Il 14 agosto sono stati pubblicati i risultati di un sondaggio elettorale svolto tra i giorni 11 e 12 dello stesso mese, su un campione di oltre 2.000 brasiliani, delle più diverse regioni del paese, risultati che sono di estremo interesse per chi voglia comprendere l’umore dei brasiliani rispetto al loro attuale presidente.

In primo luogo il tasso di approvazione di Bolsonaro aumentò di 5 punti percentuali, dal 32 al 37 per cento, mentre al tempo stesso cadeva di 10 punti il rifiuto nei suoi confronti, passando dal 44 al 34 per cento; aumentò di 4 punti anche la percentuale di persone che considerano il suo governo come regolare. Per comprendere meglio questi dati va fatto osservare che prima di questo sondaggio il massimo tasso di approvazione era stato raggiunto da Bolsonaro in 3 momenti:aprile 2019, aprile 2020, e maggio 2020; ciò significa che il risultato di questo sondaggio è il migliore dall’inizio del suo mandato, nel gennaio 2019.
L’approvazione del governo è migliorata in tutti i segmenti socioeconomici e demografici, con l’unica eccezione della fascia più anziana dove comunque il suo consenso rimane stabile. Bolsonaro continua ad avere il tasso di rifiuto più alto tra le donne che tra gli uomini, più dai giovani che dagli anziani, e tale rifiuto aumenta con l’aumentare del reddito, raggiungendo il 47 per cento nella fascia di chi guadagna più di 10 salari minimi.

In tutti i segmenti sociali in ogni caso è diminuito il rifiuto a Bolsonaro, da osservare con particolare sono i dati del Nord-est(area più povera ma anche più di sinistra del paese) dove la disapprovazione è caduta dal 52 al 35 per cento e di 13 punti nello strato sociale più povero del paese. Lo stesso sondaggio differenzia le risposte in relazione al tipo di vita che le persone stanno conducendo durante questa pandemia: nel segmento di quelli che stanno conducendo la loro vita normalmente, come prima della pandemia, l’approvazione è al 53 per cento e il rifiuto al 20, in quelli che stanno uscendo di casa per lavorare ma con protezioni la prima e al 42, la seconda al 30; l’opposto avviene tra coloro che escono solo se necessario, l’approvazione è al 30 e il rifiuto al 41 per cento.

In precedenza a tale sondaggio aveva suscitato sorpresa e legittima preoccupazione un altro sondaggio, fatto ad inizio mese sulle intenzioni di voto per le elezioni presidenziali del 2022. Ebbene in tale ricerca, realizzata su un campione simile al precedente, Bolsonaro appare al primo posto nelle intenzioni di voto, con il 38 per cento dei voti, con ben 24 punti percentuali di vantaggio sul candidato arrivato al secondo posto, Fernando Haddad del PT. Il terzo classificato sarebbe l’ex ministro della giustizia Sergio Moro, attualmente senza partito. Venendo alla distribuzione del voto possiamo vedere come Bolsonaro avrebbe il 50 dei voti tra gli uomini e il 27 per cento tra le donne, maggiore percentuale tra tutti i possibili candidati. Guardando invece alla distribuzione di reddito Bolsonaro ha la sua maggior percentuale tra coloro che sono disoccupati o che sono lavoratori informali, ossia quelli che oggi stanno ricevendo i 600 reais, come forma di sostegno in questa fase di crisi economica e sanitaria. All’opposto, i suoi peggiori risultati sono di nuovo quelli nella fascia di popolazione che ha uno stipendio superiore a 10 salari minimi, è più scolarizzata, ma che rappresenta appena il 3 per cento dell’elettorato brasiliano. In questa fascia di reddito Bolsonaro, Haddad e Doria(attuale governatore dello Stato di San Paolo) sono collocati in una forbice variabile tra il 17 e il 21 per cento.

I dati descritti poc’anzi ci servono per comprendere meglio il Brasile profondo che la sinistra brasiliana non riesce a vedere. La prima domanda infatti che molti analisti della politica brasiliana si sono posti è quella di come fosse possibile un aumento di consenso ad un presidente misogino, razzista, nostalgico della dittatura e che disprezza la vita dei più deboli in un contesto di pandemia. Ebbene per quanto i sondaggi siano parziali e spesso volutamente indirizzati da chi li realizza, un dato sembra emergere con chiarezza: l’importanza del contributo di 600 reais, che ha coinvolto fin’ora praticamente metà della popolazione brasiliana e che permesso di dinamizzare zone povere del paese come il Nord-est, dove infatti Bolsonaro è in crescita dei consensi.

