distruggevano.
Ma era anche l’epoca delle diffuse agitazioni sindacali, delle manifestazioni di massa e delle conseguenti cariche della polizia, delle grandi lotte dei contadini e dei braccianti contro il latifondo la cui difesa era sostenuta con vigore dalle mafie, dell’occupazione delle terre, del ritorno dell’arte e della cultura alla critica politica e di costume. “La gente minuta” ora aveva dalla sua parte la Costituzione, una Costituzione eversiva per gli States e per l’oligarchia finanziaria, una Costituzione “socialista” che incoraggiava a pretendere il giusto, una piena occupazione, un giusto salario, il diritto alla casa. Una Costituzione realmente democratica che era in piena contraddizione con gli obiettivi di sfruttamento della forza lavoro e di allontanamento dalle terre fertili del “contadiname” e che stimolava il partito socialista, il partito d’Azione e il partito comunista a nuove conquiste democratiche, a realizzare egemonia tra le masse.
Tutto ciò era insopportabile per la grande borghesia imperiale. L’alleanza con i partiti democratici andava bene durante la lotta contro la potenza germanica ma ora tale alleanza doveva essere spezzata. Il “piano Marshall” per cacciare i comunisti dal governo e per dettare a De Gasperi, neo-proconsole statunitense, le linee strategiche di una politica reazionaria che andasse in direzione contraria al dettato costituzionale. La guerra contro i sindacati confederali e i partiti democratici doveva riprendere fiato. Era necessario operare in tutta fretta e trovare le tattiche adeguate.
In precedenza, abbiamo ritenuto che nella guerra guerreggiata è indispensabile distruggere le avanguardie, eliminare le postazioni di comando. Nella lotta di classe esistono le stesse regole che comportano l’imperativo di conquistare le menti che costituiscono l’avanguardia del movimento, conquistarle ideologicamente o con la corruzione. Si è operato in tal modo nelle battaglie antiche e moderne. Una volta che si fosse fatto breccia nelle menti più ardimentose, più capaci, sarebbe stato agevole la sconfitta delle truppe che senza i loro dirigenti avrebbero vagato nell’incertezza e nel dubbio, facili prede da egemonizzare all’ideologia borghese.
Difficile da realizzare nell’immediato. Militanti come Lelio Basso, Emilio Lussu, Palmiro Togliatti, Giancarlo Pajetta…non erano prede facili da ideologizzare o da corrompere. Si poteva allora, e questo fu un lavoro diplomatico molto abile orchestrato dalle ambasciate yankee e dai servizi segreti, creare un distacco o meglio un fossato tra i partiti che avevano collaborato non solo nella guerra antifascista ma anche nella stesura della Costituzione. La demonizzazione in particolare dei comunisti venne effettuata mostrando. nelle pubblicità dell’epoca, con grande rilievo nella cinematografia statunitense, con il già navigato uso della menzogna, le condizioni orribili della vita in URSS, un modello di nefandezze che il partito comunista avrebbe riproposto se avesse avuto le redini del governo. Guerra fredda non solo contro l’URSS ma anche nello stesso territorio italico.
Se non si poteva agire con Lelio Basso che, per esempio, aveva compreso acutamente che “Ogni passo avanti verso l’Unione europea è un passo avanti nella via dell’assoggettamento dell’Europa al capitale finanziario americano…l’Unione europea assomiglia più profondamente all’Europa di Hitler”, si poteva agire penetrando nel corpo del partito e del movimento, attraverso i meno scafati, i meno esperti e soprattutto attraverso i giovani più sensibili alla propaganda filo-Usa e anticomunista. Ci vorrà tempo per formare dei Veltroni e dei D’Alema, perché il partito comunista prendesse le distanze prima dall’URSS e poi dal comunismo stesso, per diventare ai nostri giorni anticomunista e partito principale del Capitale. Naturalmente lo stesso processo nella CGIL che accoglie pienamente il dettato neoliberista già negli anni ’80, riservandosi il diritto di essere accolto a tavola dei potenti e ascoltato per quanto riguardava qualche parola sull’allungamento dei tempi, sul taglio dei salari, sul numero dei licenziamenti, sulla svendita dell’apparato produttivo statale…
Senza avanguardie passate in massa al Capitale, con una propaganda sempre più sofisticata sui vantaggi dei mercati, sulla benefica “mano invisibile”, sul ruolo imprescindibile del Capitale, sulla vacuità della teoria marxista, sulle efferatezze compiute dai comunisti e dai loro simpatizzanti con fatti totalmente inventati e ritenuti credibili dagli stessi militanti anticapitalisti, si crea un “nuovo popolo” ben distante dal popolo della resistenza e delle grandi lotte degli anni ’60,’70, un popolo che dovrà reimparare ( e reimparerà) il senso della storia, il senso della lotta di classe, da che parte stanno gli amici e da che parte stanno i nemici e gli impostori, e riconquistare quei diritti sul lavoro e sulla propria vita che allo stato attuale appaiono impossibili, utopici. Un popolo che dovrà fortificarsi contro la manipolazione pervasiva del potere, contro “l’ingegneria del consenso” praticata quotidianamente con successo anche nei confronti delle menti più aperte.
La disgregazione, l’atomismo, l’indifferenza, la liquidità mortifera non dureranno a lungo. Il castello di pietra costruito contro il diritto alla dignità, alla solidarietà, alla fratellanza, all’uguaglianza crollerà ma ci vorrà molto coraggio, molta passione, dedizione, altruismo. E costerà molto impegno, molta sofferenza, molto dolore.