Se questo consenso è temporaneo o definitivo è presto per dirlo, ma una cosa appare abbastanza evidente: la maggior parte di coloro che ricevono i 600 reais non s’ interessano, se non molto superficialmente, delle posizioni politiche del presidente. Dunque non si sentono minacciati dalla volontà presidenziale di mandare l’esercito a chiudere il supremo tribunale federale, non seguono i continui cambi al ministero dell’educazione perché le loro scuole spesso sono prive di tutto, anche dei professori.

Bolsonaro è stato in grado di adattarsi alle circostanze: nel 2018 il mercato chiedeva meno Stato, privatizzazioni e lotta vera o presunta alla corruzione, egli scelse un Chicago Boy della prima ora come Paulo Guedes all’economia e l’ex giudice del processo contro Lula Sergio Moro; ma durante il suo governo numerosi furono i momenti in cui perse popolarità, dagli incendi in Amazzonia, le sue connessioni con reti di Fake news, o la gestione disastrosa dell’educazione, facendo cadere molto in basso il suo indice di popolarità.
Paradossalmente la pandemia gli ha offerto una seconda opportunità: la possibilità di appoggiarsi a 50 milioni di brasiliani in condizioni di povertà. Allo stesso tempo si è avvicinato al blocco di deputati definito come Centrao( centro-destra formato da vari partiti con maggioranza in entrambe le camere), mentre si faceva spiegare dal suo precedessore Temer come dialogare con tali partiti. Neanche i numeri drammatici della pandemia( oltre 3 milioni e mezzo di contagi e 115 mila morti) sembrano essere stati in grado di diminuirne i consensi, anzi; un recente sondaggio afferma che il 47 per cento della popolazione brasiliana non lo incolpa in alcun modo per la gestione della pandemia.

C’è ovviamente chi dice che tale popolarità non è destinata a durare, ma va riconosciuto l’indubbia capacità di Bolsonaro di utilizzare questa pandemia per i suoi interessi. Riconoscerne le capacità sembra essere molto difficile per una parte consistente della sinistra brasiliana, che continua a sottostimarlo, convinta che le sue posizioni in automatico dovrebbero portarlo alla sconfitta, dimenticando che Bolsonaro era stato il deputato più votato nel 2014 e per 7 elezioni di seguito era riuscito a farsi rieleggere deputato. Riconoscere che egli, purtroppo, rappresenta una parte consistente del paese permette di uscire dalla fase di semplice negazione della sua figura, e organizzare la resistenza contro di lui e le sue politiche.

E’ un dato di fatto che la sua ascesa al governo abbia provocato mobilitazioni da parte di movimenti sociali, partiti della sinistra ecc, che hanno compreso l’enormità del pozzo in cui si trova il Brasile non solo per la crisi sanitaria, ma anche per quella economica, sociale. Non è possibile più temporeggiare a tal proposito, e l’incontro virtuale tra esponenti del movimento Sem terra e Gilmar Mendes(giudice del tribunale federale) dimostra che anche nelle istituzioni i timori per la tenuta democratica sono presenti. La pandemia ha dimostrato, semmai ce ne fosse bisogno, che la Costituzione del 1988 serve molto di più a garantire le disuguaglianze che a combatterle; in questo contesto si inserisce la politica “sociale” di Bolsonaro: per chi non ha niente o quasi, anche un piccolo sostegno al reddito sembra molto.

I risultati di questi sondaggi dimostrano che il Brasile è governato da ricchi per aiutare la loro stessa classe, e che la maggior parte della base della piramide sociale non distingue una dittatura militare, una democrazia autoritaria da una “vera” democrazia. La differenza diventa dunque quella di vedere un gesso sul pavimento o meno ad ogni invasione della polizia ingiustificata nelle favelas o di allagamenti a causa delle robuste piogge che distruggono le baracche dove vivono i poveri brasiliani.

Ed è esattamente in quest’ottica che va visto il progetto “Renda Brasil”, che verrà lanciato ufficialmente questa settimana dal governo Bolsonaro, con l’idea di creare una sorta di reddito minimo, ampliando le maglie del programma “Bolsa Familia” e creando un programma che possa essere considerato “proprio” da Bolsonaro. Tale progetto, secondo le stime del governo, dovrebbe includere 8 milioni di persone in più che il Bolsa Familia, con valori medi di 250 e 300 reais, superiori ai 190 pagato agli attuali beneficiari del beneficio creato dal governo PT nel 2006. L’idea sarebbe venuta al governo proprio durante il contesto della pandemia, quando oltre il 95 per cento delle famiglie che beneficiano dei programmi sociali cominciarono a beneficiare dei 600 reais, come contributo per l’emergenza Covid. L’idea è che con la fine di questo contributo passi ad avere effetto il nuovo programma.

Il Bolsa familia è attualmente diviso in 2 fasce: estrema povertà (90 reais per persona al mese) e povertà (178 reais al mese). Il nuovo programma dovrebbe elevare tale fascia a 100 e 250 reais rispettivamente; inoltre dovrebbe prevedere ulteriori benefici per famiglie con figli che abbiano buoni voti a scuola o che intraprendano percorsi di tipo tecnico-professionalizzante, e un ulteriore incremento per figli da 0 a 3 anni, per consentire ai genitori di poter pagare un asilo nido privato.

Per poter avviare questo programma, i cui costi non sono ancora stati divulgati nel dettaglio, il governo ha nel mirino altri programmi sociali, considerati “inefficienti”. Tra di essi vi sono: la disoccupazione dei pescatori; pagata nel periodo necessario per la riproduzione dei pesci, in cui la pesca è proibita; il salario familiare, che è una specie di assegno dato ai lavoratori formali e informali in base al numero dei figli; l’indennità salariale, un contributo che aiuta i lavoratori che guadagnano al massimo 2 salari minimi con un valore variabile a seconda dei mesi lavorati. L’ultimo di essi è il più difficile da cancellare perché richiederebbe una riforma della Costituzione, che necessita di una votazione a maggioranza dei 3/5 di Camera e Senato.

Secondo Ricardo Paes de Barros, economista tra i creatori del Bolsa Familia, l’unificazione di questi programmi in uno solo permetterebbe con una spesa relativamente piccola di creare un reddito minimo che oscilli tra i 250 e i 300 reais, creando condizioni per sradicare la povertà.

Il governo vorrebbe però accompagnare questo programma con l’adesione ad un programma di inserzione lavorativa con la possibilità per gli aderenti di uscire dalla informalità, in cambio di guadagnare meno di un salario minimo e con una riduzione dei diritti del lavoro. Si dimostra così la reale natura di questi programmi di sostegno al reddito: non creare emancipazione dalla povertà, ma un contingente di decine di milioni di disoccupati o sotto-occupati, con il minimo per sopravvivere e sempre disposti a vendere la propria forza-lavoro ad un prezzo inferiore a quello di mercato [1].

In conclusione a quest’articolo vorremmo sottolineare l’errore strategico della sinistra elettoralistica brasiliana: scommettere grosso sull’alleanza con il sotto- proletariato, a partire dall’adozione del programma chiamato Bolsa familia [2]. Tale segmento sociale infatti è molto fluttuante dal punto di vista elettorale e politico, dal momento che le sue misere condizioni di partenza gli impongono di “vendersi” a chi gli offra quel minimo necessario per sopravvivere. Quando ai beneficiari del Bolsa familia, il cui importo medio è di 200 reais, il governo ha concesso seppur temporaneamente e causa pandemia un sostegno il cui valore era il triplo del precedente, buona parte di quel segmento si è spostato da un ambito di consenso lulista ad un uno più prossimo a Bolsonaro, come dimostrato dai dati analizzati precedentemente. Se davvero poi Bolsonaro riuscirà a implementare il programma chiamato Renda Brasil, il governo rischia seriamente di fare scacco matto e conquistare facilmente tutto o quasi questo segmento sociale. In ogni caso obiettivo di una sinistra autentica dovrebbe essere quello di rendere questi programmi non necessari, soprattutto in un paese con un’enorme disuguaglianza sociale come il Brasile, dove non mancano in nessun modo le risorse perché i poveri possono emanciparsi e avere una vita degna, invece di rimanere ostaggio di elargizioni più o meno consistenti da parte dei governi che si succedono al potere.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: